Su Ernesto “Che” Guevara

Non è mancato di circolare anche in Italia l’infamante decalogo su Ernesto Guevara firmato “Álvaro Vargas Llosa Jr“, un rampollo tradotto e citato – assieme al papà – perfino dal Corriere della Sera. Qualche settimana fa Libero (Blog) rilanciava la traduzione del pezzo.
A quell’articolo rispose su Rebelión Orlando Borrego, uno che il Che l’ha conosciuto e che sa distinguere con coscienza la ragionata e legittima critica storica dalla calunnia mercenaria indirizzata verso Cuba.
La gentilissima Ilaria Galli si è messa allora a disposizione per tradurre il puntuale sdegno di Borrego e, di seguito, trovate l’articolo completo. Anche se lungo, vi chiedo la gentilezza di leggerlo (magari saltando la mia breve nota che lo precede).

Ernesto GuevaraCiò che deprime non è il giudizio di uno che la pensa diversamente da te, sia mai.
Ciò che deprime sono le voglie morbose, e quindi volgari, di negare la forza etica del messaggio di Guevara. Strumentalmente, come si usa. Inutilmente, come s’intende.
Ciò che deprime è chiudere gli occhi di fronte alle scelte di un uomo che ha sacrificato i suoi affetti per una causa viva ancora oggi. Perché a rendere immortale il Che, a dargli quella «pericolosa abitudine di continuare a nascere» – coma la chiama Eduardo Galeano, non è l’iconografia moderna ma sono i milioni di individui che vivono oggi sotto la soglia di povertà. Uomini e donne che non hanno bisogno del “capitalismo compassionevole” (mostro linguistico) alla Bush: uomini e donne che chiedono invece riscatto e giustizia.
Ciò che deprime è il gioco di nascondere l’impegno incondizionato di Guevara alla causa rivoluzionaria, espressione di un amore incondizionato per l’oppresso e lo sconfitto.
Ciò che deprime sono le penne d’oro dei tanti Vargas Llosa che crescono e si riproducono anche in Italia.
Ciò che conforta, invece, è che «quanto più lo insultano, lo manipolano, lo tradiscono o mentono sulle sue idee e i suoi atti, tanto più rinasce».
A margine, segnalo una riflessione di Stefano.


Álvaro Vargas Llosa Jr.
Un bastardo allo scoperto
di Orlando Borrego

Negli ultimi anni, e soprattutto dagli inizi dell’evidente caduta della morale imperialista nordamericana, prodotto della sua turpe e criminale guerra contro il terrorismo, tutti i lacché al suo servizio godono nella loro totale sottomissione ai piani di Washington.
Orlando BorregoMuovendosi nel molle fango lasciato dagli ultimi uragani creati dal neoliberalismo, questi servitori sono usciti allo scoperto, hanno preso i loro computer portatili e sono andati in ogni angolo del mondo con le loro enormi pance contadine per scrivere contro tutto ciò che vale e brilla in questo pianeta. Questa moda ha preso piede col passare degli anniversari della nascita o della caduta in combattimento del comandante Ernesto Che Guevara.
Il numero di questi mercenari cresce ogni anno nei mesi di giugno e ottobre allo stesso modo in cui la figura del Che si ingrandisce e diventa sempre più presente in ogni marcia di protesta, in ogni manifestazione studentesca o nelle strade delle città venezuelane per sostenere l’avvio della rivoluzione bolivariana.
Ultimamente questi mercenari reagiscono ancora di più se alle loro fauci voraci vengono avvicinati dei dollari americani come retribuzione per i loro servizi. Come tutti sanno, questo denaro deriva dalle finanze che il governo imperialista stanzia per combattere tutti i movimenti progressisti che nascono nel mondo e specialmente in America Latina.
Il governo degli Stati Uniti e le sue agenzie hanno pubblicato senza il minimo pudore e con priorità speciale i fondi elargiti alla controrivoluzione venezuelana, ai fermenti cubani nei pantani della Florida e persino fino ai piccoli gruppi mercenari nell’isola.
Questi predatori si distinguono solamente per il colore e la taglia dei loro abiti, non si notano altre differenze né nel carattere né nei loro movimenti. Alcuni si presentano con un modo di fare schivo e traditore, altri con fare strisciante, e sono sempre in agguato dietro alle prede che fanno più gola. Si tratta di veri e propri distruttori dei valori umani che utilizzano tutte le trappole e gli artifici a disposizione per garantire delle ottime prede ai loro padroni della Casa Bianca.
Álvaro Vargas Llosa JrTra i mercenari più importanti dell’impero, per la sua enorme voracità e per il suo ampio curriculum di servizi svolti, troviamo il figlio dell’autore de La fiesta del chivo (La festa del caprone), che può essere orgoglioso di aver generato, per un puro miracolo della natura peruviana, questo esemplare il cui habitat preferito è la città di New York.
Il nome dato a questo giovane mercenario dai suoi genitori è già abbastanza conosciuto nella biodiversità terrestre del neoliberalismo latinoamericano: Álvaro Vargas Llosa Jr.
Anche se possiamo osservare questo giovane di solito con maggiore frequenza nella notte del basso mondo newyorkese, egli stesso sale nella superficie della città e afferma perfino di aver visitato in diverse occasioni luoghi molto importanti come il museo dell’arte moderna della città.
E proprio dopo una delle sue ultime fantasiose visite nel famoso museo ci narra come si dilettava nell’osservare uno studente nordamericano che sfoggiava una maglia di Che Guevara con il basco in testa.
Ci racconta, questo malandrino, una sorta di interrogatorio a cui egli stesso ha sottoposto il giovane: con la bava alla bocca si è avvicinato a lui chiedendogli cosa esattamente ammirasse di Che Guevara.
Di seguito riportiamo le 10 ragioni che dice di aver menzionato il giovane nordamericano e le sue risposte.

1. Era contro il capitalismo
Partendo da questa prima affermazione, il rettile inizia a dare risposte stupide come quelle secondo cui il Che era per un capitalismo di Stato, si opponeva al sistema salariale capitalista e che il sistema statale portato da lui a Cuba era quello destro del lavoro forzato praticato allora a Guanahacabibes nel 1961.
Se Alvaruccio Jr. seguisse i consigli che recentemente gli ha dato il compagno Néstor Kohan da Buenos Aires, forse nel giro di 10 anni potremmo comprenderlo meglio.
L’imbroglio che regge la sua prima risposta non è al livello intellettuale dell’autore de La festa del caprone, ma è al livello del suo padrino nonché padrone attuale, ben rappresentato dal presidente venezuelano Hugo Chávez come «Mister Danger Bush».
Dato che l’unico sistema salariale che comprende questo signore è quello che gli paga regolarmente la C.I.A. o la Casa Bianca per i suoi scritti, speriamo che studi il significato di salario nel capitalismo, e se interessato a sapere qualcosa in più su questo argomento, possiamo offrirgli un corso a distanza sul sistema salariale nel socialismo. Dico a distanza perché il suo datore di lavoro, Mr Danger, non gli darebbe mai il permesso di visitare l’isola per acquisire queste conoscenze elementari.
Su Guanahacaibes devo spiegare alcune cose a questo personaggio così diffamatorio e ignorante. O meglio, ai lettori perchè potrebbero confondersi con quanto scritto dalla pericolosa serpe.
Il Che non appoggiò la creazione del campo di Guanahacaibes ma ne fu il creatore nonché propulsore più fervente. Questo luogo, all’estremo occidente di Cuba è stato per secoli uno dei luoghi più isolati e privi di comunicazione del nostro paese e ciò che è stato instaurato lì grazie al Che è un programma per lo sviluppo produttivo a beneficio dei suoi abitanti che fino ad allora erano stati abbandonati.
Quando un funzionario del Ministero dell’Industria commetteva un atto di indisciplina che non implicava un processo, veniva punito con il lavoro in quel luogo come misura educativa.
Colui che veniva sanzionato era libero di accettare o no la misura educativa, dato che si trattava comunque di compagni con attitudine rivoluzionaria comprovata. Nel caso in cui non l’avesse accettata, sceglieva di lavorare in qualche altro luogo, ma non gli era consentito di continuare il lavoro nel Ministero dell’Industria.
Praticamente tutti i compagni accettavano volontariamente, senza alcuna imposizione, la decisione del Ministro dell’Industria e rispettavano la sanzione educativa.
Inoltre occorre anche dire ai lettori che le visite del Che a Guanahacaibes erano molto frequenti e dedicava sempre la metà della giornata a lavorare fisicamente insieme ai compagni che si trovavano in quel luogo. Al termine della giornata di lavoro era solito tenere una conferenza sui temi importanti di attualità.
In seguito a Guanahacaibes si costruì una piccola pista d’atterraggio e da allora le visite del Che furono più frequenti per condividere le giornate di lavoro volontario con i suoi compagni.
Molti di quelli che a quel tempo furono lì oggi parlano con orgoglio della loro permanenza in quel luogo e del significato importantissimo che aveva per la loro formazione rivoluzionaria. Per tutti loro quelle giornate di lavoro volontario insieme al Che sono uno dei ricordi più vividi e incancellabili della loro vita rivoluzionaria.
Però Vargas Llosa Jr. non può dare un valore a tutto questo, perché non capisce cosa sia il lavoro volontario che propugnava il Che e neppure il suo significato. Il figlio dell’autore de La festa del caprone non ha mai seminato neanche l’insalata nel giardino della sua casa né tantomeno può comprendere che per mangiare bisogna lavorare. Lui si mantiene con i soldi della CIA, grazie alle casse dei contribuenti nordamericani.

