Due parole sulla mia proposta.
Quello che io vorrei è un’authority, dicevo, creata all’interno della stessa comunità islamica allo scopo di verificare, nei contenziosi da divorzio islamico, chi ha ragione e chi no secondo i principi coranici.
Non è un’idea dell’altro mondo: tra gli ebrei questa istituzione esiste, si chiama Consulta rabbinica ed ha appunto il compito di risolvere gli eventuali conflitti che si possono presentare nell’ambito del divorzio ebraico.
Va da sé che un simile organismo sarebbe del tutto privo di valore legale, esattamente come lo è quello ebraico e come pure lo sono i matrimoni islamici, le fatwe e tutti gli organismi che, già adesso, regolano da un punto di vista morale e religioso la vita dei musulmani d’Europa.
Rispetto agli altri, però, quello che io propongo avrebbe due particolarità:
1. Esisterebbe allo scopo di tutelare le donne.
2. Funzionerebbe come organo di autodisciplina e controllo: già il solo fatto di documentare quante volte si dà ragione all’uomo e quante alla donna obbligherebbe alla consapevolezza del proprio operato e all’assunzione di responsabilità tanto di fronte alla comunità quanto all’esterno.
Mi spiego meglio: certe volte si accusa l’islam italiano di volere fare uno “Stato nello Stato”.
L’accusa è, allo stesso tempo, ingenerosa e azzeccata.
Ingenerosa perché stiamo parlando di una comunità infinitamente più povera e sfigata di quanto i suoi detrattori amino dipingerla. Qui già è tanto se si riesce a sbarcare il lunario, figuriamoci mettersi a costruire infrastati.
Azzeccata perché, e non potrebbe essere altrimenti, la vita del musulmano è scandita da una serie di precetti pratici e concreti che richiedono l’esistenza di autorità consultive e di reti organizzative che si occupino di cose che vanno dalla nascita alla sepoltura, passando per il matrimonio, l’educazione dei bambini, l’alimentazione halal, i luoghi di incontro e di culto, la solidarietà interna, i beni comuni e via dicendo.
E fin qui nulla di male, se non fosse che tra tutte le iniziative messe in campo dall’islam italiano per consentire ai suoi membri di vivere esistenze islamicamente corrette non ce ne è una – dico una – dedicata espressamente alla tutela pubblicamente verificabile dei suo membri più deboli, ovvero le donne, i cui diritti – che mi risulta siano previsti dalla religione islamica tanto quanto, chessò, le regole alimentari – sono affidati all’improvvisazione e alla buona volontà (quando è buona) delle persone in cui incappano.
Il problema si pone con particolare forza nel momento in cui una comunità, di per sé tendenzialmente chiusa e cresciuta all’insegna dell’autodifesa verso un esterno concepito, a torto o a ragione, come ostile, non ha ostacoli che le impediscano di esercitare al proprio interno tutte le dinamiche di potere di cui è vittima all’esterno: dal clientelismo alle solidarietà corporative più o meno immorali, passando per il controllo autoritario dei comportamenti dei più deboli (nel nostro caso le donne) fino ad arrivare a modelli di patriarcato di rurale memoria che nel mondo arabo sono considerati, appunto, propri delle classi sociali meno avvantaggiate socioculturalmente, ma che in Italia, grazie a un terrificante connubio tra l’estrazione culturale di buona pare degli immigrati e i bollenti ardori da neofiti di buona parte dei convertiti, diventano semplicemente “islam”, con il più o meno disinteressato consenso dei vertici.
Capisco benissimo come non sia facile creare organismi di tutela delle donne che non si riducano alla pura demagogia, in linea di principio: i singoli sono i singoli, è ovvio, e non ti puoi certo fare più di tanto i fatti loro.
E’ necessario identificare argomenti specifici, quindi.
L’unico creabile, l’unico possibile mi pare possa essere, appunto, un organismo chiamato a seguire i divorzi. Del resto, pure tra noi le conquiste femminili sono partite da lì: dalla questione del divorzio, guarda caso.
E a che serve un’authority chiamata ad arbitrare i divorzi ma priva di poteri legali?
A contrapporsi allo “Stato nello Stato”, innanzitutto.
Perché nel momento in cui esiste un’entità chiaramente identificabile (e composta da membri scelti tra tutte le organizzazioni islamiche, non da una o dall’altra) a cui rivolgersi per contare i casi, conoscere le procedure e le decisioni e rendere possibile un follow-up della sorte di donne che, al momento, si rivolgono in solitudine alla Caritas e affini, questo aspetto della vita islamica si apre all’esterno, diventa conoscibile e, quindi, verificabile su basi oggettive. Dalla comunità stessa e all’esterno. Con tutti i circoli virtuosi che si instaurano ogni qualvolta i nostri comportamenti sono sottoposti a verifica.
