L’aspetto più evidente che traspare frequentando da consulente la grande azienda privata e pubblica italiota è la sconsolante similitudine tra una e l’altra: una conduzione amorfa e priva di personalità, una gestione più orientata agli interessi personali (estesi naturalmente alla “cordata” di appartenenza) che agli interessi collettivi, la paura del fare perché inteso come possibilità di errare, i ritardi decisionali che diventano delle occasioni perdute e via dicendo.
Questa situazione è prevalentemente dovuta ad un mancato ricambio della “classe dirigente” e quindi ad una stagnazione sociale ed intellettuale che pervade il nostro paese in lungo e in largo. Scrive l’Economist in un articolo sull’Italia dal titolo “Heaven for geronotocrats”: “l’Italia sta diventando una nazione di gerontocrati. In nessun altro Paese d’Europa la vecchia guardia è incollata al potere in modo così accanito. L’esclusione dei giovani sta diventando un fatto strutturale”.
Queste considerazioni si estendono in modo ancora più netto alla classe che governa il Paese da tempo.
Le conseguenze inevitabili di una gerontocrazia al potere sono la mancanza di visione temporale e, conseguentemente, di strategia. La strategia anzi, così come viene intesa, è essenzialmente basata sui dettami e i capricci del “capo”, spesso conseguenza di pressioni di cordate a cui dover restituire il favore della nomina.
Ogni cambiamento e ogni rinnovata velleità viene usata e ordita a fini strettamente “privati”: in sostanza non c’è continuità né coerenza nell’ideazione e nell’applicazione strategica, è limitatissima la proiezione temporale e, quello che è peggio, vengono messi in secondo piano gli obiettivi “naturali” di ogni organismo/organizzazione, ovvero sviluppo, sana crecita, miglioramento della qualità di vita.
impossibile dare torto. Questa gerontocrazia, quelli che scalfarotto ha definito i “perpetui”, hanno come unico obiettivo quello di tutelarsi e di avvitarsi alle poltrone. La verità è che la generazione dei trentenni deve attraverso il conflitto (politico), cercare di svitarli.
Mai letto un “articoletto” così lucido sul problema di fondo della macchina-Italia. Se non ci si sveglia un pochino, e alal svelta, da qui a diec’anni bisognerà imbracciare il Kalashnikov.
credo che la ragione di questa brutta abitudine italiana sia la paura. la paura degli italiani di cambiare. sempre e comunque.
l’acqua non è calda, bolle.
Sono anni che accade, nel frattempo i trentenni sono diventati quarantenni e ci sono intere generazioni sfasciate da questa fossilizzazione. Con assistenti di università cinquantenni. Assunti (assunti?) negli uffici a quarant’anni. In stage presso le aziende a 28.
Paese di merda.
e: Sì, sì, non dico che non si possa andare all’estero, ma intanto questo è un Paese che va a rotoli.
Perchè essere così pessimisti?Si intravedono pure due belle luci alla fine del tunnel
Sinceramente non pensavo fosse un problema così esteso.
Sì, se ne parla da sempre, ma forse forse speravo dentro di me che quello che ho visto nella mia per ora breve, triennale, esperienza di consulente esterno in multinazionali fosse un caso sporadico.
Poi ne ho parlato con amici all’estero che si ritrovano capi e dirigenti non dico 30enni, ma almeno 40enni, con idee e voglia di fare.
Nell’azienda dove sono come consulente ora, il dirigente di medio-basso livello (quel passo sopra il quadro per intenderci) più giovane ha 59 anni!
Sono quasi d’accordo. Vedo in giro una grande voglia di espellere gli over 50 dal mondo del lavoro, contemporaneamente però si parla di aumento dell’età pensionabile.Sicuramente ci sono cariatidi avvitate alla poltrona ma ci sono anche manager attivi e pieni di idee e voglia di fare che non hanno trent’anni, ma che vengono comunque esclusi, dalla “stanza dei bottoni”. E magari i trentenni devono svegliarsi un po’ e mollare la casa di mammà
Direi che l’articolo è una fotografia della realtà di ogni giorno ci troviamo ad affrontare. Non è però l’acqua calda, perché alla fine c’è il rischio che per le prossime generazioni (e già per la mia, dei venticinquenni) sia normale dover vivere con i genitori fino a 35 anni, avere figli anche più tardi ecc.: quello che è una variante sociale diventa natura, e si finirà per prenderla come qualcosa di ineluttabile o normale. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: dai candidati premier ad Andreotti candidato alla presidenza del Senato, ma anche nel quotidiano delle aziende o dell’amministrazione pubblica (gestita spesso come un feudo). Riassumendo con Grillo: la cosa che fa più paura è che le decisioni sull’evoluzione tecnologica e sul futuro a medio termine (diciamo 30 anni) del paese siano in mano a gente (sessantenni) che quel futuro non lo vedranno.