2. Rese Cuba indipendente
In questo caso, la risposta sembrava essere stata sussurrata all’orecchio da Mr.Danger alla giovane serpe per la sostanza storica del contenuto. Dice che in realtà il Che tramò la colonizzazione di Cuba da parte dei russi e che fallì l’obiettivo di porre fine alla dipendenza del paese in materia di zucchero.
Nessuno però ha informato questo individuo, tantomeno l’illustre autore de La festa del caprone e i suoi amici della CIA, che è stato il governo statunitense a sospendere la quota dello zucchero cubano nel 1961 e che furono i russi che comprarono quasi totalmente il prodotto al nostro paese, fino al momento in cui non avvenne la caduta del socialismo europeo, con Mijail Gorbachov e Ronald Reagan.
E non è stato neanche informato che fin dalla sospensione della quota dello zucchero tutto il commercio di Cuba, sia d’importazione che di esportazione, ha dovuto essere orientato verso l’URSS; come risultato del blocco economico imposto dal governo degli Stati Uniti che rese impossibile l’importazione di ogni prodotto di questo paese, inclusi i medicinali, il che rappresenta uno degli intenti più criminali dell’impero per spezzare la rivoluzione cubana.

3. Difese la giustizia sociale
A questa affermazione del giovane americano, il suo interlocutore rispose che il Che ha contribuito a rovinare la nostra economia riducendo alla metà la produzione dello zucchero nel giro di due anni. Aggiunge che il razionamento ai cittadini fu opera del Che quando, a suo dire, amministrava l’economia dell’isola.
E qui la malafede del sapientone e il pessimo svolgimento dei suoi compiti hanno battuto ogni record in materia di ignoranza e di sottomissione ai dettami di un impero.
In primo luogo non dice che il Che era il Ministro dell’Industria e che non decideva in materia di razionamento al popolo, sebbene come membro dell’Alta Direzione della rivoluzione partecipava nelle decisioni riguardanti quest’ultima e sulle altre misure alle quali il brutale blocco economico imposto dal governo nordamericano ci ha obbligati, quello stesso governo che attualmente finanzia questa serpe e altri che, come lui, si muovono nei pantani della Florida e che inzaccherano certi che si trascinano turpemente nell’isola, dato che non ottengono l’appoggio del popolo.
Per quanto riguarda la produzione dello zucchero non vale la pena sprecare altre parole contro Alvaruccio Jr, se lo desidera ed ha un minimo di interesse ad elevare la sua cultura economica gli suggerisco di leggere gli articoli pubblicati dal Che in difesa dell’innalzamento della produzione di zucchero dei suoi derivati nei primi anni della rivoluzione, come spinta per un ulteriore sviluppo dell’economia cubana nell’insieme. Ci furono anni in cui la produzione dello zucchero ha oltrepassato 8 milioni di tonnellate, prima della depressione dei prezzi di questo prodotto nel mercato mondiale.
Il Che è stato il creatore dell’Istituto Cubano di Indagini sui Derivati della Canna da Zucchero (ICIDCA) che ancora esiste e a cui si riconoscono innumerevoli risultati in questo campo sia a livello nazionale che internazionale.

4. Ha sfidato Mosca
L’interlocutore, sempre più adirato, rispose al giovane nordamericano che in realtà il Che obbedì a Mosca finché questa decise di chiedergli qualcosa in cambio degli enormi trasferimenti di denaro a l’Avana. Inoltre aggiunse che il Che aveva criticato il Cremlino per aver adottato quella che lui chiamava la "legge del valore". Infine il Che tolse la sua lealtà all’URSS per quella della Cina.
Alvaruccio Jr non dice però ciò che Mosca chiese al Che in cambio, però questo non ha importanza. Siamo già abituati a questi scivoloni dei mercenari dell’impero quando si tratta di ricorrere alle dicerie infondate contro Cuba e tutto quello che sa di progresso e decenza nel mondo. La questione della legge del valore risulta la più simpatica.
Quando l’ignaro soggetto inizia a balbettare qualcosa su questa legge economica conosciuta persino dai meno specializzati in materia, dice riferendosi al Che: "quello che lui chiamava la legge del valore" come se tale legge fosse un’invenzione del Che.
Torniamo a raccomandare a questo mercenario di continuare a seguire i saggi consigli del compagno Nestor Kohan. Che si prenda una notte, o anche un anno sabbatico se lo desidera, per vedere si è in grado di apprendere qualcosa di economia. Non  gli consigliamo di studiare Marx e neanche il Che perché significherebbe uno sforzo intellettuale insopportabile per l’insignificante comprendonio della serpe.
Gli suggeriamo però di fare uno sforzo minimo e studiare Adam Smith e David Ricardo, e nel caso in cui avesse alcune ore libere, di leggere anche qualcosa di John Maynard Keynes, peraltro molto conosciuto negli Stati Uniti, soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Gli assicuriamo che non dovrà fare molti sforzi per trovare tutta la bibliografia keynesiana di cui ha bisogno. Molto vicino ai quartieri in cui passeggia, in ogni biblioteca di quelle che ci sono nella città, anche nelle meno frequentate, troverà tutto quello che riguarda la legge del valore.
Si renderà conto allora, dopo che avrà studiato abbastanza, che lei è uno strumento tipico di questa legge e che proprio il denaro che riceve da parte del governo americano è il prodotto dell’azione della legge del valore, che, attraverso la domanda e l’offerta nel mercato mercenario e secondo le sue quotazioni, riceve ciò che gli appartiene in accordo al prezzo che gli corrisponde nella concorrenza con altri suoi pari che abitano le cloache della città di Miami e delle altre città americane.
Per quanto riguarda l’amicizia del Che con la Cina al posto di quella del Cremlino, raccomandiamo alla giovane serpe che, anche se non gradisce per niente la lettura degli scritti del Che, di dargli un’occhiata. Si renderà conto allora che il comandante Guevara non ha dato mai segni di sottomissione a nessuna corrente di pensiero che non fosse compatibile con le sue proprie convinzioni rivoluzionarie e dato che si tratta di un uomo leale ha lasciato scritto ai posteri la sua lealtà alla rivoluzione cubana e al suo capo. Nella sua lettera di addio a Fidel nel 1965 scrive: «Se la mia ultima ora sarà sotto altri cieli, il mio ultimo pensiero sarà rivolto a questo popolo e specialmente a te»; e più avanti: «Ovunque mi fermerò sentirò la responsabilità di essere un rivoluzionario cubano, e agirò come tale»

