Rossana Rossanda ha diritto di confondere a suo piacimento la sua biografia e la nostra Storia, ha diritto di raccontarsele come ha fatto di recente nel suo romanzo “La ragazza del secolo scorso” edito da Einaudi: ma nel momento in cui torna a occuparsi di Storia con la s maiuscola, come ha fatto sabato sul manifesto, risponderle diviene un imperativo ebbene sì, autenticamente morale.
Parole grosse?
Per niente, dal momento in cui un quotidiano destinato giustamente a sparire dal mercato, il manifesto, torna a riaccreditare Mao Tzedong con argomenti che travalicano ogni libertà di opinione e rasentano neanche l’omissione: la menzogna pura.
Il pericolo, beninteso, è meramente che una copia del manifesto possa essere abbandonata nell’anticamera di un dentista e possa esser letta per caso da un bambino: lungi da me, per il resto, la velleità di redimere chi probabilmente vive da quarant’anni in un mondo parallelo e seguita a negare ogni realtà pur di giustificare la propria vita, le proprie allucinazioni ideologiche.
“Trent’anni dopo, onore a Mao” titola il manifesto prima che la Rossanda lo festeggi così: “Ha fatto per il 70 per cento le cose giuste e per il 30 per cento le cose sbagliate”. E’ un celebre detto cinese, ma la Rossanda lo fa suo. Del resto, aggiunge, “Il volto di Mao è ancora dappertutto in Cina”. Ecco, cominciamo da questo.
Il profilo di Mao, a essere onesti, rimane giusto sulle nuove banconote, per quanto la nuova Cina risieda simbolicamente più nelle banconote che nel faccione di Mao. Il New York Times del primo settembre scorso, invero, ha spiegato che Mao è sparito persino dai libri di scuola cinesi: uno soltanto, tra i cinquantadue capitoli del manuale per le scuole superiori, è dedicato al socialismo e al suo futuro radioso, con l’imperatore rosso confinato a un semplice inciso dentro un capitolo che parla dei funerali di Stato “come quando morì il presidente Mao”, settembre 1976. Spazio a Bill Gates e all’importanza della cravatta, piuttosto, e poco o nulla, invece, sulla Rivoluzione Francese e sui Soviet di Lenin; la cosiddetta “Lunga marcia” è citata solamente nei testi delle scuole medie, mentre della più grave carestia della Storia, il cosiddetto Grande Balzo, e così pure della celebre Rivoluzione culturale, neppure una riga.
E neppure una riga, per molti aspetti, ne scrive parimenti Rossana Rossanda. A esser precisi, la mette così: “Si è parlato di 8 milioni di morti nella carestia provocata dal grande balzo. Ma sono rilevazioni più dei demografi che basate su una documentazione”. E’ vero, è difficile documentare: ma le stime degli storici e non dei demografi, pur difficoltose e approssimative, oscillano mediamente tra i 20 e i 43 milioni di morti, non 8. E questo solo dal 1959 al 1961. I contadini uccisi furono 5 milioni mentre altri 5 furono internati: stiamo parlando, ricordiamolo, della provocata carestia già definita “la più grande di ogni tempo” che vide decine di migliaia di famiglie riunite in unità industriali che dovevano avere tutto in comune, dai pasti (loro assenza) ai disgraziatissimi metodi agronomici importati dall’Urss, questo mentre la propaganda del Partito arruolava dei professori che descrivevano una presunta speciale fisiologia dei cinesi “che rende superflui grassi e proteine”.
Stiamo parlando, ricordiamo pure, del mito della “ciotola di riso a ogni cinese” addebitato a Mao, rivelatosi clamorosamente falso soprattutto nel periodo della tragedia (vera) dei bambini uccisi e utilizzati come concime o peggio mangiati dopo scambio con le famiglie del vicinato.
