È il 22 novembre 2000 quando Carlos Cardoso viene assassinato a colpi di kalashnikov in Mozambico, nella centrale Avenida Martires de Machava di Maputo.
Per quella esecuzione sono stati condannati quali mandanti gli "uomini d’affari" Momade Abdul Satar e il fratello Ayob Addul S. assieme all’allora direttore della Banca Commerciale del Mozambico Vincente Ramaya. Presunti esecutori: Manuel Fernandes, Carlitos Rashid Cassamo e Aníbal Antonio dos Santos Júnior (detto Anibalzinho).
Proprio quest’ultimo, condannato in prima istanza a 28 anni di carcere, si è nei giorni scorsi dichiarato innocente nel processo a suo carico e non ha dimenticato di scusarsi per l’evasione dal carcere di massima sicurezza di Maputo avvenuta il 9 maggio 2004: «somebody opened the door», ha detto. Il «miracolo di Dio» che si aggiungeva alla prima evasione del settembre di due anni prima.
Segue tutta la storia.
Carlos Cardoso era un marxista, figlio di colono portoghese e sempre legato a quel Frente de Libertaçâo de Moçambique (FRELIMO) che fu prima movimento contro il regime colonialista di Oliveira Salazar e poi – ottenuta l’indipendenza il 25 giugno 1975 – partito unico sino al ’94.
Cardoso seguì fin da subito il corso rivoluzionario del paese appena liberato, raccontandolo prima nel settimanale Tempo (1976) e poi nell’agenzia nazionale AIM, della quale fu direttore dal 1982.
Erano gli anni del Mozambico di Samora Machel che statalizzava trasporti e comunicazioni, aboliva le libere professioni e sostituiva la proprietà terriera con fattorie statali, inciampando nello sbaglio della villaggizzazione in un tessuto culturale che guardava alla proprietà della terra come un diritto ancestrale.
Non furono certo anni facili per un popolo che oltre a dover ripartire da zero dopo la tabula rasa lasciata dai portoghesi in fuga, era anche coinvolto in una guerra civile voluta da quel fronte di destra Resistëncia Nacional Moçambicana (RENAMO) finanziato dal Sud Africa dell’apartheid, dal regime secessionista bianco della Rhodesia (oggi Zimbabwe), dagli stessi proprietari terrieri portoghesi e di certo non osteggiato dagli Stati Uniti negli anni della Guerra Fredda: ciò che rimaneva fu distrutto e la Renamo si segnalò per attentati contro convogli umanitari, per la distruzione di magazzini di cereali, scuole ed ospedali costruiti dal movimento di Machel.
In un contesto tanto travagliato Cardoso non si accontenta di scivolose apologie e non risparmia alcuna critica al FRELIMO, a costo di pagarne le conseguenze e nonostante i buoni rapporti con Samora Machel.
Poi nel 1986 Machel muore in un misterioso incidente aereo sul quale ad oggi non si sono ancora chiarite le responsabilità, divise tra la temuta polizia segreta sudafricana e tra gli stessi membri del partito. Il nuovo presidente Joaquim Chissano entra presto in contrasto con Cardoso che solo tre anni più tardi si dimette dall’AIM, mentre il FRELIMO impegna tutto un popolo verso la conversione alla fede neoliberista.
Dopo gli accordi di pace di Roma del 4 ottobre 1992, che siglano la fine di un conflitto durato 17 anni, Carlos Cardoso riprende da dove aveva cominciato e fonda il primo quotidiano via fax (MediaFax) non risparmiando denunce a un partito che ormai non aveva più nulla del movimento di liberazione nato con Eduardo Mondlane, lo stesso che ebbe modo di scontrarsi con Ernesto Guevara sulla direzione da imprimere ai movimenti liberatori africani.
Cardoso accusa a più riprese la corrente criminale del FRELIMO, le auto di lusso dei membri del partito dopo le privatizzazioni e l’emarginazione di un Nord del paese escluso dagli arricchimenti dell’altro polo, provenienti dagli affari con il vicino Sud Africa.