5. Si è unito ai contadini
La semplicità di questo diffamatore nel rispondere a questa affermazione passa dalla volgarità alla grande menzogna mediatica, a cui ci hanno peraltro abituati tutti i mercenari dell’impero.
Dice che non ci fu nessun appoggio ai contadini e li mette sullo stesso piano dei militanti comunisti della guerriglia boliviana portata avanti dal Che.
Nega che ci furono diversi contadini che collaborarono con il Che in Bolivia, man mano che acquisivano coscienza dell’importanza della causa rivoluzionaria.
Ma la cosa più sporca di Alvaruccio Jr. è il suo riferimento ai militanti del partito comunista. Non dice che fu Mario Monje, allora segretario generale di questo partito, a tradire il Che, e che militanti come Inti e Coco Peredo offrirono eroicamente le loro vite per la causa del popolo boliviano: Coco cadde combattendo vicino al Che e agli altri compagni, e Inti Peredo morì combattendo gloriosamente nel suo paese, dando continuità alla lotta rivoluzionaria iniziata dal Che.
Non dice niente riguardo l’assassinio del Che per ordini della CIA in combutta con il Presidente Barrientos.
La sua mancanza totale di etica non glielo permette e neanche la legge del valore a cui è sottomesso. Se dice qualcosa di onesto su questo assassinio colpirà immediatamente le sue entrate mercenarie provenienti dalla CIA.

6. Fu un genio guerrigliero
Il signorino di questo racconto vuole ridicolizzare il Che, attribuendogli delle sconfitte in diversi fronti di guerriglia in Africa e in America Latina, che furono portati avanti e diretti da lui o da altri compagni rivoluzionari. Non fa distinzione tra uno scenario un altro, non cita le situazioni, i personaggi e le condizioni storiche, il suo unico scopo è di ridicolizzare il Che.
È così stupido da non rendersi conto che Che Guevara è passato alla storia come el Guerrillero Heroico e Comandante del Alba, attributi, questi, conferitigli da tutti i popoli del mondo, incluse le milioni di persone negli Stati Uniti.
Questa serpe è talmente malintenzionata che fa orecchie da mercante di fronte alle evidenze apparse su Internet dove la figura del Che appare, secondo tutti i sondaggi degli ultimi anni, tra le più grandi personalità del mondo, per la sua storia rivoluzionaria, per non parlare delle altre qualità che gli vengono riconosciute da tutte le persone oneste del mondo.

7. Rispettò la dignità umana
Il concetto della legge del valore torna a manifestarsi in tutta la sua espressione. Ancora una volta la serpe emette tutti i suoi veleni più rivoltanti. Risponde a questa sana affermazione dicendo che in realtà il Che aveva l’abitudine di appropriarsi della proprietà altrui. Afferma che il Che ordinava di assaltare le banche durante la guerra e che quando Batista cadde si appropriò di una villa senza considerare che si trattava di una espropriazione con fini pubblici.
Qui la cattiveria raggiunge le punte massime. Uno dei primi fatti che evidenziarono presto le qualità umane del Che, e in particolar modo la sua austerità amministrativa, accadde nei mesi successivi al trionfo della rivoluzione. Ancora noi ci trovavamo nel reggimento di La Cabana quando il Che ebbe una crisi d’asma.
La malattia gli colpì i polmoni e i medici che l’avevano in cura si raccomandarono di trasferirlo dalla casa dove viveva nel reggimento in un’altra sulla spiaggia di Tararà, per la sua guarigione. Effettivamente era una casa espropriata ma che fosse una villa lo ha scritto il mascalzone.
Sono stato in questa casa in varie occasioni per ragioni di lavoro agli ordini del comandante Guevara a La Cabana e posso affermare che quell’immobile ancora esistente non si può definire una villa; era un alloggio piuttosto povero e cadente.
A quell’epoca un’altra serpe come quella di oggi, la cui unica differenza sta nel suo cognome "Llano Montes", scrisse un articolo velenoso insinuando che il comandante Guevara era andato a vivere a Tararà come se fosse un luogo di piacere.
Immediatamente il Che chiarì attraverso un periodico le ragioni del suo trasferimento a Tararà su raccomandazione medica, precisando che la sua malattia derivava dall’aver lavorato notte e giorno per la rivoluzione e non era frutto di una scommessa come era stato detto da alcuni borghesi dell’epoca.
Quel chiarimento, che fece rimanere male l’infame Llano Montes, contribuì ad aumentare  il prestigio del Che, che già era riconosciuto dal nostro popolo e diventò, poco tempo dopo, un esempio di condotta e di morale rivoluzionaria per le nuove generazioni di Cuba e altri popoli del mondo.
È insolito che dopo oltre quarant’anni qualcuno ritorni sui fatti della casa di Tarara. Questo dimostra che la destra reazionaria e risentita non dimentica mai, trasferisce i suoi rancori per generazioni e agisce per la sua condizione di classe senza considerare il minimo senso di etica e decenza.

8. Le sue avventure erano una celebrazione della vita
Queste avventure vengono qualificate dal curiosone come orge di morte, definite delle esecuzioni ordinate dal Che alle persone innocenti di Santa Clara e nei mesi in cui diresse reggimento di La Cabana a L’Avana. Le sue affermazioni vengono sostenute da testimoni a suo dire eccezionali: Javier Arzuaga, che era il cappellano di La Cabana, e José Vilasuso.
Quando si sentono le risposte di Alvaruccio Jr. è impossibile trattenere il riso, anche se fino ad allora tutto ciò che è stato scritto dalla serpe mi ha prodotto solamente nausea. Sono trascorsi più di quarant’anni da quando abbiamo abbandonato La Cabana, dove abbiamo compiuto il nostro dovere lavorando sotto gli ordini del Che per andare poi a integrare le Forze Tattiche del Centro a Santa Clara.
Tra i ricordi che porto con me di ufficiale dell’esercito ribelle nel reggimento di La Cabana, ci sono i giudizi che molti di noi abbiamo dovuto presiedere per far valere la giustizia rivoluzionaria richiesta dal nostro popolo contro i detestabili assassini e torturatori della tirannia di Batista. Sono queste persone che il rampollo risaputo chiama "innocenti".
Se posso essere tranquillo di qualcosa, con me stesso ed i miei compagni, è la nostra attuazione dei giudizi rivoluzionari a La Cabanas sotto gli ordini del Che. La prima cosa che devo dire in merito alla verità storica è che in più di un’occasione abbiamo avuto il disgraziato compito di presiedere quei giudizi, protestavamo con il Che per l’eccessiva lunghezza dei processi ma lui, come capo del reggimento, esigeva che non si desse sentenza alcuna se non fossero esistiti abbondanti elementi per provare la colpevolezza dei processati.
Utilizzo l’aggettivo abbondanti per indicare l’eccesso di elementi probatori richiesti dal Che. Oggi, conoscendo meglio altri processi rivoluzionari del mondo, posso affermare senza timore di sbagliare che la rivoluzione cubana è stata ed è il più alto esempio di umanesimo e di senso etico nell’applicazione della giustizia rivoluzionaria mai conosciuto.
Non credo che esista un singolo caso in cui dobbiamo vergognarci di aver agito ingiustamente contro nessun processato; in tutti gli anni della rivoluzione ci siamo scontrati con il nemico imperialista che ha cercato di distruggerci con tutti i mezzi possibili.
Quello che mi ha fatto più ridere in questo scritto, è stata la sua allusione di alcuni dei cosiddetti testimoni eccezionali dell’epoca di La Cabana, in concreto il cappellano Javier Arzuaga. Ricordo perfettamente questo personaggio. E’ impresso nella memoria e in più di un’occasione ho avuto la necessità di riferirmi a lui come un caso aneddotico molto particolare.
Per essere obiettivo devo riconoscere che questo personaggio a volte mi era molto simpatico e altre volte lo ritenevo quasi sconcertante. Arzuaga passava spesso nei miei uffici de La Cabana, come cappellano di quel reggimento. Spiego ora brevemente il motivo delle mie affermazioni.
Uno degli esempi più sconcertanti della personalità di Arzuaga era che in più di un’occasione si avvicinava ad alcuni di noi, gli ufficiali che esprimevano i giudizi, per chiederci più freddezza e disinvoltura quando c’era "qualcuno da fucilare per la notte".
Nella domanda del religioso c’era una punta di sadismo che dava fastidio a tutti, però Arzuaga poneva la domanda con una certa grazia espressa in viso, che a volte faceva ridere quando girava le spalle e se ne andava verso le prigioni di La Cabana, dove confessava i puniti.
Effettivamente, è certo, che Padre Arzuaga, come lo chiamavamo, faceva opere di convincimento degli accusati. Si commenta nel reggimento, che dopo aver parlato per alcune ore con i condannati, erano assolutamente tranquilli e convinti della gravità di tutti i loro peccati come se fossero torturatori e assassini della peggiore specie.
Per essere onesto, devo dire, che ricordo perfettamente come se fosse oggi Padre Arzuaga ma non mi accade lo stesso con l’altro testimone di nome José Vilasuso, citato da questo grande diffamatore.
Ho conosciuto un conterraneo molto ricco con questo stesso nome; so che poi se ne è andato dal paese però non credo che si tratti dello stesso individuo. Di una cosa però sono sicuro: non l’ho mai visto al reggimento di La Cabana.

