Mani curate, cravatta rossa e una certezza: l’economia cinese è basata sullo schiavismo. D’accordo, ne parleremo, ma anzitutto chiedo a Harry Wu se vuole parlarci dei suoi diciannove anni rinchiuso in un laogai. Ci guarda mestamente: «Devi prima capire che cos’è davvero un laogai». E noi credevamo di saperlo: sono dei campi di rieducazione voluti da Mao Zedong che hanno accolto non meno di cinquanta milioni di persone dalla loro costituzione, praticamente l’Italia intera; si è calcolato che non esista un cinese che non conosca almeno una persona che vi è stata soggiogata. E’ una detenzione che non prevede processo, non prevede imputazione, tantomeno esame o riesame giudiziario o possibilità di confrontarsi con un’autorità. La decisione di rinchiuderti è a totale discrezione del Partito. «Ma loro» dice «per definirti usano la parola prodotto, e il primo prodotto sei tu, quello che devi diventare: un nuovo socialista. Il secondo è un prodotto vero e proprio, tipo scarpe, vestiti, spezie, tessuti, qualsiasi cosa. Ogni laogai ha due nomi: quello del centro di detenzione e quello della fabbrica. Tu devi affrontare una quota di lavoro quotidiano, sino a 18 ore, sennò non ti danno da mangiare. Spesso devi lavorare in condizioni pericolose, come nelle miniere, con prodotti chimici tossici». Una pausa, scuote la testa: «Ma neppure questo, in realtà, è il laogai».
E’ come se Harry Wu, cinese fuggito negli Usa, non volesse parlare di sé. Eppure è presidente della Laogai Research Foundation, è una prova vivente, fu arrestato a ventidue anni dopo che all’università, leggendo un giornale assieme ad altri studenti, aveva semplicemente criticato l’appoggio cinese all’invasione sovietica di Budapest. Delazione. Manette. Nessun tribunale, nessuna prova o indizio, nessun’accusa precisa se non quella d’essere un cattolico e un rivoluzionario di destra. «Il primo giorno, a Chejang, mi dissero che per potermi rieducare sarebbe occorso molto tempo. Poi mi spiegarono che non avrei neppure potuto pregare né sostenere di essere una persona: perché mi avrebbero punito o ucciso. Mi obbligarono a confessare delle presunte colpe dopo aver costretto alla confessione anche mio padre, mio fratello, la mia fidanzata. Solo mia madre rifiutò di farlo. Sono stato molto orgoglioso di lei». Un’altra pausa. L’impercettibile imbarazzo di Toni Brandi, il coordinatore della Fondazione che ci sta facendo da interprete: «Non ha confessato perché si è suicidata». E tutto, attorno, comincia a farsi stretto, troppo in distonia col racconto, e troppo rossa quella cravatta rossa, troppo pulita la moquette di quell’hotel nel centro di Milano.
«I primi due o tre anni» racconta Harry Wu «pensi alla tua ragazza, alla tua famiglia, alla libertà, alla dignità: poi non pensi più a niente. Perdi ogni dimensione, entri in un tunnel scuro. Preghi di nascosto. In un laogai non ci sono eroi che possano sopravvivere: a meno di suicidarti o farti torturare a morte. Scariche elettriche. Pestaggi manuali o con i manganelli. L’utilizzo doloroso di manette ai polsi e alle caviglie. La sospensione per le braccia. La privazione del cibo e del sonno. Questo ho visto, e così è stato per preti, vescovi cattolici, monaci tibetani». Ci mostra la foto di un vescovo di 33 anni, e ancora altre foto in sequenza che nessun quotidiano o rotocalco potrà mai riportare: uomini e ragazzi inginocchiati, una ragazzina immobilizzata da due soldati mentre un terzo le punta il fucile alla nuca, una foto successiva in cui è spalmata a terra con il cranio orribilmente esploso.