Guarda, voglio fare un esempio scemo: io faccio la prof e la Costituzione mi garantisce libertà di insegnamento. Io li posso porre come mi pare, i mei argomenti, e non c’è nessuno al mondo che possa venire a discutermelo.
Allo stesso tempo, però, io devo dichiarare quello che faccio e metterlo a disposizione di chiunque lo voglia sapere. Non solo: i risultati del mio lavoro devono essere pubblici e il modo in cui ci arrivo deve essere esplicitato nel modo più chiaro possibile.
Poi certo, io posso anche lavorare da cani: a quel punto non mi cacceranno, ché è davvero difficile che ciò accada (manca la sanzione, appunto) però vivrei additata come prof impresentabile, non avrei voce né credibilità, non godrei del rispetto di nessuno e la mia vita sarebbe parecchio difficile.
La trasparenza serve a questo, ad agire sapendosi allo scoperto. A spingerci a comportarci meglio, quindi. E a tutelare, di conseguenza, chi dipende dal nostro comportamento, anche e soprattutto quando non esiste sanzione legale che possa obbligarci ad agire in un modo anziché in un altro.
Al momento, l’islam italiano soffre dello stigma del giudizio pessimo che ha di esso la nostra pubblica opinione e, allo stesso tempo, subisce e/o adotta al proprio interno molti dei comportamenti per i quali viene stigmatizzato.
E li subisce/adotta, il più delle volte, senza dirselo e senza assumersene la responsabilità, ché loro per primi ammetterebbero la non-islamicità di certe comodissime prassi, se solo si decidessero ad affrontarle seriamente.
Il circolo è vizioso, non virtoso: io, comunità islamica, fingo di non vedere i miei peccati, li nascondo sotto al tappeto e li rinnego in pubblico. Tu, opinione pubblica, parti dal principio che io abbia solo quelli ma non possiedi strumenti per verificare quanto le tue percezioni siano giuste o sbagliate.
Si va a pelle, si ragiona per ideologie.
Siamo immersi in un mare di chiacchiere, amichevoli o ostili che siano.
Io non credo di sbagliare se dico che stiamo giungendo a un bivio, tutti quanti.
Ci sono, da una parte, settori di società che si sentono vicini al mondo islamico e alle sue esigenze ma che vorrebbero potere affrontare determinate questioni senza più lasciarle nelle disonestissime mani dei Magdi Allam di turno.
E c’è, dall’altra, una dirigenza islamica che deve affrontare i propri nodi trovando il coraggio di dialogarci davvero, con quei settori di società a cui chiede appoggio e sostegno.
Quello che si tende a chiedere, al momento, è appoggio incondizionato, atto di fede. Qualche volta persino omertà.
E gli amici dell’islam, coloro che vivono sulla frontiera tra islam e occidente rifiutandosi di giocare – da una parte o dall’altra – allo scontro di civiltà finiscono col ritrovarsi nella stessa, identica situazione in cui si ritrova tutta la sinistra italiana quando è costretta a turarsi il naso davanti a certi impresentabili carrozzoni politici perché, dall’altra parte, c’è Berlusconi.
Be’, non mi sta bene.
Io non la faccio, la diessina dell’islam, nemmeno se dall’altra parte c’è Magdi Allam.
Mica paglia, difendere il privilegio di potersi esprimere in buona fede.
Molto presto anche i signori islamici impareranno a fare i CASALINGHI
P.S.
Se fossi…un colore
http://sefossi.wordpress.com
Sig.ra Lia,
come ho già avuto modo di farle notare nel suo blog, il suo post è il frutto di una serie di errori logici ed interpretativi scaturiti da una scarsa conoscenza della realtà giuridica (e religiosa) degli altri culti nonchè dei loro rapporti con lo stato.
Il problema da lei posto è stato già risolto da tutti gli altri culti mediante le intese; purtroppo l’islam non è ancora potuto addivinire ad intese con lo stato italiano principalmente per due ordini di ragione:
– contrasto con norme imperative – derogabili e non – di diritto civile, penale, amministrativo ed ordine pubblico
– mancanza di un islam “centrale”, unitario e rappresentativo dell’islam italiano.