La risposta c’e’, e si chiama mercato: liberalizzazione del mercato del lavoro,
liberalizzazione dei servizi (banche e idraulici, per es.), federalismo fiscale (cosi’ Cuffaro si paga da se’ i suoi protetti), privatizzazione delle universita’ (cosi’ le universita’ incompetenti vengono punite), formazione di authorities piu’ competenti ed incisive, riduzione/accorpamento/semplificazione delle leggi etc.
Ma noi abbiamo Bertinotti, Rosy Bindi e Storace e non succedera’ mai (o forse si’, nel 2050).
Buona fortuna a tutti, io sono all’estero da tre anni e in Italia vengo per i miei, i miei amici e in vacanza.
La risposta c’e’, e si chiama mercato: liberalizzazione del mercato del lavoro,
liberalizzazione dei servizi (banche e idraulici, per es.), federalismo fiscale (cosi’ Cuffaro si paga da se’ i suoi protetti), privatizzazione delle universita’ (cosi’ le universita’ incompetenti vengono punite), formazione di authorities piu’ competenti ed incisive, riduzione/accorpamento/semplificazione delle leggi etc.
p.s.: e’ la terza volta che provo a spedire il post e mi da’ errore. Macchianera, che succede?
Il brutto è che non mi sembra che ai “giovani”, o a chi avrebbe modo di comportarsi come tale, o in modo meno gerontocratico, questa situazione non vada poi tanto male.
L’Unione Sovietica era il regime gerontocratico per eccellenza, e avete visto che fine ha fatto.
Avanti il prossimo ( noi ? )
Premetto che generalizzerò in modo non condivisibile. Ma visto che il clima è questo mi adeguo.
Non sono i vecchi il problema.
E’ l’impreparazione dilagante.
I “vecchi” almeno qualcosa (pi-erre, clientele, una mano lava l’altra) sapevano/sanno fare.
I giovani ahinoi sono clamorosamente privi di qualsiasi competenza. Chi ce l’ha non sta qua.
E quelli “in mezzo” come me non sanno che pesci prendere.
I famosi quarantenni.
Non scafati come i vegliardi.
Non anagraficamente appetibili come i giovani.
Ovviamente esistono eccezioni. Ma la situazione media è questa.
I giovani sono mediamente privi di competenza, ringranziando anche il livello sempre più mediocre di scuola e università.
Ecco, per mia esperienza so quanto l’università italiana sia il paradiso della gerontocrazia, dove baroni ottuagenari fanni il brutto e il cattivo tempo, e gli unici giovani che hanno una carriera assicurata sono i loro figli e nipoti.
Gli altri giovani, quelli dotati da madre natura di certe capacità, o si adeguano a stipendi da 800€/mese, o vanno via, oppure trovano il santo in paradiso.
Sembra un luogo comune, ma potrei fare nomi e cognomi, e non mi pare il caso qui…
Carlo, tu proponi un bello stato di natura, dove il più forte vince e gli altri soccombono. Bene, farai fuori i vecchi gerontocrati, ma anche tutti i poveri che le tue belle università private non se le potranno permettere. E in questa bella lotta alla sopravvivenza, idraulico contro idraulico, manager contro manager, vincerà solo chi saprà rinunciare a vita, famiglia, pace per lavorar egiorno e notte. Mhhm, che belle il mercato. Quasi quasi, l’immobilismo dell’Iytalia gerontocratica è meglio. Certo, mi tocca vivere con mamy e papy fino a tardi, ma almeno ho la possibilità di studiare pur essendo povero, e il tempo per dormire.
Piantiamola con questa ideologia del mercato! L’efficienza e la sconfitta della gerontocrazia le si possono ottenere anche senza rinunciare all’equità, a tutti i diritti e le protezioni sociali. D’altra parte la fare facile voi liberisti, siete sempre froci col culo degli altri. Facile chiedere la privatizzazione delle università quando siete pieni di soldi. Facile sognare l’arrivo dell’idraulico polacco, quando non siete idraulici.