Poi un filmato. E’ un dvd curato dall’associazione, e dovrebbero vietarlo ai minori e agli occidentali in affari con la Cina: esecuzioni seriali, di massa, i condannati inginocchiati, prima la fucilata e poi lo stivale premuto forte sullo stomaco per controllare che morte sia stata, un ufficiale di partito che per sincerarsene usa una sbarra d’acciaio, e anche di questo qualcosa sapevamo, ma come dire: il video, un video. Sapevamo pure delle fucilazioni e delle camere mobili di esecuzione: furgoni modificati che raggiungono direttamente il luogo dell’esecuzione con il condannato legato con cinghie a un lettino di metallo, il tutto controllato da un monitor posto accanto al posto di guida. Poi via, si riparte verso altre esecuzioni da effettuarsi pochi minuti dopo l’emissione della condanna a morte.
Noi sapevamo che la maggior parte delle condanne è pronunciata in stadi e piazze davanti a folle gigantesche, e che le cose, in Cina, sono tornate a peggiorate dal 2003, laddove ogni anno vengono giustiziati più individui che in tutti i paesi del mondo messi insieme. «Nel 1984, dopo un articolo di Newsweek, smisero di portare i morti in giro per le strade come pubblico esempio» ci dice, «ma dal 1989 hanno ricominciato, e i familiari devono pagare le spese per le pallottole e per la cremazione». E la faccenda degli organi? «Le autorità prelevano gli organi dei condannati a morte in quanto appartengono ufficialmente allo Stato. I trapianti sono effettuati sotto supervisione governativa: il costo è inferiore del 30 per cento rispetto alla media, e ne beneficiano cinesi privilegiati e cittadini occidentali e israeliani». E la faccenda dei cosmetici fatti con la pelle dei morti? «Dai giustiziati prendono il collagene e altre sostanze che servono per la produzione di prodotti di bellezza, tutti destinati al mercato europeo». Nel settembre scorso, della pelle di condannati o di feti, parlò anche un’inchiesta del Guardian: citò la testimonianza, in particolare, di un ex medico militare cinese che sosteneva d’aver aiutato un chirurgo a espiantare gli organi di oltre cento giustiziati, cornee comprese: senza ovviamente aver prima chiesto il consenso a chicchessia. Il chirurgo parcheggiava il suo furgoncino vicino al luogo delle esecuzioni e, stando alla testimonianza, nel 1995 tolsero la pelle anche a un uomo poi rivelatosi vivo.
«Devi prima capire» ripete «che cos’è un laogai». Forse sì, forse dobbiamo capire: dobbiamo poterci raccontare, un giorno, tra vent’anni, che sapevamo. «I laogai sono parte integrante dell’economia cinese. Le autorità li considerano delle fonti inesauribili di mano d’opera gratuita: milioni di persone, rinchiuse, che costituiscono la popolazione di lavoratori forzati più vasta del mondo. E’ un modo supplementare, ma basilare, che ha fatto volare l’economia: un’economia di schiavitù». Il numero dei laogai è imprecisato: è segreto di Stato. Secondo l’Associazione, dovrebbero essere circa un migliaio. I prigionieri, se la rieducazione fosse giudicata non completata, posson essere trattenuti anche dopo la fine della pena: «Io avrei dovuto rimanerci per trentaquattro anni, se non fossi fuggito. Perché avevo delle opinioni. Perché ero cattolico. Perché ero un uomo. Il 20 novembre compio vent’anni da uomo libero». Ieri. «E continuerò a lavorare perché la parola laogai entri in tutti i dizionari, in tutte le lingue. Appena giunto negli Usa non ne volli parlare per cinque anni, non ci riuscivo, poi cominciai a vedere che in America la gente parlava dell’Olocausto, parlava dei gulag, e però a proposito della Cina parlava solo della Muraglia e del cibo e naturalmente dell’economia. Ma i laogai, in Cina, esistono da cinquantacinque anni».