9. Era un visionario
A questo risponde che in realtà il Che aveva una visione abbastanza confusa dell’America Latina, e poi aggiunge varie stupidaggini sul punto di vista guerrigliero del Che.
Poi attacca la riforma agraria, affermando che nei paesi in cui si è realizzata è stata un disastro perché ha ostacolato lo sviluppo dell’agricoltura con regolamentazioni assurde che proibiscono gli accordi privati.
Rido di nuovo sulla visione confusa del Che dell’America Latina. Se al Che mancava qualcosa, non era sicuramente una conoscenza profonda dei paesi latinoamericani, primo per averli conosciuti direttamente, e poi per aver continuato a studiare la situazione degli stessi sempre con maggior dedizione e interesse.
Non è necessario parlare dell’ampia e riconosciuta cultura di Che Guevara, che gli permetteva di avere un dominio stabile sulle principali problematiche storiche, economiche e sociali della maggior parte di questi paesi. Solo a qualcuno così ignorante come questo signore capita di parlare di temi come la guerra di guerriglia e la riforma agraria non attribuendo al Che la conoscenza degli stessi. Questo indica solamente il grado di irresponsabilità di questi servi dell’imperialismo in questo momento.

10. Era nel giusto rispetto agli Stati Uniti
La serpe va per la tangente con questa risposta. Parla del fatto che il Chepredisse che Cuba avrebbe superato il prodotto interno lordo pro capite degli Stati Uniti per il 1980 e che oggi siamo sopravvissuti grazie al sussidio petrolifero del Venezuela come forma di elemosina internazionale.
Non dice come il Che ha definito più di una volta l’imperialismo nordamericano per i suoi crimini in America Latina, iniziando da quello testimoniato da egli stesso al momento dell’attacco preparato ad arte degli aerei americani che appoggiavano il golpe al governo progressista di Jacobo Arbenz in Guatemala.
Quel fatto ha radicalizzato ulteriormente il Che dal punto di vista rivoluzionario e gli ha permesso di comprendere più nitidamente il carattere criminale dell’imperialismo americano e dei suoi lacché.
Più tardi sarà presente all’attacco dell’impero a Cuba con l’aggressione americana a Playa Giròn e quando, in seguito, ci furono le minacce di distruzione nucleare da parte di questo stesso impero durante la crisi dei missili del 1962. In quelle due occasioni Che Guevara fu il capo militare della provincia di Pinar Del Rìo e dovette sopportare con indignazione la presenza degli aerei americani che volavano a bassa quota su Puesto de Mando.
Sul prodotto interno lordo pro capite devo dire che, anche se in materia economica non è sempre intelligente fare pronostici precisi, cosa che il Che fece mai, non dubito che se non avessimo subito il criminale blocco economico da parte dell’imperialismo, la nostra economia sarebbe oggi la più florida di tutta l’America Latina. I ritmi di crescita nei primi anni nella maggior parte dei settori lo testimoniano.

Brevi Conclusioni
Una grande varietà di serpi fa parte della biodiversità della nostra America irredenta, molti si possono osservare negli zoo dei diversi paesi. La loro azione predatoria è conosciuta molto bene nei nostri villaggi sfruttati, dalla comunità primitiva fino ad oggi. Anche padri fondatori furono diffamati da queste specie in epoche passate.
Il precursore Francisco de Miranda fu chiamato dei russi zaristi "ospite esotico", "uomo dal carattere onorato e nobile". Questo fino a quando non si è arruolato con i rivoluzionari francesi. Da parte loro i giacobini lo qualificarono come "avventuriero e spia". Gli americani come "agente dei russi" e altre stupidaggini. Tutto dopo che aveva messo in gioco la sua vita combattendo per la liberazione delle 13 colonie americane.
Per far capire tutte le sue infamie, i potenti contavano sugli stessi tipi di rettili sui quali può contare l’imperialismo nordamericano oggi, con la differenza che queste stesse specie erano più primitive e forse persino meno dannose a quei tempi. Non avevano Internet, la CNN e gli altri mezzi sui quali possono oggi contare le serpi per denigrare la figura di Che Guevara sotto gli ordini del potente imperialismo americano.
Però la voce dei popoli è più potente degli ululati delle iene e degli acuti sibili dei serpenti al servizio dell’imperialismo. E se la specie generata dall’autore de La festa del caprone non crede a quello che sto dicendo, gli suggerisco di informarsi sui risultati del Vertice di Mar del Plata appena terminato e sul mare di gente che gridava a squarciagola e all’unisono con il valoroso e caro Presidente bolivariano Hugo Chávez.

VIVA EL CHE GUEVARA, CARAJO
(Orlando Borrego)

Tradotto da Ilaria Galli
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10 Commenti

  1. Un tifoso, incazzato, che risponde a un altro tifoso (prezzolato?).
    Nessuno dei due articoli è degno di nota dal punto di vista storico.
    Si salva solo la riflessione di Stefano[*], che pur da tifoso, non fa finta che i buchi neri non ci siano, semplicemente, a lui piacciono anche quelli. O, meglio, ritiene che per il raggiungimento degli obiettivi di Guevara si possa (si debba?) anche passare per strade fangose. Magari non condivido, ma è tra i tre articoli è l’unico onesto seppure schierato.

  2. però! che linguaggio quello di Orlando Borrega! Pensavo che non esistesse più gente che parlava così.

    Attendo analogo alto dibattito in Italia sul ruolo di Cesare Battisti nella rivoluzione italiana tra Luca Sofri (detto spregiativamente “Junior” o “serpe pagata dalla CIA”) e Mario Capanna.
    Sono sicuro che Macchianera potrà arrivare a tanto :-)

  3. Forse dal sudamerica nascerà una società nuova, più equa e giusta, come la voleva il Che. E comunque Orlando Borrego non si deve preoccupare perchè (come ho già detto) fin quando ci sarà ingiustizia a questo mondo Che Guevara non morirà mai.

  4. L’articolo di Vargas Llosa sarà pure superficiale e zeppo di errori, ma la risposta è una disgustosa poltiglia fascista. Magari un riassuntino senza gli insulti e le illazioni potrebbe giovare, anche solo per fare miglior figura.