Siete più ideologici voi dei comunisti.
Leggetevi l’articolo in prima pagina sul Sole di oggi.
“Il banchiere, il politico e l’arti di dire NO” di Tommaso Padoa-Schioppa
Mi raccomando non perdetevi il proseguo a pag. 10.
Giusto un assaggio.
“Dire di no a qualcuno significa dire di si a qualcun altro. Per esempio, nella nostra europa che invecchia dire un no ai beneficiari odierni delle pensioni significa dire di sì ai loro nipoti”
FANTASTICO.
Caro Red,
non sono d’accordo. Prendiamo il caso dell’universita’ (ma idee simili si applicano agli altri casi). Tu dici che con la privatizzazione i poveri non possono andare a scuola. Questo e’ falso per molti motivi, fra i quali:
1) in Italia all’universita’ ci vanno i ricchi.
Leggiti questo articolo di Perotti su La Voce (non sul Giornale):
http://tinyurl.com/yy4dzr
Una sola citazione: “il 24 per cento degli studenti universitari italiani proviene dal 20 per cento più ricco delle famiglie; solo l’8 per cento proviene dal 20 per cento più povero.”
2) la privatizzazione delle universita’ e’ compatibile con sussidi agli studenti meritevoli e bisognosi. Questi sussidi possono essere vouchers forniti dallo Stato o finanziamenti da parte di fondazioni private. Io non ho escluso tali forme di assistenza.
3) la scelta di studiare e’ per molti un investimento: sacrificano un reddito oggi per un reddito piu’ alto domani. Se il sistema bancario funzionasse correttamente e il mercato del lavoro pure, non dovrebbe essere difficile trovare qualcuno che ti finanzia gli studi. Ora sei povero ma domani, con gli studi, sarai ricco e mi potrai ripagare il prestito con interessi.
Tu puoi dire: “bello, ma sono fantasie!”.
Non proprio. L’ineffabile Bertinotti una volta si scandalizzo’ del fatto che Harvard costasse $40000 l’anno. Quello che non menziono’ e’ che in Amerika si ottengono prestiti per studiare, anche di cifre molto considerevoli, come, appunto, $40000 l’anno.
Il problema e’ che in Italia, tranne Giavazzi che viene preso a ceffoni dai tassisti, non c’e’ nessuno che dica queste cose da un pulpito autorevole. Il comune cittadino non e’ esposto a queste idee ma cresce con Marx e il Vangelo dove il profitto e’ demonizzato. E infatti l’Italia sta dove sta.
Ancora, buona fortuna: se a voi va bene cosi’, io non ho molto da dire (c’e’ la questione dei vostri nipoti, come dice Stronza; ma astraiamo da quella, per ora). A me non va bene, e me ne sono andato.
Già, andaresene.
E poi puntare il dito da oltrefrontiera e criticare.
Non sei il primo che lo fa, caro Carlo.
Ma non ti fa certo onore.
MT, io spero che il mio criticare sia costruttivo. Mi spiace se nel tono del mio intervento c’era dell’acredine, del tipo “ben vi sta!”. Di questo me ne scuso.
Pero’ l’opposizione al mercato e’ trasversale a quasi tutti i partiti: se i cittadini non reclamano piu’ mercato, dato che per fortuna siamo in una democrazia, i politici non la metteranno nelle loro piattaforme politiche.
Insomma, se non ci diamo una mossa, questa situazione continuera’ a lungo.
Al mio paese sono attaccato. Pero’ a volte mi fa molto incazzare perche’ mi sembra non capire per nulla la natura dei problemi che lo affligge.
Un saluto.
Caro Carlo, vero, anche l’università di oggi è molto classista. ma quella che tu vorresti secondo me lo è di più. Veramente negli Stati Uniti tutti hanno pari possibilità di studiare? Certo ci sono le borse di studio e i prestiti per i geni con QI altissimo (la società investe su queste persone perchè ha bisogno di intellegenze), ma per tutti i ragazzi normodotati ciò che conta è il censo: se hai una famiglia ricca vai all’università, altrimenti ciccia. Non ho dati a disposizione, ma sono sicuro che l’istruzione italiana è molto meno classista di quella USA (oltre a fornire una preparazione media più elevata, per lo meno prima della riforma dell’università). Poi si può anche discutere su forme per rendere l’università più efficiente, e tra queste ci può anche essere un consistente aumento delle tasse accompagnato da agevolazioni per i poveri (sul modello segnalato da Perotti), ma da qui all’università privata all’americana ce ne passa.
