Questa storia dura il tempo di un giro di do. È la fotografia di un bar di una grande città. Sono le nove di sera e il verdone sul banco. Ha la faccia in su e una giornata dietro che lo aspetta fuori mentre paga. Fa il commesso nel negozio delle cose che tutti vorrebbero raccontare a cena. Sono le cose da niente e le vale tutte.
Per lui c’è la rossa che non può avere perché io valgo e si ignorano con ampi segni di malvenuto reciproco. Poi c’è la mora della porta accanto a quella dell’anno scorso. Ha bevuto la fiamma di una candela e se ne va strisciando. Qualcuno va in bianco o tutto attorno scende musica da parrucchiere?
Entra il nero con la sua valigia di pregiudizi raccolti lungo la strada. Li vende al cinese in cucina mentre lava di lacrime i frantumi di un giallo che gli è scappato di mano. Sale il vapore dei discorsi inutili, tra i gingilli di una cocca di mamma e il suo figlio di papà.
Le parole escono in un ragionevole codice rosso, mentre una gommosa cameriera mastica ordini dal basso. Entra luce dalla finestra. È l’indecisione perenne di un semaforo sempre verde e non se ne parla più. Abbaia il cagnolino marroncino col cappottino. Lo rincorre sulla porta la grassa signora con l’ombrellino e i due si rotolano nella pioggia di ridicolo che li circonda.
Strilla sul tovagliolo il cellulare di uno che è andato via senza. È un dottore e qualcuno muore. Chi muore diventa spettro dall’ipervioletto all’ultrarosso. Quasi come l’ubriaco al verde, che si offre un altro giro astemio. Fuori qualcuno si vomita Martini Bianco sulle scarpe di coccodrillo. E da una valigetta di carta riciclata escono ventiquattr’ore di conti in rosso.
Il rappresentante beve alla russa e la russa se le beve tutte e fa finta di aver capito e di non capire. Viva l’amore, i fidanzatini si baciano con la lingua del momento. Lei si beve un succo di cielo, lui spremuta di tasche. È il rosa dei 20. Il signor Rossi, avvocato delle cause perse, si innaffia di retorica davanti al suo lucido specchio riflesso.
Le canne nel cesso. Due o tre o quattro amiche per mano si vanno a rifare i connotati in bagno per l’uomo dei sogni altrui. Una è Bianca, l’altra è Viola. La terza Azzurra ma she feels blue. Alzi la mano chi non ha mai alzato il gomito. La figlia del dottore si ammalò con un sorso di whisky più vecchio di lei.
Il barista occhi di ghiaccio. La stronzetta labbra di frutta. La sua amica lì da sola beve per dimenticarsi. E io tiro con una cannuccia viola e blu dal mio quartino di rum.
[Anche in versione a colori]
nah. pollice verso.
Non so se è intento, ma l’ho trovato pesante alla lettura.
..presuntuoso,
non fa ridere, ne piangere, ne pensare in generale.
fai solo fatica a leggerlo nel tentativo di trovarci il senso dietro.
forse è fatto apposta.. (?)
ma neri, dov’è?
dopo quella robaccia della fallaci si è ritirato? scelta comprensibile.
LockOne, se lo trova indigesto vada almeno a vedersi il link. Ho messo le figure apposta per quelli di bocca buona.
Mr White, più che pesante direi denso. Può sempre diluirlo con qualche articolo di giornale, se le pare.
Over, né si scrive con l’accento e i puntini di sospensione vanno distribuiti nel numero di tre alla volta.
accetto qualunque critica sulla forma pessima del mio scritto maestra, ma concentrati sui contenuti, perchè la forma uno volendo si impegna e migliora, ma i contenuti, quelli non te li insegna nessuno.
Brutta cosa l’invidia.
Anzi, stronza cosa.
..che poi anche della forma, se ne può parlare, perchè vabbeh, sai contare fino a 3 punti, però non si può dire che la roba che hai scritto sia scorrevole.. saranno licenze, come si dice, poetiche?