Sullo stesso filo rosso di denuncia alle pratiche criminose di partito, fonda nel 1994 il settimanale Savana e tre anni più tardi il quotidiano economico Metical (dal nome della moneta nazionale del Mozambico).
Proprio dalle pagine del Metical partono le più violente accuse all’èlite polito-finanziaria mozambicana e al Fondo Monetario Internazionale, aguzzino del sistema produttivo locale e soprattutto delle coltivazioni di cajù.
Ma la denuncia oggi ritenuta ufficialmente fatale a Cardoso riguarda il furto di 14 milioni di dollari seguito alla privatizzazione della Banca Centrale del Mozambico avvenuta nel 1992: in quella vicenda furono coinvolti i fratelli Satar, gli stessi condannati come mandanti dell’omicidio Cardoso.
In realtà c’è un’ulteriore inchiesta che Cardoso potrebbe aver pagato con la vita, ma ha lo svantaggio di interessare da vicino il figlio del presidente Chissano, Nyimpine (indicato come mandante da due dei condannati): una intricata storia di narcodollari riciclati con il beneplacito – e qualcosa in più – della Banca Centrale Mozambicana e del Banco Austral diretto da Octavio Muthemba, legato a Nymphine Chissano. Il Banco Austral avrebbe dovuto finanziare la costruzione di 2.000 alloggi popolari voluti dal governo Chissano.
Nel 2003 se ne occupa in Italia praticamente solo il Manifesto, e da allora le indagini hanno seguito un corso piuttosto lento proprio per l’ipotetico coinvolgimento del figlio del presidente Chissano, recentemente sostituito da Armando Guebuza.
Quando Cardoso viene eletto consigliere a Maputo – trasformando il "Metical" da giornale indipendente (con stipendio uguale per tutti) in un vero e proprio movimento politico – si alza in piedi e denuncia pubblicamente la fazione dei gangster interna al FRELIMO, facendo nomi e cognomi. Poi, il 22 novembre 2000.
Il settimanale Savana scrisse: "i mozambicani ne hanno abbastanza dei crimini senza criminali, dei furti senza ladri, degli omicidi senza assassini, della corruzione senza gente che è corrotta".
Parole ancora vive perché il processo ad "Anibalzinho" sta mettendo alla luce realtà scomode per un Mozambico mai realmente libero: Carlitos Rachid, infatti, colui che ha ammesso il coinvolgimento nell’esecuzione del giornalista mozambicano, ha detto: «Ho ucciso Cardoso perché Anibalzinho mi promise una ricompensa, garantendomi che niente sarebbe successo dal momento che il mandante era Nyimpine Chissano [in un primo momento riferendosi a lui con il termine the big boss]». Prosegue: «[Anibalzinho esclude un coinvolgimento di Chissano] perché pensa che la corte possa salvarlo, o che sarà liberato dalla prigione per la terza volta».
È emerso che proprio il ministro degli interni Almerino Manhenje dette l’ordine di liberare Anibalzinho.
«Con Samora Machel questo non sarebbe successo», si sentiva dire tra la gente nel 1997 come testimoniato dal mensile Popoli. Ma forse è un altro il messaggio di Carlos Cardoso: la corruzione non ha patria e nemmeno vaccini ideologici, è un cancro mortale-e-insaziabile specie in un sistema che fa del profitto il fine comune, attenuante ideale, legittimante sociale.
Lo scrittore e poeta mozambicano Mia Couto, uno dei pochi Giusti in questo millennio, ricordando l’amico Carlos Cardoso: «I responsabili di questa morte sono coloro che si arricchiscono a qualsiasi costo e alle spalle di chiunque, accumulando fortune con ogni sorta di traffici. E questi agiscono sotto lo sguardo passivo di chi dovrebbe garantire l’ordine e combattere questa barbarie».
Carlos Cardoso