Tra l’altro, a proposito di riforme dell’università ti segnalo i mirabolanti risultati ottenuti da un appassionato del mercato come Blair: http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=124738 .
Se questi sono i vostri modelli, continuo a preferire lo schifo esistente.
Analisi giusta di Milton.Credo come Carlo che liberalizzare e privatizzare aiuti, ma con controllo che alcune realtà come l’università per esempio mantengano finalità di ricerca per la comunità e non facciano come ora che invitano dj e attori o presentatori televisivi per darsi la patente di “fighi” tra i 18enni imbottiti di tv che pensano che andare all’università sia come andare ad un party.Ai giovani va messo pepe al c**o, magari mostrando loro le decine di milioni di laureati in medicina e informatica o ingegneria cinesi e indiani moooolto più preparati e motivati di loro. E non perchè hanno le università migliori, ma perchè studiano.
Dei vecchi,bhè bisognerebbe toglierli di mezzo.
E poi ci sono quelli di mezzo, come me. Né vecchi né giovani, attorno ai 40. Bhè abbiamo avuto un’occasione magnifica: tangentopoli (comne la Spagna ha avuto la caduta di Franco). MAndare a casa non solo politici, ma tutta una classe dirigente nelle aziende, nei posti chiave dell’università,una generazione di manager, ma nache di creatori di idee e d icreativi: e invece siamo ancora qui che compriamo le compilationi di claudio baglioni con le canzoni degli anni 60!!!
Non abbiamo saputo cogliere l’occasione. parlo per esperienza diretta – e non per sputare nel piatto in cui mangio, ma come rilievo sociologico: guardate per esempio le radio, fenomeno giovane degli anni ’80: sono ancora lì con dentro gli stessi speakers di 20 anni fa. Sono durati più di Mussolini e quasi come la democrazia cristiana. Colpa anche di una generazione che non s’è creata fenomeni propri (politica per i 70, edonismo per gli 80, cosa hanno espresso i 90 e dopo?)
ad un certo punto certi simboli hanno cominciato a vacillare.Primi anni 90: Si è cominciato dalla politica. il fenomeno si poteva poi estendere anche a tutto il resto. Le elezioni sarebbero state un banco di prova. Invece… Nel 1994 milioni di giovani italiani tra 18 e i 30 anni votarono per il vecchio che avanzava. Fu l’apporto decisivo. quello che è accaduto dopo non è stata colpa però di S.B. Non solo: i 12 anni di stallo, di status quo, sono stati voluti dagli italiani stessi, giovani compresi. Pensavano di proteggere i loro miseri privilegi. magari di famiglia, magari per sentito dire. Il paese si è fermato.Guardate il nord-est: decine di migliaia di fabbrichette e di padroncini.Anni 90: la ricchezza, poi forze politiche a difendere, istingando all’arroccamento, quei miliardi accumulati e non reinvestiti in lavoro e progetti e formazione. Milairdi goduti e basta, alla cieca. Con i giovani figli di papà a girare con le macchinone. A non studiare. Poi il mercato si è evoluto, la situazione economica generale pure, cambiavano anche sistemi di produzione e vendita..bisognava fare mercato all’estero, riconvertire. E quei giovani figli di papà che stavano ereditando le fabbrichette dai loro padri e che s’erano fermati alla 3a media ( tanto che te frega g’avemo i schei..) oggi sono costretti alla crisi e alla chiusura o devono affidare a giovani manager magari stranieri a tecnici stranieri, le loro aziende. perchè loro non sanno alla lettera neanche far funzionare i nuovi macchinari, i computer necessari alla produzione. Capita, capita.E capita anche per tante altre categorie di lavoro,impresa, creatività. insomma come la storia dei 30 eeni che vivono con mamma e papà.E’ per lo più colpa loro se sono ancora lì. stanno comodi così. E quelli siamo noi,la nostra, la mia generazione. siamo noi quei giovani di allora, oggi cresciuti, quarantenni come me, che si lamentano come me. E quindi mi piacerebbe non essere anche io un 42enne, ma essere un alieno: guarderei questi 40enni pur facendo di tutta un erba un fascio (ma nella storia funziona così) mi toglierei la soddisfazione di dire a questa bella gioventù scolorata: potevate pensarci prima, adesso crepate.