  5. Altre citazioni: socialismo o muerte,el pueblo unido jamas sera vencido, hasta la victoria siempre, vamos a matar companeros, Django e Sartana gran figli di …

  6. Incubo Cuba

    Nessuna gloria per il Comandante Guevara
    ERNESTO “CHE” MENGELE
    Organizzò il primo campo di concentramento per gay

    Il medico argentino che condusse la rivoluzione cubana organizzò i lager per i dissidenti e gli omosessuali. Questi ultimi furono da lui perseguitati in quanto tali: il “Che” non fu secondo nemmeno ai nazisti. Ecco un ritratto che Massimo Caprara, ex segretario di Palmiro Togliatti, ha descritto del rivoluzionario

    Con la fuga del dittatore Fulgencio Batista e la vittoria di Fidel Castro, nel 1959, il Comandante militare della rivoluzione, Ernesto “Che” Guevara, ricevette l’incarico provvisorio di Procuratore militare.
    Suo compito è far fuori le resistenze alla rivoluzione. Lasciamo subito la parola a Massimo Caprara (*), ex segretario particolare di Palmiro Togliatti: “Le accuse nei Tribunali sommari rivolte ai controrivoluzionari vengono accuratamente selezionate e applicate con severità: ai religiosi, fra i quali l’Arcivescovo dell’Avana, agli omosessuali, perfino ad adolescenti e bambini”.
    Nel 1960 il procuratore militare Guevara illustra a Fidel e applica un “Piano generale del carcere”, definendone anche la specializzazione. Tra questi, ci sono quelli dedicati agli omosessuali in quanto tali, soprattutto attori, ballerini, artisti, anche se hanno partecipato alla rivoluzione. Pochi mesi dopo, ai primi di gennaio, si apre a Cuba il primo “Campo di lavoro correzionale”, ossia di lavoro forzato. È il Che che lo dispone preventivamente e lo organizza nella penisola di Guanaha. Poi, sempre quand’era ministro di Castro, approntò e riempì fino all’orlo quattro lager: oltre a Guanaha, dove trovarono la morte
    migliaia di avversari, quello di Arco Iris, di Nueva Vida (che spiritoso, il “Che”) e di Capitolo, nella zona di Palos, destinato ai bambini sotto ai dieci anni, figli degli oppositori a loro volta incarcerati e uccisi, per essere “rieducati” ai principi del comunismo.
    È sempre Guevara a decidere della vita e della morte; può graziare e condannare senza processo. “Un dettagliato regolamento elaborato puntigliosamente dal medico argentino – prosegue Caprara, sottolinenado che Guevara sarebbe legato al giuramento d’Ippocrate – fissa le punizioni corporali per i dissidenti recidivi e “pericolosi” incarcerati: salire le scale delle varie prigioni con scarpe zavorrate di piombo; tagliare l’erba con i denti; essere impiegati nudi nelle “quadrillas” di lavori agricoli; venire immersi nei pozzi neri”. Sono solo alcune delle sevizie da lui progettate, scrupolosamente applicate ai
    dissidenti e agli omosessuali.
    Il “Che” guiderà la stagione dei “terrorismo rosso” fino al 1962, quando l’incarico sarà assunto da altri, tra cui il fratello di Fidel, Raoul Castro. Sulla base del piano del carcere guevarista e delle sue indicazioni riguardo l’atroce trattamento, nacquero le Umap, Unità Militari per l’Aiuto alla Produzione (vedi il dossier di Massimo Consoli in queste pagine), destinati in particolare agli omosessuali.
    Degli anni successivi, Caprara scrive: “Sono così organizzate le case di detenzione “Kilo 5,5” a Pinar del Rio. Esse contengono celle disciplinari definite “tostadoras”, ossia tostapane, per il calore che emanano. La prigione “Kilo 7” è frettolosamente fatta sorgere a Camaguey: una rissa nata dalla condizioni atroci procurerà la morte di 40 prigionieri. La prigione Boniato comprende celle con le grate chiamate “tapiades”, nelle quali il poeta Jorge Valls trascorrerà migliaia di giorni di prigione. Il carcere “Tres Racios de Oriente” include celle soffocanti larghe
    appena un metro, alte 1.8 e lunghe 10 metri, chiamate “gavetas”.
    La prigione di Santiago “Nueva Vida” ospita 500 adolescenti da rieducare. Quella “Palos”, bambini di dieci anni; quella “Nueva Carceral de la Habana del Est” ospita omosessuali dichiarati o sospettati (in base a semplici delazioni, ndr). Ne parla il film su Reinaldo Arenas “Prima che sia notte”, di Julian Schnabel uscito nel 2000″. Anni dopo alcuni dissidenti scappati negli Usa descriveranno le condizioni allucinanti riservate ai “corrigendi”, costretti a vivere in celle di 6 metri per 5 con 22 brandine sovrapposte, in tutto 42 persone in una cella. Il “Che” lavora con strategia rivolta al futuro Stato dittatoriale. Nel
    corso dei due anni passati come responsabile della Seguridad del Estado, della Sicurezza dello Stato, parecchie migliaia di persone hanno perduto la vita fino al 1961 nel periodo in cui Guevara era artefice massimo del sistema segregazionista dell’isola. Il “Che”, soprannominato “il macellaio del carcere-mattatoio di La Cabana”, si opporrà sempre con forza alla proposta di sospendere le fucilazioni dei “criminali di guerra” (in realtà semplici oppositori politici) che pure veniva richiesta da diversi comunisti cubani. Fidel lo ringrazia pubblicamente con calore per la sua opera repressiva, generalizzando ancor più i metodi per cui ai propri nuovi collaboratori.
    Secondo Amnesty International, più di 100.000 cubani sono stati nei campi di lavoro; sono state assassinate da parte del regime circa 17.000 mila persone (accertate), più dei desaparecidos del regime cileno di Pinochet, più o meno equivalente a quelli dei militari argentini. La figura del “Che” ricorda da vicino quella del dottor Mengele, il medico nazista che seviziava i prigionieri col pretesto degli esperimenti scientifici.
    ________________________________________
    Che Guevara sconosciuto
    di Massimo Caprara
    Spietato e crudele. Responsabile del sistema di repressione di migliaia di dissidenti e oppositori. Ecco quel che non si sa, o non si vuol dire, di Che Guevara, compagno di lotta del dittatore comunista Fidel Castro e idolo di tanti pacifisti cattolici.
    Verso le una e dieci del pomeriggio di domenica 9 ottobre 1967, il guerrigliero catturato – ha un berretto nero, un’uniforme militare assai sporca, una giacca azzurra con cappuccio, il petto quasi nudo, la camicia senza bottoni – sistemato provvisoriamente su una panca con i polsi legati, è ucciso, mentre ancora gli sanguina una ferita alla gamba destra. È finito da una scarica a bruciapelo di un mitra M-2. Le ultime parole che ha proferito nei confronti del sottufficiale dei Rangers governativi boliviani Mario Teràn sono state di sonante disprezzo: “Spara vigliacco, che stai per uccidere un uomo”. Il guerrigliero cadde a terra con le gambe maciullate, contorcendosi e perdendo copiosissimo sangue. Altri due sottufficiali, entrati ubriachi nella stanza, spararono ciascuno un colpo, direttamente sul volto. Poco lontano, dal villaggio di La Higuera, dove sono giunti agenti della CIA, nei pressi della gola Quebrada del Yuro, un sacerdote domenicano d’una parrocchia vicina, padre Roger Schiller, arrivò trafelato a cavallo. “Voglio confessarlo, so che ha detto: sono fritto. Voglio dirgli: lei non è fritto, Dio continua a credere in lei”.