E’ ovvio che solo un organismo centrale ed unitario possa raggiungere degli accordi con lo stato e la consulta islamica (questa si che si chiama consulta mentre quella degli ebrei si chiama tribunale rabbinico) finora non è riuscita nel suo scopo perchè è partita da premesse sbagliate: si considera la consulta degli immigrati di religione islamica, come dimostrano le numerose richieste in ordine a ricongiungimenti, permessi ed accesso allo status civitatis, e non come la consulta per i cittadini italiani di religione islamica; detto organo, infatti, doveva servire, appunto, a regolare la libera professione di quel culto in italia.
Non devo certo essere io a ricordarle che alcune norme coraniche si pongono in netto contrasto con le nostre leggi, alcune delle quali possono essere derogate, dato lo scarso allarme sociale che scaturirebbe dalla loro mancata applicazione in casi specifici, altre no.
Sinteticamente posiamo ricordare, fra tutte:
– l’uso del velo integrale; il nostro ordinamento vieta (tulps)di girare a volto coperto e considera circostanza aggravante di alcuni reati l’aver agito “travisati”;
– la macellazione delle carni; questa è derogabile…
– la poligamia! come dimostrano le recenti polemiche sia sull’estensione (o meno) del diritto agli assegni familiari per le ulteriori mogli… o nelle pretestuose richieste di ricongiungimento familiare…
– le norme successorie, di diritto di famiglia, di esercitio della potesta genitoriale…
– l’infibulazione e gli atti dispositivi del proprio corpo (circoncisione… derogabile)
– il ripudio e la possibilità di contrarre matrimoni a tempo (con una scadenza predeterminata)
Ora la questione da lei posta, sarebbe superabile a seguito di intese: i matrimoni celebrati nelle moschee sarebbero eseguiti da ministri di culto riconosciuto aventi lo status di ufficiale di stato civile e per tali matrimoni sarebbe vigente il codice civile italiano. Questo avviene per tutti gli altri culti… naturalmente lasciando una certa autonomia interna per quanto concerne gli aspetti religiosi quali lo scioglimento del rapporto matrimoniale e le questioni puramente morali.
Ora l’esperienza degli altri culti dimostra che i coniugi possono anche rivolgersi ai tribunali interni che emettono sentenze che possono avere validità anche nello statoitaliano con una procedura denominata “delibazione” di sentenza estera: le intese stato religione, al pari di quello stato/chiesa cattolica, agiscono sul piano del diritto internazionale, rectius, sovranazionale.
Lia, però c’è una cosa che continua a non tornarmi.
In un paese islamico, una consulta che tuteli le donne sarebbe necessaria per evitare che antiche usanze tribali abbiano la meglio sui diritti stabiliti per mogli, figlie e sorelle dal Corano. Siamo tutti d’accordo e ci mancherebbe.
Ma qua in Italia, le donne di qualsiasi credo sono protette dalla legge matrimoniale italiana, che sancisce le separazioni e i diritti di ciascun coniuge nell’ambito di un divorzio. Questo se stiamo parlando di un effettivo istituto del matrimonio registrato anche civilmente.
Se invece si tratta di un matrimonio solo religioso e quindi non registrato, le cose si complicano non solo per le musulmane, ma per tutte le donne. E allora servirebbe una legge per le coppie di fatto, che non viene fatta dallo Stato italiano: anche qui, una Consulta islamica servirebbe a tutelare solo le musulmane. E le altre?
Sono perplessa.
Ci arriveremo a quel giorno, Signora Lia e mi creda, il giorno che succederà quello che lei si augura, non è detto che siano soltanto gli uomini islamici in Italia a trovarsi con le spalle al muro, ma tutti noi e quando dico tutti noi, intendo noi italiani: uomini e donne.
Giulia: nei paesi islamici ci sono leggi e tribunali, il problema non si pone. L’ho detto nel mio post precedente.
Qui sto parlando di matrimoni islamici in Italia, e lo sto facendo chiedendo una presa di coscienza e un impegno alle comunità islamiche italiane.
Come ho detto anche sul blog di Mauro, non sempre è possibile che questi matrimoni siano registrati anche civilmente, sia per le caratteristiche dei musulmani d’Italia (pensa ai clandestini, solo per fare un esempio…) sia per la specificità dell’islam (tempi di divorzio diversi dai nostri, poligamia etc). Del resto, anche se lo fossero, ti assicuro che un numero rilevantissimo di musulmane in Italia continuerebbe ad avere bisogno dell’appoggio pratico della comunità, per imbarcarsi degnamente in una separazione legale. (Me lo ricordo, io, quando divorziai civilmente, l’impazzimento e i milioni spesi!! Qui stiamo parlando di donne che, spesso, non sanno neanche da che parte cominciare a orientarsi).