“avrai notato che ad alcuni rispondo cortesemente, ad altri no, ad altri non rispondo proprio.
Ad alcuni ho fornito fonti e altre cose, ho proseguito il colloquio separatemente; altri li ho mandati serenamente affanculo.
Un perchè c’è, a voi scoprirlo.”
bla bla “commentate il post, non me.” Cit.
Sinceramente non l’ho capita, ma mi è piaciuto. Uno stile da LA 2014. Molto bello..
malriuscito spot per la multinazionale sony.
come siamo caduti in basso
Over, beati i poveri di contenuti perché andranno nel regno dei testi.
Filippo, mica tutti vogliono essere noi, grazie al cielo. Né possono permetterselo né casomai ci riescono, perdìo.
Fabrizio, lei è un vero intenditore. La prego di indicarmi una libreria o un cinematografo, oppure un circo o un laboratorio d’analisi in cui reperire questo LA 2014, affinché io possa comprendere il significato del suo paragone e lusingarmene.
Mauro, che i colori le siano negati per sempre. Sappia, tra l’altro, che sta parlando con un’addetta ai lavori.
Gran brutta cosa essere troppo innamorati del suono delle proprie parole. Questo raccontino è così saturo di figure retoriche che al suo confronto la Divina Commedia pare il codice della strada. Trasuda snobismo dalla prima all’ultima parola – a testimonianza del fatto che, quando non si è avvezzi alla platea, si tende a strafare.
Mi dolgo, mi creda, a commentar in siffatta maniera il suo scritto; perché Lei, o sig.na, tralaltro mi par è proPio una discreta PHIGA (con risp. parl.) perciò non prenda troppo sul serio queste parole, la mia è tutta invidia.
saluti
Il Proeta
Non ci ho capito una mazza ma ultimamente capisco poco in genere e poi a me mi piaci uguale:-)
Da che parte mi metto? con noi o con loro?
la prima volta non s’e’ capito bene, ora preciso: fa cagare. anzi fa’ cagare…………………….. addetta ai lavoretti.
Toh, guarda. “…My old nemesis, we meet again”.
A me invece ricorda alcuni testi di Elio, con le parole che vengono usate per il loro doppio (e a volte triplo) significato e l’uso parziale di luoghi comuni e modi di dire.
Da non addetto ai lavori (intendo la scrittura) mi pare che avrebbe bisogno di una limatina perché è un po’ ruvido: forse la punteggiatura, forse il suono delle parole, forse proprio il doppio significato che fa fare una piccola pausa al lettore fa anche inceppare.
Lo trovo comunque interessante; mi piacciono questi giochi con le parole e i significati.
Lo spot è semplicemente MAGNIFICO. Al pari di quello della palline.
C’è una questione che non viene mai fuori. La famosa “nostra cultura” da difendere spasmodicamente, sarebbe? La pupa e il secchione? La Gregoraci? Luxuria vs Gardini? Prodi vs Berlusconi? Materazzi vs Zidane? L’augurare carcinomi? Dare compiaciuti del pirla (Robecchi) e della testina di cazzo (Facci), autodefinirsi compiaciuti Stronza e vezzeggiare l’altra come “Cosina insulsa”? Gioire perché tutto questo è sintomo di grandi personalità a confronto e scoppiettante dibattito? Esultare perché abbiamo fatto strame del politically correct? Scusate, ho messo una quantità di punti interrogativi che nemmeno Arbasino – però se è questo quello che siamo, non è che mi meravigli più di tanto se gli inviti a difendere tutto ciò a spada tratta contro il kebabismo dilagante facciano così pochi proseliti.
Che diavolo è successo? Volevo commentare il rissone nel post di Facci, invece il commento è apparso qui. Boh, magari finisce per trovarcisi bene, eh.
Non è neanche tanto il racconto in sè quanto l’indisponibilità ad accogliere le critiche (qualcuna mi pare ben fondata) a far dubitare della serietà del professionismo di cui si ammanta la signora Giordani
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