    Nel pomeriggio, il comandante del reparto boliviano , che è il maggiore Ayoroa, dispone che il corpo venga adagiato su una barella e gli sia legata la mandibola con un fazzoletto perché il volto non si scomponga. Un fotografo ambulante ritrasse i soldati e il suo sacerdote intento a lavare le macchie di sangue. L’elicottero volò allora in alto con il corpo sfigurato del guerrigliero. Al sottufficiale Teràn hanno promesso un orologio e un viaggio a West Point per frequentare un corso. Egli ha ucciso il comandante Ernesto Che Guevara Lynch, detto il Che, medico argentino che, con decreto governativo del 9 febbraio 1959, è stato naturalizzato cubano per servizi resi alla Rivoluzione. Da allora prese corpo la sentita e appassionante leggenda di un autentico santo laico.
    “Dalle migliaia di foto, posters, magliette, dischi, video, cartoline, ritratti, riviste, libri, frasi, testimonianze, fantasmi di questa società industriale, il Che ci guarda attento. La sua immagine attraversa le generazioni, il suo mito passa di corsa in mezzo ai deliri di grandezza del neoliberismo. Irriverente, beffardo, moralmente ostinato, indimenticabile”, scrive in un libro, edito in italiano nel 1997 con il titolo “Senza perdere la tenerezza”, Paco Ignacio Taibo II. Lo scrittore, nato a Gijon in Spagna, coglie drammaticamente il vero.
    La figura assieme virile e dolce del Che Guevara, il cui motto è appunto: “Bisogna essere duri senza mai perdere la tenerezza”, attraversa come un lampo la storia del secolo da poco passato: dalla nascita in una famiglia della buona borghesia alla giovinezza nomade e ribelle dall’epica avventura sulla Sierra Maestra con l’amico Fidel Castro, alle responsabilità nelle istituzioni di “Cuba libera ma assediata dall’embargo statunitense”, fino al tragico eccidio sui monti della Bolivia ed alla immediata nascita di un mito eroico, unico nei nostri tempi. Lui è sempre al fianco di Fidel, sempre con un itinerario ideale diverso, cioè più organicamente comunista, come è stato osservato, nel 1967, dallo scrittore Carolos Franqui che abbandonerà Castro: “Doveva essere accecante se anche i più opachi, al suo passaggio, erano illuminati”. Regis Debray, l’intellettuale francese oggi vivente che lo raggiunse in Bolivia, ha scritto molto su di lui e sulla sua condotta nel libro “Révolution dans la révolution” e “Loués saient nos seigneurs le Che”, edito a Parigi da Gallimard nel 1996. Egli ha tracciato un disincantato e veritiero affresco sulle incarnazioni del castrismo, come “lunga marcia dell’America Latina” e sulle sue diverse varianti. Che Guevara materializza quella più irriducibile, severa, spietata e crudele. A mezza strada tra la violenza proto-bolscevica della Ceka e della GPU e la ferocia primordiale perpetrata nelle campagne cinesi dal maoismo. Per Debray, egli è “il più austero tra i praticanti del socialismo”. È un medico, afflitto sin dal 1930 (era nato il 14 luglio del 1928 nella città di Rosario) da un inguaribile asma che lo farà soffrire nelle sue trasferte guerrigliere in Africa e in America Latina. Forse anche per questo egli è in grado di conoscere le tecniche più dolorose della punizione e segregazione per i dissidenti detenuti. Un’inflessibile ideologia con il corredo di una raffinata metodologia di persecuzione fisica.
    Il Che, sin dalla clandestinità, polemizza duramente con i combattenti del “Llano”, la pianura, contrapponendo alla loro malleabilità la durezza dio condotta osservata in montagna, nella Sierra. Attacca Castro per lo scarso rigore e lo definisce per un pezzo, sprezzantemente, come “il leader radicale della borghesia di sinistra”, sensibile alle sirene del politicantismo. Egli è in linea pregiudiziale sempre “favorevole ai processi sommari” e di lui si ricorda l’ingiunzione perentoria ai ribelli venezuelani: “Prendete un fucile e sparate alla testa di ogni imperialista che abbia più di quindici anni”. Al punto che Debray, riassumendo, lo caratterizza come un “dogmatico, freddo, intollerante che non ha nulla da spartire con la natura calorosa e aperta dei cubani”. Intelligente e risoluto, generoso ed egualitario con i suoi, inflessibile con i nemici, comanda energicamente il secondo Fronte di Las Villas nella conquista dell’esercito ribelle a Cuba. Durante l’avanzata, nel 1957, si distingue per l’efferatezza con la quale interpreta il suo modo di essere rivoluzionario e di liquidare nemici e presunti traditori. Euti8mio Guerra, un guerrigliero9, viene accusato di avere avuto una collusione con il nemico, cioè con l’esercito del dittatore Fulgencio Batista, e immediatamente deferito ad un’improvvisata Corte marziale. Il Che anticipa il verdetto. Raccontò successivamente un suo commilitone detto “Universo”: “io avevo un fucile e in quel momento il Che tira fuori una pistola calibro 22 e pac, gli pianta una pallottola qui. Che hai fatto? Lo hai ucciso. Eutimio cadde a pancia in su, boccheggiando”.
    Nell’anno della “liberazione” di Cuba che è il 1959, il Che viene convocato da Castro e il 7 settembre riceve l’incarico provvisorio di Procuratore militare. È una convulsa ma intensa fase della nuova Cuba che ne prefigura i caratteri sociali e civili, che deve giudicare i collaborazionisti con il passato regime, processarli e soprattutto toglierli dalla circolazione. L’anno dopo, ai primi di gennaio, si apre a Cuba il primo “Campo di lavoro correzionale” (ossia di lavoro forzato). È il Che che lo dispone preventivamente e lo organizza nella penisola di Guanaha. Trecento ottantuno prigionieri, arresisi alle truppe castriste sull’Escambray, vengono radunati, incarcerati a Loma de los Coches e tutti fucilati.