Ma se c’è resipiscenza, in tutto questo, eccolo nelle parole di Rossana Rossanda: “C’è una parte dell’io che ha bisogno d’un luogo suo, riparo di una indentità immediata che non matura sulla parola d’ordine”. Come autocritica, difficile che in Cina gliel’avrebbero passata.
“Si parla di un milione di morti nella rivoluzione culturale”, ammette poi la Rossanda. E anche qui: la maggior parte dei testi parla di una cifra che varia invero dai 6 ai 10 milioni di morti violente: compresi i centinaia di migliaia di tibetani sterminati nello stesso periodo ed esclusi i 20 milioni di “contro-rivoluzionari” parimenti morti in carcere. E’ un periodo che gli storici dividono in tre fasi: violenze contro intellettuali e quadri politici nel ’66-’67; scontri tra guardie rosse nel ’67-68 e fase in cui i militari, alla fine del 1968, riprendono il potere. E’ la Rivoluzione culturale, un fervore in cui i giovani ribelli rivoluzionari sono perlopiù dei ragazzini santificati da Mao che notoriamente ammazzarono e brutalizzarono professori e quadri di partito e più in generale sedicenti “vecchi”. Nell’agosto 1967 la stampa di Pechino incitava così: “Gli antimaoisti sono ratti che corrono per le strade, ammazzateli, ammazzateli”. Nella regione del Guangxi, è appurato, furono divorati almeno 137 tra quadri politici e professori di collegi: la carne umana fu distribuita nelle mense e divorata da alcune guardie rosse.
Ma Rossana Rossanda onora Mao, e la mette così: “Solo Mao l’incendiario consiglia ai giovani di sbagliare e correggere i propri errori, ma non andrà così, non occorre uccidere. (…) Molti, che non resistono alle umiliazioni pesantemente simboliche, si uccidono”.
E’ colpa loro, erano dei deboli. Non che il suicidio, nella storia cinese, sia tesi infrequente, tuttavia lo storico francese Jan Louis Margolin ha preferito metterla così: “Non c’è modo di sfuggire agli accusatori se non con il suicidio, soluzione scelta da quanti vogliono sottrarsi alla vergogna dei rinnegamenti uno dopo l’altro, all’infamia delle denunce obbligatorie dei colleghi. Agli stessi fenomeni, amplificati e con più violenze fisiche, si assisterà durante la Rivoluzione culturale”.
Sullo sfondo lui, Mao, ora incedibilmente onorato per quanto già da lustri svelato come lunatico, ferocemente egocentrico, terribilmente vendicativo, dissoluto sino all’ultimo come raccontato dal suo medico personale Li Zhi Sui. Lo stesso partito comunista cinese, benchè solo nel 1979, circa la politica di Mao ebbe a distinguere tra “grandi meriti” sino al 1957 e “grandi errori” sino al 1975: la Rossanda, in Italia, non c’è ancoora arrivata, e il manifesto a ruota.
Ma l’omissiva vergogna di oggi non è che il remotissimo riflesso del miraggio di ieri, la speranza di una rivoluzione culturale all’italiana cui tanti, troppi, officiarono.
Umberto Eco, il manifesto, 1971: “Dobbiamo spiegare a tutti che i cinesi sono diversi, e per questo i borghesi non devono amarli… se esistono settecento milioni di persone in un paese povero, è impossibile che ciascuno si vesta come gli piace, perché altrimenti qualcuno andrà vestito peggio degli altri, e comunque l’uniformità del costume è anche il segno del sacrificio che tutta una comunità fa per garantire un minimo di benessere a tutti”.
Franco Basaglia, Panorama, 1974: “In Cina la stragrande maggioranza dei malati è curata politicamente, con il pensiero di Mao. Una soluzione che può sembrare semplicistica a un occidentale, ma a cui comunque va riconosciuto un grosso vantaggio: quello di trattare i malati come tutti gli altri”.
Barbara Spinelli, Repubblica, 1976: “Per la Cina, qualsiasi esperienza liberale potrebbe significare la fine di una nazione”.