Solo un’aggiunta, scusate: di chi è la colpa se nel nostro paese ci sono 55.000 iscritti a scienze della comunicazione e solo 4.500 iscritti a Fisica e Chimica sommate tra loro? deio giovani o dei vecchi?
Ciao Red, grazie della risposta e scusa per la prolissita’ della mia, ma l’argomento mi sta molto a cuore.
Riguardo alla questione, resto in disaccordo con te. Se consulti i dati, ti accorgi che non e’ cosi’. L’Italia ha una percentuale molto bassa di laureati rispetto a molti altri paesi, come ad es. gli USA. Puoi provare a guardare questi dati, alla voce “education”:
http://tinyurl.com/usphs
La Voce poi ha una sezione sulla scuola in Italia:
http://tinyurl.com/ye8uvc
Non conta solo il censo in USA per l’accesso allo studio. Possono finanziarsi tramite programmi federali, prestiti e, ovviamente, lavorando o prima degli studi o durante. Piu’ fanno bene negli studi, piu’ e’ facile avere accesso a questi fondi; e non solo i geni ottengono fondi.
Considera poi che gli USA hanno piu’ mobilita’ sociale che da noi. Qui i figli di immigrati vanno al college e diventano piu’ ricchi dei genitori. Vedi niente del genere in Italia? Quali sono le prospettive per i figli degli immigrati in Italia?
Sulla qualita’ degli studi dissento fortemente. In USA si laureano a 22 anni, prima della riforma in Italia ci si laureava in media a 27 anni. In tutto questo tempo, molti laureati non imparavano nemmeno l’inglese e usare Microsoft Office, tanto per dirne due.
Un punto importante infine: la scuola in Italia non e’ gratis, qualcuno la paga e cioe’ il cittadino con la tassazione. Trovi giusto che il 22enne metalmeccanico venga tassato perche’ il suo coetaneo ha deciso, invece di lavorare, di andare all’universita? Io no.
Non conosco la situazione inglese e quindi non posso risponderti.
Insomma, rimango della mia opinione. Un saluto.
Carlo,
solo per dirti che sono d’accordo con te.
Mi piace quello che dici e come lo dici, portando dati e pensieri.
Mi piace soprattutto il tuo coraggio, perché per me è coraggioso (oltre che esacerbato) chi va via dal suo Paese d’origine. Un mio amico lo ha fatto, ora vive in Canada e ha raggiunto in sei o sette anni posizioni che qui in Italia non avrebbe mai, e dico mai, raggiunto. I suoi meriti e i suoi sforzi sono stati riconosciuti, apprezzati, pagati.
Sono le esperienze come le vostre, più che le parole di Bertinotti o di chissà chi, che tengo presenti quando osservo l’Italia e mi dolgo per i suoi enormi difetti, perché indicano una strada per provare a uscire dalla palude.
Ciao Carlo, grazie per i link segnalati. Approfondirò con piacere questo tema. Al momento resto della mia opinione come tu della tua. Vorrei solo sottolineare due punti della tua risposta:
“Non conta solo il censo in USA per l’accesso allo studio.”
Non solo il censo, ma sicuramente anche questo. Ho in mente soprattutto le immagini dei tanti ragazzi che si arruolano nell’esercito per pagarsi gli studi. E’ una pratica molto diffusa negli States, gli arruolatori vanno proprio davanti alle scuole nelle zone più depresse a cercare nuovi volontari da spedire in Iraq. E lì, sai bene che fine faranno molti di loro.
Un modello di questo tipo non potrà mai andarmi bene.
“la scuola in Italia non e’ gratis, qualcuno la paga e cioe’ il cittadino con la tassazione. Trovi giusto che il 22enne metalmeccanico venga tassato perche’ il suo coetaneo ha deciso, invece di lavorare, di andare all’universita? Io no.”
Trovo giusto che sia la collettività a finanziare l’università (o meglio, è certamente giusto che finanzi gli studi dei meno abbienti), se poi è giusto che tra i tassabili ci siano anche i redditi bassi come quello del metalmeccanico da te citato è un discorso che riguarda un altro tema.
Saluti.