    Jesus Carrera, anticastrista che è stato ferito negli scontri, chiede la grazia. Il Che gliela rifiuta ritenendolo un antagonista personale del capo Fidel. La stessa sanguinosa procedura viene riservata a Humberto Sori Marin per il quale aveva chiesto misericordia la madre. Sotto l’impegnativa e organica inclinazione del Che, prende corpo la “DSE”. Il Dipartimento della Sicurezza di Stato, noto anche con il nome di “Direcciòn general de contra-intelligencia”. Un dettagliato regolamento elaborato puntigliosamente dal medico argentino, fissa le punizioni corporali per i dissidenti recidivi e “pericolosi” incarcerati: salire le scale delle varie prigioni con scarpe zavorrate di piombo; tagliare l’erba con i denti; essere impiegati nudi nelle “quadrillas” di lavori agricoli; venire immersi nei pozzi neri.
    Marta Frayde, già rappresentante di Cuba all’Unesco e, dopo i primi anni, incarcerata, ha descritto le celle riservate ai “corrigendi”: sei metri per cinque, ventidue brandine sovrapposte, in tutto quarantadue persone in una cella. Le accuse nei Tribunali sommari rivolte ai controrivoluzionari vengono accuratamente selezionate e applicate con severità: religiosi, fra i quali l’Arcivescovo dell’Avana, Monsignor Jaime Ortega; adolescenti e bambini; omosessuali. La fortezza La Cabana di Santiago viene utilizzata come centro di smistamento. Il procuratore Guevara Lynch illustra a Fidel Castro e applica un “Piano generale del carcere”, definendone anche la specializzazione. Vengono così organizzate le case di detenzione “Kilo 5,5” a Pinar del Rio. Esse contengono celle disciplinari definite “tostadoras”, ossia tostapane, per il calore che emanavano. La prigione “Kilo 7” viene frettolosamente fatta sorgere a Camaguey: una rissa nata dalla condizioni atroci procurerà la morte di quaranta prigionieri. Il campo di concentramento La Cabanas ospita le “ratoneras”, buchi di topi, per la loro angustia. La prigione Boniato comprende celle con le grate chiamate “tapiades”, nelle quali il poeta Jorge Valls trascorrerà migliaia di giorni di prigione. Il carcere “Tres Racios de Oriente” include celle larghe un metro, alte un metro e ottanta centimetri e lunghe dieci metri, chiamate “gavetas”. La prigione di Santiago “Nueva Vida” ospita cinquecento adolescenti. Quella “Palos”, bambini di dieci anni; quella “Nueva Carceral de la Habana del Est”, omosessuali dichiarati o sospettai. Ne parla il film su Reinaldo Arenas “Prima che sia notte”, di Julian Schnabel uscito nel 2000.
    Il Che lavora con strategia rivolta non solo al presente ma al futuro Stato ditattoriale. Nel corso dei due anni passati come responsabile della Seguridad del Estado, avendo come collaboratore Osvaldo Sanchez che era esperto principale comunista, si materializza la persecuzione contro la Chiesa. Pascal Fontanie, nel suo libro “America Latina alla prova”, calcola che centotreuntuno sacerdoti hanno perduto la vita fino al 1961 nel periodo in cui Guevara era artefice massimo del sistema segregazionista dell’isola. Viene definito “il macellaio del carcere – mattatoio di La Cabana”. Si oppone con forza alla proposta di sospendere le fucilazioni dei “criminali di guerra”. Più che da Danton discende dall’incorruttibile, l'”incorruttibile” Robespierre. Quando ai primi del 1960 a lui viene assegnata la carica di Presidente del Banco Nacional, Fidel lo ringrazia con calore per la sua opera repressiva. Egli ne generalizza ancor più i metodi per cui ai propri nuovi collaboratori, per ogni minima mancanza, minaccia “una vacanza nei campi di lavoro di Guanahacabibes”. Il medico argentino, il più coerente leninista dell’America Latina, il meno reticente delle proprie idee e propositi pratici, è l’autentico motore di una ideologia totalitaria e di una macchina penitenziaria statale. La sua azione, esplicitamente ispirata ad una concezione coercitiva, impersona, come egli scrisse: “l’odio distruttivo che fa dell’uomo un’efficace, violenta, selettiva, fredda macchina per uccidere”.
    Cronologia:
    14 luglio 1928 Nasce Ernesto Guevara Lynch, detto Che.
    26 luglio 1953 Un gruppo di studenti attacca la caserma della Moncada. Uno dei capi, Fidel Castro, viene arrestato e condannato a 15 anni di prigione. Ben presto libero, raggiunge il Messico.
    1955 In Messico, Che Guevara incontra Fidel Castro che si sta preparando a rientrare a Cuba.
    Dicembre 1956 Fidel e Che Guevara sbarcano a Cuba. Guevara si fa subito notare per la sua durezza: un ragazzo, guerrigliero della sua unità, che ha rubato un po’ di cibo viene fucilato senza alcun processo.
    7 Novembre 1958 A capo di una colonna di guerriglieri, Ernesto Che Guevara intraprende una marcia su L’Avana.
    1 gennaio 1959 Il dittatore Fulgencio Batista si dà alla fuga.
    8 gennaio 1959 Fidel Castro e i suoi barbudos entrano a L’Avana. Che Guevara riceve l’incarico di “procuratore” ed è lui a decidere delle domande di grazia. Subito le prigioni della Cabana, all’Avana dove esercita Che Guevara, e di Santa Clara diventano teatro di esecuzioni di massa. Vengono uccisi soprattutto ex-compagni d’arme, che si erano conservati democratici, di Fidel Castro e del Che. Si instaura la dittatura comunista.
    Maggio 1961 Vengono chiusi tutti i collegi religiosi e le loro sedi confiscate. Secondo Il libro nero del comunismo, dal quale sono tratte queste informazioni, scritto da storici di sinistra, negli anni Sessanta, a Cuba sono state eliminate da 7.000 a 10.000 persone e altre 30.000 incarcerate.
    17 settembre 1961 Vengono espulsi da Cuba 131 sacerdoti diocesani e religiosi.
    9 ottobre 1967 Recatosi in Bolivia, Che Guevara non riceve alcun appoggio da parte dei contadini. Isolato e braccato, viene catturato e giustiziato.
    Bibliografia:
    – AAVV, Il libro nero del comunismo. Crimini, terrore, repressione, Mondadori, Milano 1998.
    – Armando Valladares, Contro ogni speranza. Dal fondo delle carceri di Castro, SugarCo, Milano 1987.
    – Federico Guiglia, Il sole nero. Dall’esilio cubano sette storie contro Fidel, Libri Liberal, Firenze 2000.
    – Jorge Valls, Mon ennemi, mon frére, Gallimard, Paris 1989.
    © Il Timone – n. 20 Luglio/Agosto 2002
    Dopo aver fatto così tanto (o così poco?) per distruggere il capitalismo, Che Guevara è diventato un marchio che è la quintessenza del capitalismo stesso. La sua immagine compare su tazze, berretti, accendini, portachiavi, portafogli, bandane, top, blue jeans, confezioni di tè alle erbe e, naturalmente, sulle immancabili t-shirt con la fotografia di Alberto Korda che ritrae l’idolo socialista con il berretto nei primi anni della rivoluzione, l’immagine che a 38 anni dalla morte del Che è ancora il simbolo dello chic rivoluzionario (o capitalista?). Sean O’Hagan ha scritto sull’ Observer che esiste persino un detersivo in polvere con lo slogan «Il Che lava più bianco».
    Dei prodotti del Che si occupano grandi corporation e piccole ditte,