Giuliano Zincone, Corriere della Sera, 1976: “Eravamo a Shaoshan, il paese di Mao… Le emozioni sono tutte concentrate nel piccolo museo dove la straordinaria carriera del rivoluzionario è illustrata da pannelli a colori. Sono emozioni politiche: l’interprete scoppia in singhiozzi mentre descrive le persecuzioni subite dai parenti di Mao”.
la questione non è solo geografica, Auschwitz viene liberata il 27 gennaio, Buchenwald il 12 aprile, 8 giorni prima dell’ingresso dei sovietici a berlino.
sui rapporti russo tedeschi prima dell’operazione barbarossa, stiamo dicendo la stessa cosa, c’era il patto molotov-ribbentrop, c’era pure l’accordo segreto per l’occupazione dei paesi baltici, quello che ha ritirato fuori kohl e che gorbacev s’era “incidentalmente” perso,e nel frattempol’urss si è fatta le sue guerre di occupazione sia contro la polonia che contro la romania, ma detto questo non può essere considerata belligetante, così come fino a pearl harbour non viene considerato belligerante il giappone.
pure i 20 mln di morti so in gran parte colpa delle purghe di stalin e della sua volonta di non credere al tradimento tedesco, tra l’altro non credette neanche agli avvertimenti di sorge.
detto questo il nazismo, militarmente è stato battuto principalmente dalle truppe sovietiche, e anche alla capacità dei sovietici di spostare gran parte delle proprie industrie al di là degli urali
Scusa Filippo, prima di riasponderti, una richiesta, per poter partire dalla stessa base dati:
potresti riportarmi le fonti da cui hai tratto tanta certezza sulla storia dei bambini bolliti e dei 137 politici divorati dalle guardie rosse? (quelle sui milioni di morti sono irrimediabilmente diverse da storico e storico, ma dati così peculiari come quelli ritengo dovrebbero essere universalmente riconosciuti, per cui vorrei informarmi meglio).
Grazie.
Per farsi un’idea dell’argomento consiglio “La porta proibita” di Terzani. E’ un libro del ’84 riedito nel ’98 ma scritto da chi in Cina ci ha vissuto davvero.
Mentre noi quattro gatti ci balocchiamo con discussioni sui vaneggiamenti di una “ragazza del secolo scorso”, finendo, come trent’anni fa, a sputare sentenze su comunismo, fascismo, auschwitz, americani e compagnia cantante, i cinesi si sono inventati il vero turbocapitalismo dal volto disumano, e di Mao Zedong, Mao Tze Tung o come cavolo si chiama, se ne infischiano allegramente.
Se la Rossanda, nel 3000, ha ancora voglia di rendere omaggio a Mao, e se qualcuno le pubblica tale omaggio, ce ne faremo una ragione. Se Facci ha voglia di risponderle ben venga.
Ma abbiamo davvero bisogno di accapigliarci su partigiani, togliatti, fascismo, colpe accertate e colpe presunte? Dobbiamo sempre fare la figura degli ultras con la verità in tasca?
Facci Culo.
Qualche giorno fa sulle pagine del Manifesto, Rossana Rossanda ha rievocato il profilo del grande timoniere, del presidente-bambino Mao Tsetung, facendo un rapido bilancio delle sue gesta.
