La teocrazia è incompatibile con il concetto di democrazia

Perché uno dovrebbe stare lì a buttare giù un ulteriore post esplicativo quando ha commentatori arguti che – ancora senza password da autore, purtroppo – l’hanno già scritto (e scritto splendidamente) ancora meglio – probabilmente – di come l’avevi in mente?

Quella che segue è una sintesi di un lungo commento (potete trovarne la versione integrale in calce a questo post) di Babsi Jones, in risposta ad un appassionato intervento di Lia di Haramlik.

(di Babsi Jones, tratto da
un commento su Macchianera)

Consolato danese a Beirut in fiammeL’intero Occidente ha pubblicato le vignette? No. Un giornale svedese e un giornale norvegese hanno pubblicato le vignette. Non mi pare problematico comprendere la differenza fra 2 (due) quotidiani e “l’intero Occidente”.
Avrebbe l’intero Occidente pubblicato quelle vignette? Ne dubito. Per milioni di motivi, che includono anche (anche, ma non solo) una “scelta di sensibilità”. Alcuni l’avrebbero fatta: non io, e poi ti spiego il perché. Altri non le avrebbero pubblicate, ad esempio, perché sono mensili che trattano di giardinaggio o perché, come me, semplicemente non gradiscono vignette. Di nessun tipo.
Perché un pezzo di Occidente adesso difende quelle vignette? Attenzione, sto per introdurre il rivoluzionario concetto che si chiama “causa-effetto”. NON le difende perché le avrebbe pubblicate, le difende perché qualcuno ha attaccato il disegnatore, lo ha minacciato di morte, gli ha hackerato il sito; e poi sono state bruciate delle ambasciate, sono stati minacciati tutti i cittadini di tutto l’Occidente (il riassunto è su Repubblica, continuate da soli a leggere quali geniali reazioni hanno prodotto i discoli “ingiustamente provocati”). E’ stata tirata in causa una cosa che non si chiama “muco nasale” né “vignetta danese”, ma una cosa che si chiama libertà di stampa e di opinione. Davanti a migliaia/milioni di persone che chiedono la testa di un disegnatore danese io dovrei nicchiare e dire: massì, diamogliela. Così stanno buoni. […]

Esiste una differenza basilare tra “sensibilità” e “diritto”. Se ci sfugge, siamo fritti come dei wanton. Possiamo anche consegnare la Costituzione alle ortiche, ché non ci serve più. La legge è fatta dai giuristi. I giuristi sono dei simpatici signori (si spera) che elaborano molte ipotesi e partoriscono delle norme e dei precetti che tengano conto di una “morale universale”, ovvero: i casi particolari possono rendere la faccenda assai problematica. Io capisco che esistano persone che vengono violentemente colpite da un punto di vista emotivo dall’esistenza dei panda rossi in calore e quindi risentono di choc culturale, però io non posso elaborare una legge ad hoc che proibisca a chicchessia di menzionare le parole: panda, rosso, calore. Perché di questo passo non avremmo delle Costituzioni, ma migliaia di volumi che elencherebbero tutte le fisime, le paranoie, le sottigliezze, le infinitesimali differenze culturali: un’opera demente. Siccome in Danimarca pare che i giuristi la pensino come me, tendono a ragionare per “concetti applicabili universalmente” (temo più o meno ovunque, nei paesi occidentali; per beffa suprema, la Danimarca viene considerato il paese più libero del mondo per quel che concerne la stampa), e siccome in Danimarca la blasfemia non è reato, della “sensibilità” nessuno tiene conto. E fa bene. Perché se non capiamo che differenza c’è fra “sensibilità” e “diritto” possiamo anche lasciar perdere di discutere. […]