    L’immagine del Che sulle magliette di un giovane cinese (Ap)
    come la Burlington Coat Factory, nel cui spot tv figura un ragazzo in abiti da lavoro e t-shirt del Che, o la Flamingo’s Boutique di Union City, nel New Jersey: il proprietario ha arginato la furia degli esuli cubani locali ricorrendo all’imbattibile argomento del «vendo qualsiasi cosa la gente desideri comprare». Neanche i rivoluzionari sono immuni dalla frenesia del mercato: The Che Store, il negozio del Che su Internet, soddisferà «tutte le vostre esigenze rivoluzionarie»; il giornalista italiano Gianni Minà ha venduto a Robert Redford i diritti del film ispirato al diario del viaggio che il giovane Che fece in Sudamerica nel 1952, in cambio del permesso di accedere al set, sul quale ha potuto girare un proprio documentario. Per non parlare di Alberto Granado, che accompagnò il Che in quel viaggio e oggi fa da consulente ai documentaristi mentre – come riporta El País – tra vino della Rioja e magret d’anatra si lamenta da Madrid di non poter riscuotere i diritti per colpa dell’embargo americano contro Cuba. (…)
    La trasformazione di Che Guevara in un marchio capitalista non è nuova ma il marchio ha conosciuto un revival piuttosto significativo, poiché giunge anni dopo il collasso politico e ideologico di tutto ciò che Guevara ha rappresentato. Una ripresa insperata, dovuta principalmente a I diari della motocicletta , il film prodotto da Robert Redford e diretto da Walter Salles. (…) Per l’esattezza, questo ritorno di fiamma è iniziato nel 1997, quando, nel trentesimo anniversario della morte del Che, sono comparse nelle librerie cinque biografie e sono stati rinvenuti i resti di Guevara nei pressi di una pista dell’aeroporto boliviano di Vallegrande, in seguito alle rivelazioni fatte, con particolare tempismo, da un generale boliviano in pensione. L’anniversario ha richiamato l’attenzione sulla celebre fotografia di Freddy Alborta al cadavere del Che steso su un tavolo, romantico come il Cristo dipinto da Mantegna.
    È normale che i fedeli di un culto non conoscano la verità storica sul loro eroe. Non sorprende che gli attuali seguaci di Che Guevara, i suoi nuovi ammiratori postcomunisti, si autoingannino aggrappandosi a un mito – eccezion fatta per i giovani argentini, che hanno coniato l’espressione: «Tengo una remera del Che y no sé por qué», «Ho una maglietta del Che e non so perché».
    Pensiamo a quanti hanno recentemente brandito o invocato il volto del Che come icona di giustizia e di ribellione agli abusi del potere. In Libano, i dimostranti che protestavano contro la Siria sulla tomba del primo ministro Rafiq Hariri portavano l’immagine del Che. Thierry Henry, un calciatore francese che gioca nell’Arsenal, in Inghilterra, si è presentato a un megagalà organizzato dalla Fifa, la federazione calcistica mondiale, indossando una t-shirt del Che. In una recente recensione del film La terra dei morti viventi di George A. Romero pubblicata sul New York Times , Manohla Dargis ha scritto: «Lo choc maggiore è la trasformazione di un nero zombie in un retto leader rivoluzionario». E ha aggiunto: «Immagino che il Che viva, dopo tutto».
    In un viaggio in Venezuela, nel corso del quale ha incontrato Hugo Chávez, il campione di calcio Maradona ha esibito un emblematico tatuaggio del Che sul braccio destro. A Stavropol, nel sud della Russia, i manifestanti che denunciavano le concessioni statali a pagamento hanno raggiunto la piazza centrale sventolando bandiere del Che. A San Francisco, la leggendaria City Light Books, tempio della letteratura beat, offre ai visitatori una sezione dedicata all’America latina, nella quale metà degli scaffali regge libri sul Che. José Luis Montoya, un poliziotto messicano che combatte il traffico di droga a Mexicali, indossa un fazzoletto del Che perché lo fa sentire più forte. Nel campo profughi di Dheisheh, in Cisgiordania, i manifesti del Che decorano una parete che celebra l’Intifada. Un domenicale di Sydney, in Australia, elenca i tre ospiti ideali per un party: Alvar Aalto, Richard Branson e Che Guevara. Leung Kwok Hung, il ribelle eletto al Consiglio legislativo di Hong Kong, sfida Pechino indossando una t-shirt del Che. In Brasile, Frei Betto, consigliere del presidente Lula da Silva responsabile del programma «Fame zero», ritiene che «avremmo dovuto prestare meno attenzione a Trotskij e molta di più a Che Guevara».
    La più famosa: alla cerimonia degli Academy Awards di quest’anno, Carlos Santana e Antonio Banderas hanno interpretato il tema musicale de I diari della motocicletta; Santana portava una t-shirt del Che e un crocifisso. Espressioni del nuovo culto del Che sono ovunque. Ancora una volta, il mito attrae persone la cui causa rappresenta l’esatto opposto di ciò che era Guevara. (…)
    Nel gennaio 1957, come indicato nel diario della Sierra Maestra, Guevara sparò a Eutimio Guerra, sospettato di aver rivelato delle informazioni: «Ho risolto il problema con una calibro 32, nella parte destra del cervello… Ciò che apparteneva a lui ora era mio». Più tardi sparò ad Aristidio, un contadino che aveva espresso il desiderio di ritirarsi appena i ribelli si fossero spostati. E mentre si domandava se la vittima «fosse colpevole al punto da meritare la morte», non esitava a ordinare l’uccisione di Echevarría, fratello di un compagno, colpevole di crimini imprecisati: «Doveva pagare». In altre occasioni simulava le esecuzioni senza portarle a termine, una forma di tortura psicologica. Luis Guardia e Pedro Corzo, due ricercatori della Florida che stanno lavorando a un documentario su Guevara, hanno ottenuto la testimonianza di Jaime Costa Vázquez, un ex comandante dell’esercito rivoluzionario noto come «El Catalán», secondo il quale molte delle esecuzioni attribuite a Ramiro Valdés, futuro ministro degli Interni cubano, sono invece direttamente imputabili a Guevara, perché sulle montagne Valdés ne eseguiva gli ordini. «In caso di dubbio, uccidete», era la direttiva del Che.
    Alla vigilia della vittoria, secondo Costa, il Che avrebbe ordinato l’esecuzione di una ventina di persone a Santa Clara, al centro di Cuba. Alcuni furono uccisi in un hotel, come ha scritto Marcelo Fernándes-Zayas, altro ex rivoluzionario poi diventato giornalista, precisando che tra gli uccisi, i casquitos, c’erano contadini che si erano uniti all’esercito solo per non restare disoccupati. Eppure, la «macchina che uccideva a sangue freddo» non mostrò appieno la sua ferocia finché, immediatamente dopo il crollo del regime di Batista, Castro gli affidò la direzione del carcere di La Cabaña. (Castro aveva un talento innato nello scegliere le persone adatte a proteggere la rivoluzione dall’infezione). San Carlos de La Cabaña era una fortezza di pietra utilizzata nel XVIII secolo per difendere l’Avana dai pirati inglesi; più tardi divenne una caserma militare. Guevara ne fu direttore nella prima metà del 1959, in uno dei periodi più neri della rivoluzione. José Vilasuso, avvocato e professore alla Universidad Interamericana de Bayamón di Porto Rico ed ex membro dell’organismo che si occupava dei processi sommari di La Cabaña, mi ha recentemente raccontato: «Il Che presiedeva la Comisión Depuradora. Il processo rispettava la legge della Sierra: c’era una corte militare e secondo le indicazioni del Che dovevamo agire con convinzione, perché erano tutti assassini e procedere in modo rivoluzionario significava essere implacabili. Il mio diretto superiore era Miguel Duque Estrada. Il mio compito consisteva nel sistemare le pratiche prima che fossero inviate al ministero. Le esecuzioni si svolgevano dal lunedì al venerdì, in piena notte, appena dopo l’emissione della sentenza e l’automatica conferma in appello. Nella notte più orribile che io ricordi, furono uccisi sette uomini».
    Javier Arzuaga, il cappellano basco che recava conforto ai condannati a morte e fu testimone di decine di esecuzioni, mi ha recentemente incontrato nella sua casa di Porto Rico. Ex prete cattolico, oggi settantacinquenne, si definisce «più vicino a Leonardo Boff e alla teologia della Liberazione che all’ex cardinale Ratzinger» e ricorda: «C’erano circa ottocento prigionieri in uno spazio capace di contenerne non più di trecento: ex militari e poliziotti dell’era di Batista, giornalisti, qualche uomo d’affari e alcuni commercianti. Il tribunale rivoluzionario era formato da uomini delle milizie. Che Guevara presiedeva la Corte d’appello. Non ha mai annullato una sentenza. Visitavo il braccio della morte nella Galera de la muerte. Si sparse la voce che ipnotizzavo i prigionieri perché molti restavano calmi, così il Che diede l’ordine che fossi presente alle esecuzioni. Dopo la mia partenza in maggio furono eseguite ancora molte sentenze, io vidi 55 esecuzioni. C’era un americano, Herman Marks, evidentemente un ex carcerato. Lo chiamavamo “il macellaio” perché provava piacere a dare l’ordine di sparare. Difesi davanti al Che la causa di numerosi prigionieri. Ricordo in particolare il caso di un ragazzo, Ariel Lima. Il Che non si smosse. Né cambiò idea Fidel, al quale feci visita. Rimasi così sconvolto che alla fine del mese di maggio 1959 mi fu ordinato di lasciare la parrocchia di Casa Blanca, dove si trovava La Cabaña e dove avevo celebrato la messa per tre anni. Andai a curarmi in Messico. Il giorno che partii, il Che mi disse che ciascuno di noi aveva tentato di portare l’altro dalla propria parte, invano. Le sue ultime parole furono: “Quando ci toglieremo le maschere, ci ritroveremo nemici”».
    Quante persone furono uccise a La Cabaña? Pedro Corzo propone una stima di duecento vittime, simile a quella calcolata da Armando Lago, un professore di economia in pensione che ha compilato un elenco di 179 nomi. Vilasuso sostiene che tra gennaio e la fine di giugno del 1959 (quando il Che lasciò l’incarico a La Cabaña) furono uccise quattrocento persone. Cablogrammi segreti inviati dall’ambasciata americana dell’Avana al Dipartimento di Stato a Washington parlavano di «oltre cinquecento». Secondo Jorge Castañeda, uno dei biografi di Guevara, padre Iñaki de Aspiazú, cattolico basco vicino alla rivoluzione, avrebbe parlato di settecento vittime. Félix Rodríguez, un agente della Cia che fece parte della squadra incaricata di dare la caccia a Guevara in Bolivia, mi ha raccontato di aver affrontato con il Che la questione delle «circa duemila» esecuzioni delle quali era responsabile. «Disse che erano tutti agenti della Cia e non fornì il numero», ricorda Rodríguez. Le cifre più elevate possono tenere conto di esecuzioni che ebbero luogo nei mesi successivi al termine dell’incarico del Che a La Cabaña.
    E questo ci riporta a Carlos Santana, al suo abbigliamento chic in stile Che. In una lettera aperta pubblicata su El Nuevo Herald il 31 marzo di quest’anno, il grande musicista jazz Paquito D’Rivera ha criticato Santana per l’abbigliamento esibito agli Oscar e ha aggiunto: «Uno dei cubani di La Cabaña era mio cugino Bebo, rinchiuso perché cristiano. Mi racconta con amarezza infinita di quando dalla sua cella, all’alba, sentiva la voce dei tanti che, senza processo, morivano gridando “Lunga vita a Cristo re!”».

  7. C’e pocoda dire e da fare. Per anni Che Guevara e Fidel Castro sono stati tenuti ad esempio. Leggetevi “il sole nero di Federico Guiglia e vedrete che non e’ cosi.

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