Da questa analisi, partita dalla messa in onda sulla rete franco-tedesca Arte di una articolata inchiesta sul suo percorso politico, emergevano due risultati contrapposti facilmente riassumibili: un 70% di esiti positivi e il restante 30% di esiti negativi. A dispetto di tanta precisione si pronunciava qualche giorno dopo Pierluigi Battista che, dalle pagine del Corriere, si chiedeva come mai qualcuno tornasse ancora su temi così desueti, per passare poi ad una rapida rassegna delle efferatezze più spietate di cui il nostro si sarebbe macchiato, rovesciando i termini in gioco per riattribuirgli a suo dire un più equo equilibrio. Comunque sia ho pensato c’è poco di cui rallegrarsi, in quanto fatto il conto su una storiografia assai tormentata e ancora suscettibile di interpretazioni così differenti, mi chiedo invece cosa dire dei tempi odierni, presi come siamo nel vortice dello spamming giornaliero cui ci sottopongono i media di casa nostra. Infatti intanto che parliamo si sta consumando l’ennesimo tormentone finanziario che, dopo esser passato come una delle prime operazioni di privatizzazione nazionale, ha finito per trasformarsi in una voragine di debiti senza fine, con buona pace dei suoi azionisti e di tutti i suoi clienti. Parlo ovviamente della Telecom che, finita inizialmente nella mani di “capitani coraggiosi”, ha proseguito poi il suo cammino per approdare in quelle di soci non meno creativi che, pur di salvaguardare il loro investimento, non hanno badato a spese taglieggiando risorse a destra e a manca, decidendo alla fine di risolvere tutto con un bel spezzatino fumante da offrire in pasto ad un mercato senza scrupoli. In questo bailamme nessuno sembra preoccuparsi dei tanti che in un proscenio simile potrebbero perdere il loro posto di lavoro, magari anche solo per compensare qualche plusvalenza mancata o solo per rendere più attraente una preda già di per sè appetibile. Evidentemente sono argomenti che non vanno più di moda, tanto che per sentirne parlare bisogna aprire la radio e cercare con pazienza certosina l’ultimo lavoro di Bob Dylan, Modern Times, che con la solita maestria sa parlare al cuore e allo stomaco di tanta gente. Guarda un pò se dopo tanti fermenti rivoluzionari, l’assalto al cuore dello stato, la liberazione sessuale e molto altro ancora, dovevamo rivolgerci al solito menestrello di Duluth, che dai tempi di Blowin’ in the Wind riesce a guardare prima e meglio degli altri ai “tempi che stanno cambiando”.
Mah. Da dove sono io, er dibbattito appare un tantino surreale. Ma avete idea di quanti ne ha ammazzati Annibale a Sagunto? Perché nessuno spende mai una parola sulle vittime dei cartaginesi?
Scusate, ho postato due volte pensando fosse Gianluca Neri a scrivere. Non avevo letto chi fosse l’autore del post. Dopo un pò di indagini sulla rete ho capito che è l’autore del post. Ora mi è più chiara l’origine di esternazioni che avevano il vago sapore del populismo berlusconiano … ritiro tutto quanto detto nelle mie repliche.
Condivido alcuni giudizi su Mao … figuriamoci. Non metto la testa nella sabbia.
Sinceramente non ho mai amato la disonestà intellettuale con cui certi argomenti storici e di attualità vengono raccontati dall’entourage giornalistico del portatore nano di bambini bolliti. Con questo non voglio dire che l’autore sia disonesto intellettualmente. Figuriamoci. Non ricordo di aver visto la sua faccia in TV. Ma conoscendo i luoghi e i presunti giornalisti che frequenta … un pò di diffidenza c’è.
http://it.wikipedia.org/wiki/Filippo_Facci
Salvatore, dopo una tale accusa di disonestà intellettuale dovresti contestare con informazioni documentate almeno uno o due punti di ciò che dice Facci.
Di ciò che dice, non di “chi frequenta”.
Vedere accusare gli altri di disonestà intellettule da parte di chi da 60 anni ci racconta di comunismo=paradiso in terra; ci nascose foibe e gulag, adora ancora gentaglia come Stalin, Mao, Pol Pot, Castro, Arafat, Togliatti Bin Laden eccetera, responsabili di migliai e/o milioni di assassinii, nel mentre odia a morte il Psi, Craxi e Berlusconi, al più colpevoli, ma nè più nè meno di Prodi, Occhetto, De Benedetti o delle Coop; fa letteralmente vomitare. Niente da fare : i cervelli, dopo avere resistito alla caduta sopra di essi di un Muro peantissimo, stanno ancora all’ammasso.
Bye
Zena