Hai tutto il diritto di incazzarti per la vignetta; hai tutto il diritto di incazzarti (anzi, ne hai di più, ché sono cose ben più drammatiche) per decenni di violenze emarginazione occupazione bombardamenti stupri pregiudizi e quel che segue e che sappiamo. Puoi reagire in dozzine di modi: scrivi, ulula, disegna, rivolgiti a tutti i tribunali, fonda tutte le associazioni che ti pare, incatenati ai palazzi di giustizia. Ma non ti venga in mente di prendere a calci in culo qualcuno, o di cospargere un’ambasciata di benzina, oppure a) dai prova di essere uno che ha commesso un crimine, cioè un criminale b) ti arresto. Tout court. […]

Ho detto e scritto che chi ha incendiato le ambasciate è un criminale, e lo ridico senza problemi: spero vengano arrestati. Ho detto e scritto che le teocrazie non sono compatibili con il nostro concetto di democrazia, e lo riscrivo. Ho detto e scritto che l’Islam ha un gravissimo problema di gestione del concetto di “libertà individuale”, e lo riscrivo. E che ritengo il laicismo l’unica soluzione possibile per una pacifica convivenza, e le religioni, tutte, un rincoglionimento neanche tanto progressivo. Lo dico e non ho problemi a dirlo. Quanto al definire l’idea di libertà e la speranza di libertà un atto di narcisismo, beh: non voglio sapere come staremmo, senza questo grazioso vezzo che si chiama diritto di opinione. Mi pare un pochino più importante di un mascara waterproof. Forse ci pare un gioco perché ci è garantito. A differenza di parecchi, io credo che questa “garanzia” non sia eterna, e che vada difesa. Anche a costo di sembrare bambini capricciosi che strillano per potersi scaccolare il naso. Ai tempi del fascismo non sapevano di vivere ai tempi del fascismo, forse le proteste apparivano come bizze adolescenziali, chissà. Non vorrei che, per eccesso di sobrietà e rispetto della sensibilità altrui, fra 25 anni io stia a marcire dentro una galera per aver detto “non sono d’accordo”. Fra gli allarmisti e gli ottimisti siedo fra i primi. Se qualcuno vuole essere ottimista davanti a Beirut in fiamme e/o al fosforo su Falluja, si accomodi pure al circo. Ci sono ancora biglietti per lo spettacolo intitolato “Va tutto bene”.

(di Babsi Jones, tratto da
un commento su Macchianera)
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3 Commenti