E cosa si fa, quindi? Giriamo tutti le spalle al problema in attesa dei nostri Pacs? E perché, quando esistono organizzazioni islamiche che avrebbero il dovere, oltre che la forza e il prestigio al proprio interno, di tutelare queste donne che, oggi, si ritrovano a finire alla Caritas o chissà dove, senza che nel loro ambiente si alzi una voce in loro difesa?
Perché non possiamo chiedere conto di questo, a un islam italiano che siamo prontissime a difendere le mille volte che ha ragione e che, proprio per questo, ci è intollerabile quando è ingiusto o ipocrita?
Sto facendo un discorso, rivolto all’islam italiano, di ufficializzazione di linee di condotta etiche, di trasparenza delle prassi, di moralizzazione interna.
Il piano legale è tutta un’altra cosa e dovrà aspettare i tempi dello Stato. Non c’entra con quello che dico. Sono battaglie diverse, degnissime ma diverse.
Quello che dico, quindi, è che con o senza effetti civili del matrimonio, una comunità islamica degna di questo nome deve affrontare questo problema per il semplice fatto che il problema esiste, ed è una delle pagine più nere tra le prassi islamiche in questo paese.
Su un piano che riguardi anche i non musulmani, invece, dico – e lo dico con tutta l’enfasi che posso – che è ora che ci sia un confronto su argomenti concreti, tra islam italiano e quella fascia di società, in cui mi includo, che esprime vicinanza alle loro istanze senza per questo volere fingere di non vedere cose che sono, oggettivamente, indifendibili.
C’è un bel post di Aladin che ho ripreso oggi sul mio blog. Tra le altre cose, dice che la mancanza di dialogo e l’arroccamento su posizioni difensive che soffocano l’autocritica, all’interno delle comunità islamiche, crea un “circolo vizioso che porta le comunità a morire macchiando la propria dignità e la propria storia, a non essere all’altezza di loro stesse”.
http://www.ilcircolo.net/lia/001123.php
Io, dell’islam, amo appunto la dignità e la storia e lo vorrei vedere all’altezza di se stesso.
Sto cercando di dirlo come posso.
Vorrei uscire dall’attuale logica calcistica di contrapposizione tra bande, che non serve a nessuno se non ai gruppuscoli di potere che campano di questo, in entrambi gli schieramenti.
Lia,
lei rilancia ma sbaglia: nuovamente parla dei problemi di coppie miste e di coppie in cui una delle parti è clandestina, riproponendo nuovamente l’errore posto alla base della questione: lei cponfonde i problemi degli immigrati con i problemi delle persone che professano l’islam. Ora il clandestino è tale in quanto privo di permesso di soggiorno e non in quanto musulmano… questo è lo stesso errore fatto dalla consulta islamica che avanza richieste di sogiorni e cittadinanze accelerate :-) come se l’essere islamico costituisca un fattore di merito per l’acquisizione di tali diritti.
Confonde altresì causa ed effetto, fingendo di ignorare che questo stato di cose scaturisce da anomalie presenti nella realtà islamica e non nella nostra società.
Il fatto che non abbia minimamente compreso quanto più volte spiegatole, mi fa capire come mai a 45 anni suonati sia ancora precaria.
Non abbiamo cose più importanti a cui pensare?
Si Rosabee, la gente normale ha cose più importanti da pensare ma come avrai sicuramente notato l’islam è divenuto l’ultima spiagia di tutti questi disperati, dopo il buddismo e la new age, la wikka ed i movimenti esoterici.
I convertiti filoislamici inoltre sono più estremisti degli islamici per nascita e ne sposano le tesi più estreme.
Castigagatti, non lo dire a me, ma alla padrona di casa che non la pensa come te. Lei pensa che sono gli occidentali gli estremisti se leggi le sue posizioni estremistiche.
Lia, quello che scrivi della comunità islamica è veramente molto interessante ma la tua idea dell’ “authority” (senza valore per la legge italiana, con valore di legge morale per gli islamici residenti in italia) non so se sarebbe un passo avanti o indietro.
