Ieri, a 12 anni esatti dall’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, RaiTre mandava in onda un bel documento di Roberto Scardova dal titolo “Vacanze africane” (Primopiano, ore 23:20).
Chiaro il riferimento alle dichiarazioni di Carlo Taormina del 7 febbraio scorso: “i due giornalisti nulla mai hanno saputo e in Somalia passarono una settimana di vacanze conclusasi tragicamente“. Non mancarono neppure quelli che “ha ragione Taormina“.
A quelle parole seguì la relazione finale della Commisione Parlamentare, che due settimane più tardi – in contrasto con la minoranza – sostenne la casualità dell’omicidio. Cambiava la forma, non la sostanza: parole diverse per la stessa vergogna.
Eppure il documento di Roberto Scardova sottolinea un aspetto che persone oneste non giocano a trascurare: il 9 febbraio 2006, due giorni dopo i comunicati stampa di Carlo Taormina, la Commissione ascoltava il sultano di Bosaso Abdullahi Bogor Muse, lo stesso che rilasciò una lunga intervista ad Ilaria Alpi (di quel colloquio, oggi, restano appena 12 minuti di registrazione).
Dopo una domanda di Taormina riguardo la conoscenza da parte di Ilaria «sull’utilizzazione delle navi Schifco per il traffico d’armi», alla quale Bogor Muse risponde affermativamente, il Vicepresidente della Commissione (il diessino Raffaello De Brasi) chiede:
Bogor Muse: Sì
De Brasi: Quindi lei ebbe nettamente l’impressione che non solo fosse interessata ma che faceva indagini, voleva sapere e cercava?
Bogor Muse: L’ho dedotto dalle sue parole. Lei cercava le fonti di chi forniva le armi alle fazioni.
La bravissima Mariangela Gritta Grainer, continuando a leggere il resoconto della seduta, riporta una dichiarazione del sultano: «tutti parlavano del trasporto delle armi; chi diceva di aver visto non si vedeva vivo o spariva, o – in un modo o nell’altro – moriva».
Parole che permettono tutto fuorché di arrivare ad una “verità” vicina a quella della Commissione. Nel servizio di Roberto Scardova, l’avvocato della famiglia Alpi (Domenico D’Amati) sottolinea poi come l’ex capo della Polizia di Mogadiscio sia stato impossibilitato dall’interrogare l’imprenditore italiano residente in Somalia – con il quale Ilaria Alpi si sarebbe dovuta incontrare (o si incontrò) poco prima di essere uccisa – perché circondato da un centinaio di uomini armati. Non solo: rimangono dubbi sulla striscia d’asfalto di 450Km Garoe-Bosaso, realizzata negli anni 1987-1989.
Intelligenza vuole che non si possa trarre una verità fondata, come ad esempio legami tra l’Italia di Tangentopoli e la vendita di armi da ripagare con la moneta dello smaltimento di rifiuti tossici in territorio somalo, basandosi unicamente su punti non chiari.
Ma la lealtà avrebbe suggerito parole diverse da “vacanza” e “casualità” per esprimere l’impegno di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in Somalia e il loro barbaro assassinio. La lealtà avrebbe fatto fatica a definire “una centrale giornalistica di depistaggio” chi cerca di approfondire dubbi non chiariti, chi non si accontenta di parole come “vacanza” e “casualità” solo perché seguite dall’abusata targa di eroe.
S’offenda pure l’intelligenza comune per un voto in più, ma non per altro. Grazie.
Curiosamente sono le parole e soprattutto sotto il nome di Carlo Taormia compare un banner di Google Earth con la domanda “Dove si trova il punto più basso della Terra?”
Il buon Neri ha così violato una delle regole più classiche del giornalismo, invertendo per una volta l’ordine fra domanda e risposta…