  1. Vi dico la mia.
    Data le difficoltà odierne nella convivenza tra religioni, pubblicare le vignette è stata una mossa intelligente? Certo, no. E’ stato un mero gesto provocatorio che non ha fatto altro che gettare benzina sul fuoco? Forse sì. E’ stato un vero e proprio errore madornale? Chissà. Potremmo discutere all’infinito sull’opportunità o meno di disegnare il profeta su un giornale, ma il punto non è questo: il punto è che il tutto è avvenuto in Europa, in Danimarca, in Norvegia, insomma in Paesi evoluti e democratici dove fortunatamente i dettami di una qualsiasi religione non sono ancora diventati legge di stato e dove, quindi, dare un volto a Maometto non è ancora reato. Sarà peccato per alcuni, ma non è reato: è proprio questa una delle sostanziali differenze che ci permettono di distinguere tra democrazia e teocrazia. Nessuno è andato a ingurgitare pubblicamente maiale nei Paesi arabi, nessuno è andato lì a disegnare il volto del profeta, nessuno è lì a ubriacarsi di birra e nessuno sogna di farlo: si tratta di comportamenti vietati e, per quanto possiamo giudicarli assurdi o incomprensibili, rispettati. Allo stesso modo, se andassi in India, non mi permetterei mai di sgozzare una mucca; se fossi in un qualsiasi paese che impone di camminare a quattro zampe, mi adeguerei; se fossi in un posto in cui per legge è vietato mangiare pasta al sugo, mi guarderei bene dal farlo. Ma io sono in Italia, io sono in Danimarca, io sono in Norvegia, dove queste imposizioni, questi divieti non esistono, quindi, se voglio disegnare Maometto, lo faccio. Se voglio mangiar maiale, lo faccio. Se voglio divorziare idem. Se voglio abortire altrettanto. Si tratta di peccati, non di reati ed è alle leggi dello stato che io rispondo delle mie azioni, non ai dettami religiosi. Entrare nel merito delle vignette, discutere se facciano ridere o meno, se siano manifestazioni satiriche o pure volgarità non c’entra: non è proibito da nessuna legge pubblicarle e allora posso farlo. E se decido di non farlo è perchè io ritengo che non sia il caso, perchè io non voglio offendere la sensibilità degli islamici, io penso che siano di di cattivo gusto: non perchè poi qualcuno potrebbe dare fuoco all’ambasciata del mio paese, non perchè qualche pazzo fanatico potrebbe condannarmi a morte.
    Si tratta di un discorso in realtà più ampio che – se vogliamo – investe il concetto stesso di laicità dello stato, i rapporti tra stato e chiesa, tra stato e religione: se si ammette che ciò che che è peccato per qualcuno (raffigurare Maometto in questo caso) debba essere anche reato, allora dovremmo punire anche l’interruzione volontaria della gravidanza, il divorzio, l’adulterio, i rapporti sessuali prematrimoniali (per citare alcuni dei tabù della religione cattolica) e quant’altro sia considerato peccato da qualsiasi altra religione: dovremmo, cioè, dire addio al laicismo che è punto cardine del concetto stesso di democrazia e principio estraneo al mondo musulmano e quindi per esso incomprensibile. E non è forse proprio questa una delle tesi sostenute dalla Fallaci? Se – come detto da qualcuno precedentemente – superassimo il luogo comune “Oriana-puttana-fascista”, ci renderemmo conto che non tutto ciò che scrive è insensato: diecimila critiche possono esserle mosse (tra le tante idiozie contenute ne “La rabbia e l’orgoglio” la più ridicola è sicuramente quella del progetto musulmano di invadere l’Occidente ed annientare la nostra civiltà: come se i poveracci sui barconi venissero qui per colonizzarci e non per fuggire da fame e miseria), ma, quando sostiene che chi viene in Italia, in America, nel mondo occidentale deve pur adeguarsi alle nostre leggi, deve pur rispettare la nostra civiltà e la nostra cultura, come si può darle torto? Un esempio su tutti quello della questione sul crocifisso: io sono fondamentalmente contrario all’esibizione di simboli religiosi nelle scuole come in qualsiasi ufficio pubblico, ma c’è una legge che l’impone, quindi la rispetto. Non butto crocifissi dalle finestre di ospedali come Adel Smith, nè tantomeno mi rifiuto di lavorare se ho un crocifisso alle spalle come il giudice Tosti. Ed è semplicemente questo che si chiede ai musulmani o a chi per loro: rispettare le nostre leggi. E’ ammissibile che le considerino sbagliate, anche che le trovino ingiuste; è ammissibile che si sentano offesi dal nostro stile di vita o che esprimano perplessità, perfino indignazione di fronte alle stesse vignette: quel che non è ammissibile è che condannino a morte l’autore dei disegni, che gettino benzina e fiammiferi sulle ambasciate, che arrivino a uccidere perchè si sentono offesi.
    E’ innegabile che sarebbe comunque un errore fare di tutta l’erba un fascio, generalizzando fino a fare di tutti gli islamici dei terroristi, degli integralisti, dei fanatici: esiste sicuramente un Islam moderato (pensiamo a Magdi Allam, vicedirettore del corriere della sera, o alla giornalista Rula Jebreal) e, per così dire, illuminato, ma stupisce che, prima ancora di dirsi indignatissimi perchè offesi in quanto hanno di più caro da fessi disegnini su Maometto, i “moderati” non condannino altrettanto fermamente – o meglio con ancor più veemenza – le reazioni violente e indegne di centinaia di persone che, se non rappresentano la maggiornaza dei musulmani, ne sono sicuramente un’enorme fetta, la stessa enorme fetta che esultava in strada dopo l’attacco alle torri gemelle. Semplicemente insensato, invece, mi sembra l’atteggiamento di chi in Europa è pronto a flagellarsi sull’altare dell’autocritica, di chi come Gorbaciov pretende di rammentarci che non bisogna abusare della libertà di espressione, ma non ha mai speso una parola per tragedie ben più gravi di quattro vignette, a cominciare dalle persecuzioni dei cristiani nei paesi arabi: che i musulmani ritengano fatto gravissimo che qualcuno abbia pubblicato il ritratto del profeta è ammissibile; che per noi occidentali non offendere la sensibilità islamica sia da considerarsi un problema più preoccupante dell’assenza di libertà religiosa nei paesi arabi assolutamente no. Dovremmo chiedere scusa, implorare perdono per delle vignette. Ma qualcuno ha chiesto scusa a noi per i cristiani giustiziati?