Le statistiche sono una bella cosa ma la trasparenza, se intesa come premessa di riconoscimento dell’Altro (cioè anche noi) e di apertura verso l'”esterno” (cioè la società dove vivi o sei costretto a vivere), è un altro paio di maniche. L’authority, se ho capito, servirebbe a rinnovare il legame comunitario, autonomizzandolo, e dotandondolo di uno strumento di giustizia del tutto autoreferenziale (in qualche misura riconosciuto anche all’esterno, però, con l’ennesimo pasticcio confessionale).
Per capirsi, qui si con Amartya K. Sen, non con il Magdi Allam di turno. Per una società che si definisca secolare e multietnica, non multicomunitaria e, tanto meno, multiconfessionale. E non ci hai convinto.
ciao
A me sembra una proposta interessante. Un passo verso la società multietnica di cui in ogni caso parla dr.stupid, magari un passo da pensare meglio, troppo timido o troppo corto, oppure poco laico, oppure quel che volete, ma intanto è una proposta. Da discutere, da criticare anche, che ne so. Perché chiudersi immediatamente a riccio, e abbandonare subito il campo con un rifiuto? Ma quale condizione di civiltà vivremmo, se tutti i capi di stato, gli studiosi e gli esseri umani in generale fossero degli spara-a-zero come alcuni commentatori di questo blog? Oh, sento già la voce che dice “e perché, nel mondo dell’Islam dov’è tutta questa disponibilità?” Ma appunto qui arriva la proposta di Lia. Scendere dai piedistalli – di chiunque – e buttar giù un po’ di accordi bilaterali.
O preferite lapidare qualcuno e non se ne parli più, come pare stiate facendo dal vostro scranno di laici democratici e femministi?
Al di là delle etichette, come vi comportate in realtà?
nel blog della daciona, dove qusta tanto inutile quanto stupida, polemica prosegue, ho trovato (nascoste fra le altre) 4 fregnacce grosse come il pirellone in sole 16 righe
(un vero record!)
“Si avvera però che, essendo impossibile – grazie all’azione di ferventi attivisti antislamici che fanno di tutto per impedire la costruzione di Moschee, scuole, consulte e tribunali religiosi (sul modello della Consulta Rabbinica, ad esempio) – avere un ordinamento che preveda regole certe e formalizzate dalle leggi civili, ci sia chiaro che siamo in una specie di terra di nessuno, dove tutto è delegato alla volontà di noi donne di garantire i nostri diritti e quelli delle nostre sorelle, ed alla decenza dell’uomo che ci ha – frettolosamente o malamente – sposato.
Non solo, ma fino a quando le Moschee resteranno prive di riconoscimento legale, e lo saranno fino a quando non venga posta in essere l’Intesa o una seria e serena Legge sulle Libertà Religiose, il matrimonio islamico rimarrà una trappola nella quale donne innamorate – o peggio – costrette dalle famiglie, rischiano di cadere e farsi male.
È necessario che esista un’anagrafe dei matrimoni islamici che si celebrano in Italia, dove rilevare se qualche ragazzina non sia “mandata” in moglie ad un vecchio amico di famiglia, o che qualche donna non subisca un divorzio islamico umiliante.”
1) si confonde la consulta rabbinica con i tribunali rabbinici. la consulta si occupa di altro.
2) mancano le intese per i motivi più volte spiegati; intese che difficilmente saranno raggiunte (sono tutit motivi giuridici, quindi troppo complicati sia per la daciona, sia per i legulei parafangari che utilizza)
3) la “legge serena sulle libertà religiose” già esiste, si chiama costituzione. Si confonde, ancora una volta, libertà di professare la propria religione (che è sancita e garantita) con (appunto) le intese, volte a far riconoscere lo status di ufficiale di stato civile ai ministri di culto islamici o, in poche parole, intese volte a regolamentare il corretto esercizio della propria professione di fede, dirimendo eventuali contrasti fra norme imperative statali e precetti religiosi
4) anagrafe dei matrimoni? o bella! e perchè mai? In italia esiste solo un ufficio anagrafico, uguale per tutti, cristiani e non… e se ne chiede uno tutto per gli islamici? Se lo facessero al loro interno (e si ritorna al problema della frammentarietà… della mancanza di un islam centrale…) ma non dovrà avere valore esterno in assenza di intese. Tutti gli altri culti,( nessuno escluso, almeno quelli riconosciuti e concui intercorrono intese) CHIEDONO la trascrizione ai fini degli effetti civili, del matrimonio religioso… e si ritorna alle intese perchè per essere trascritti l’imam deve avere lo status di ministro di culto riconosciuto :-)
Brutta besta l’ignoranza, soprattutto se accompagnata alla saccenza, alla prepotenza ed all’arroganza.