  2. Pensiero debole

    Rispondo a Leonardo di qua. Tanto non desidero confrontarmi col suo post (ed anche con Leo in generale non sarei capace) ma solo sottolineare due cose: Questo è un pezzo sulla mia generazione, che secondo me ha dei problemi con…

  3. “TEOCRAZIA ITALIA”
    L’ITALIA E’ UNO STATO LAICO?
    CHIESA CATTOLICA S.P.A.: L’ALTRA FACCIA DEL NEO-CONFESSIONISMO DI STATO

    Come sottolineato dalla sentenza n. 203 della Corte Costituzionale, per la Costituzione Italiana la laicità è un “principio supremo dello Stato”: “il principio di laicità, quale emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale.”
    Nei fatti la situazione è molto diversa da quel che appare: l’affermazione della piena laicità delle Istituzioni è ben lontano dall’essere una conquista comune e condivisa, apparendo ancora una meta cui ambiziosamente tendere.
    I motivi sono molto diversi ma tutti legati all’ingombrante presenza e alla forte autorità esercitata dalla Chiesa cattolica nella Società e sulle Istituzioni:
    – il cattolicesimo è fortemente presente in Italia mente le altre religioni sono presenti in percentuale molto bassa
    – l’Italia ha instaurato un rapporto privilegiato con lo Stato della Città del Vaticano, con cui ha stipulato e rinnovato accordi di forte integrazione (Patti Lateranensi e Concordato)
    – per quasi tutta la seconda metà del XX secolo, un solo partito (la Democrazia Cristiana, esplicitamente ispirato ai principi del cattolicesimo) ha assunto una posizione di quasi predominio ideologico nel Paese
    – l’associazionismo cattolico, rappresentato principalmente dalle ACLI, dall’Azione Cattolica e dall’AGESCI, ha assunto un’influenza decisiva sulla classe politica.
    La ragione di fondo, però, è un’altra: la Chiesa Cattolica giudica negativamente la visione laica dello Stato perché, al contrario, ad esempio, delle Chiese Protestanti che prediligono un rapporto diretto con i fedeli e sono convinte della necessità di non imporre alcun loro precetto per legge anche a coloro che non sono credenti, i Cattolici ritengono la Politica uno strumento a servizio della loro Verità!
    La nostra Democrazia parlamentare, a ragione della sua debolezza e mancanza di autorevolezza, sui più importanti temi etici (che richiedono risposte dalla Politica) e su argomenti più svariati risulta, di fatto, sotto commissariamento delle gerarchie vaticane, incapace di rispondere alla domanda di nuovi diritti che proviene dalla Società moderna senza tener conto dei moniti della Cei e delle posizioni di Avvenire.
    La diffusione della cultura legata alla Chiesa Cattolica fa si che nel nostro ordinamento siano accettate norme e usanze legate alla tradizione cattolica benché lesive dell’uguaglianza fra i cittadini.
    Nessuno vuole imbavagliare il diritto della Chiesa di esprimersi liberamente: il Capo dello Stato Vaticano, in qualità di rappresentante della grande Comunità cristiana presente in Italia, oppure il card. Bagnasco, a capo della Cei, hanno pieno diritto a manifestare il loro dissenso sull’agenda di Governo e i provvedimenti allo studio del Parlamento. La Costituzione italiana, però, non riconoscere loro alcun potere di veto né alcuna funzione istituzionale (come tal volta sembrano assumere!).

    Secondo l’art. 7 della nostra Costituzione, “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono (rectius: dovrebbero essere), ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. Il dubbio che ciò sia vero, però, sussiste e trova una prima ragion d’essere proprio in Costituzione:
    – nello stesso art. 7, che riconosce alla Chiesa cattolica il rango di “potere indipendente”, tutelato dai Patti e dal Concordato, mentre regola, al successivo art.8, il rapporto tra lo Stato e le altre confessioni religiose sulla base di più modeste, arbitrarie ed eventuali intese
    – e sia nell’art. 7 che 8, ove prevedono speciali garanzie e privilegi per chi professa una confessione religiosa mentre si dimenticano di far cenno minimamente alla libertà di religione “in negativo”: atei, agnostici e simili non hanno formalmente riconosciuto il diritto di non professare alcuna religione. E tale appunto non è meramente formale!
    In Italia esiste una grave distanza tra la politica ufficiale e la società civile nell’affrontare temi etici (specie in un Parlamento in cui non sono più rappresentate le forze politiche d’ispirazione più laica). Nonostante il contagio del più bieco servilismo nei confronti dei poteri forti che colpisce sempre più ampia parte della Politica, resiste ancora (e ad essa dobbiamo dare voce) un’altra Italia, un’Italia laica:
    – che crede che la convivenza civile si fondi sul rispetto, sulle libertà e sullo spirito critico di ognuno
    – che condanna ogni forma d’integralismo ideologico
    – che non vorrebbe mai imporre a nessuno valori unici e verità assolute
    – che crede che la libertà e la democrazia trovi fondamento sulla autonomia delle Istituzioni da ogni potere forte
    – e che confida nell’individuo quale padrone di sé e libero di scegliersi la propria morale.
    La cosa che più sconcerta non sono le pretese clericali di decidere l’agenda di governo (si veda il caso dei DICO o del Testamento biologico) o le ingerenze della Chiesa sui pubblici poteri e sul funzionamento della democrazia in Italia (si veda il ruolo decisivo di “Comitato per il NO” che ha assunto il Vaticano in occasione del referendum sulla procreazione assistita nel 2005), bensì l’acquiescenza e i segnali di resa delle forze politiche e culturali del Paese.
    La realtà è che l’Italia non è uno Stato moderno perché manca di attuazione uno dei principi su cui lo stato moderno si fonda (assieme a quello dello separazione dei poteri): il principio di “laicità”, quello che ha salvato l’Europa dalle guerre religiose e ha garantito la libertà di culto, la distinzione tra diritto e morale.
    La gerarchia ecclesiastica interviene quasi quotidianamente e pesantemente sull’attività del Governo e del Parlamento, addirittura sulle trattative per la formazione degli esecutivi. Poiché al mondo cattolico manca il grande partito di riferimento che fu la DC, è la Chiesa stessa a “farsi partito”, dimenticando la sua funzione unicamente spirituale di guida delle anime.
    Le elezioni politiche dello scorso aprile hanno rappresentato l’ennesimo banco di prova, con numerosi vertici della Chiesa “scesi in campo”, sull’onda della battaglia ideologica iniziata da Luciano Ferrara:
    – per rivendicare la necessità di rivedere la legge 194
    – per condannare ogni promessa elettorale di regolamentazione delle coppie di fatto
    – e per invitare l’elettorato italiano, a pochi giorni dal voto, a tener conto della posizione dei partiti sui temi etici prima di scegliere nelle urne.
    Addirittura all’interno del PD abbiamo assistito alla nascita di una corrente politica (i “Teodem”, guidati dall’on. Binetti) apertamente ispirata a posizione tendenzialmente “teocratiche”!
    Come non denunciare, poi, gli attacchi e i moniti alla magistratura italiana proferiti, in primis, da mon. Bagnasco prima e contro la sentenza dello scorso 13 novembre delle S.U. della Cass. sul caso di Eluana Englaro? E la dura condanna della sentenza che ne è seguito, con l’invito alle forze amiche dell’attuale maggioranza politica di approvare al più presto una legge per impedire che sentenze del genere si ripetano?
    Esempi del genere non fanno più scandalo perché costantemente ed ossessivamente ripetuti con ampio spazio concesso dal mondo dell’informazione: dopo il nostro Presidente del Consiglio, è il papa il personaggio che trova più spazio nell’informazione televisiva! Tornando indietro con la memoria di qualche anno, poi, si scopre come il clima non sia mai cambiato.
    Risalgono al 1999 le pesanti parole sul tema dell’immigrazione dell’allora arcivescovo di Bologna Giacomo Biffi, dichiarante che “lo Stato italiano dovrebbe consentire ai musulmani in Italia solo ciò che nei paesi musulmani è effettivamente consentito agli altri. Lo Stato (…) faccia quello che la Chiesa non può fare: adottare il piccolo strumento della reciprocità come pressione sull’Islam”. In pratica, un invito al Governo italiano a non trattare gli immigrati in egual modo bensì in relazione alla loro fede religiosa e a selezionare l’immigrazione favorendo quella cattolica, in pieno dispregio dell’art. 3 della nostra Costituzione!
    E come dimenticare quanto hanno sbraitato le autorità vaticane, nel 2000, per impedire una libera e pacifica manifestazione ritenuta “inopportuna” nell’anno del Giubileo: ossia il “World gay pride”? Fortunatamente l’unico risaltato ottenuto è stato costringere l’allora Sindaco di Roma, Rutelli, a negare il patrocinio alla manifestazione e, indirettamente, sollecitare migliaia di famiglie comuni a scendere in piazza anche solo per rivendicare quanto sia bello vivere in una Repubblica democratica in cui vige ancora l’art. 21 della Cost.! Già, ma come non dar peso all’amaro lapsus dell’allora Ministro degli Interni, Giuliano Amato, che, come a volersi giustificare agli occhi della Chiesa, si è lasciato scappare un “purtroppo” al riconoscimento che quella manifestazione era legittima e che non avrebbe potuto far nulla per impedirla?!
    Il tema della laicità non solo è costantemente attuale ma riguarda sorprendentemente la vita di ognuno di noi più di quanto traspaia: se l’Italia è il paese occidentale con la legislazione più arretrata sul piano dei diritti civili e di libertà ciò è dovuto proprio alla mancanza di autonomia della Politica dai poteri forti!
    Uno Stato forte e democratico è uno Stato in cui in Parlamento siedono rappresentanti della Società civile che si fanno carico dei bisogni espressi dalla Comunità nazionale ed in cui un Governo operi libero da ogni altro condizionamento che non sia il benessere generale. Uno Stato laico è uno Stato che rende chiara la differenza tra il governare ed il guidare spiritualmente un Paese.
    Il giorno in cui la Politica italiani, senza pregiudizi, condizionamenti e visiere:
    – saprà discutere di come affrontare il problema della revisione della legge Merlin sulla prostituzione o della legge 40 sulla procreazione assistita o il dramma della droga o della mancanza informazione sessuale dei giovani (specie sull’utilizzo dei contraccettivi come arma per combattere l’AIDS)
    – saprà metterà all’ordine del giorno un d.d.l., come quello sull’indulto o sul testamento biologico o sui DICO, senza che sia la Cei ad indicare l’agenda del Parlamento
    – saprà mettere un punto fermo su alcune conquiste di civiltà ottenute a fatica, come la legge 194 sull’interruzione di gravidanza, e saprà aprire la strada a nuove conquiste, come la pillola ru486
    questo sarà il tempo in cui anche l’Italia potrà essere indicata come uno Stato moderno, una Democrazia matura ed una Società che non ha paura del proprio futuro.
    (continua …)

    GASPARE SERRA
    (IL DOSSIER COMPLETO E’ CONSULTABILE SUL BLOG: http://spaziolibero.blogattivo.com )

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