Ben più, quindi, dei ventisette anni che ci separano dalla nascita della cosiddetta politica del figlio unico instaurata nel 1979 da Deng Xiaoping, prassi che ha spinto milioni di contadini a sbarazzarsi della progenie femminile: almeno 550mila bambine l’anno secondo l’organizzazione Human Rights Watch. Più dei due anni che ci separano dal giro di vite giudiziario introdotto nel 2003 nel timore che l’arricchimento potesse portare troppa libertà: laddove le madri e i familiari delle vittime di Tienanmen sono ancor oggi perseguitate, e i sindacati proibiti, i minori deceduti sul lavoro impressionanti per numero, per non dire dei cosiddetti morti accidentali: prigionieri che precipitano dai piani alti degli edifici detentivi e che solo il racconto di pochi scampati ha potuto testimoniare. A Reporter senza frontiere e ad Amnesty International è invece toccato il compito di raccontare della rinnovata abitudine di rinchiudere i dissidenti negli ospedali psichiatrici, spesso imbottiti di psicofarmaci senza che le ragioni degli internamenti fossero state neppure ufficialmente stabilite: accade nel Paese che per un anno e mezzo riuscì e celare l’epidemia Sars, giacchè i dirigenti cinesi temevano che potesse scoraggiare gli investimenti occidentali. Cose delicate. La Cina cresce sino al 10 per cento annuo e si metterà in vetrina ai giochi olimpici del 2008: e ci sono da quattro a sei milioni di persone, rinchiusi nei laogai cinesi, che stanno lavorando per noi.
Harry Wu domenica mattina è ripartito per Washington. Doveva incontrare Bush e festeggiare i suoi vent’anni da uomo libero. O forse bastava da uomo.
penso che non si parla abbastanza di tutto ciò di cui si dovrebbe parlare… e mi spaventa quello che, ancora, so di ignorare
A tal proposito, oltre a consigliare la filmografia di Elio Petri, suggerisco i libri sulle esperienze totalizzanti editi dalla piccola casa editrice “Sensibili alle foglie”.
Rendiamoci conto che la cassiera dell’Auchan che ha protestato con il sindacato e viene punita con 7 ore di cassa filata senza poter fare pipì e la versione avanzata del laogai, del carcere, dell’oscuro Male che da sempre la produzione e il profitto figliano.
Ok, delocalizzate pure in Cina
Prima, però, leggetevi questo pezzo di Filippo Facci sui laogai. Poi leggetevi anche altri testi (scegliete a caso, non voglio suggerire) sui laogai. Poi costruit…
I cinesi sono 1.300.000.000 di persone. Perchè una buona volta non si incazzano?
E’ questo, in verità, a farmi veramente paura.
L’incapacità delle persone di ribellarsi, la paura e l’ignoranza.
Ma di tutti, il male più grande è l’ignoranza.
L’hai pubblicato da qualche parte questo articolo? Vorrei farlo leggere ai miei studenti.
Schifo.. Ma da qualche parte una lista per vedere chi produce in Cina (tipo quello lì, il conte Geox) esiste ? “Io NON compro cinese” !
E poi ci si chiede che fine avra’ fatto il ragazzo di Tien a men.
… e i nostri industriali continuano a DELOCALIZZARE in cina….
Su report di ieri sera si è parlato dei “furgoni della morte” cinesi e si diceva, con mesta consapevolezza, che erano prodotti dalla fiat.
Dal sito di Beppe Grillo mi arriva un’altra segnalazione di una rivolta in una fabbrica italina “delocalizzata” in cina, soffocata tra le botte.
Temo non siamo del tutto senza colpa, forse dovremmo evitare di puntare il ditino accusatore visto che siamo in parte responsabili di questo sfruttamento di massa.
… già non dovremmo delocalizzare in cina … non dovremmo comprare i prodotti cinesi … non dovremmo fare molte cose in effetti … poi guardiamo il portafoglio e ci turiamo il naso …
io lo ammetto ho comprato un ampli nuovo e ho pensato lo riporto indietro perchè è stato prodotto in cina … poi ho guardato la bellezza dell’oggetto e tutto sommato dei milioni di cinesi sfruttati me ne sono strafregato come anestetizzato dal mio prodotto tecnologico …
certo è che questo è il problema più grosso della competizione con la cina: il fatto che abbiano tanti lavoratori a basso costo che non possono dire nulla.
E certamente non si può chiedere a chi deve gestire le aziende di essere moralmente irreprensibile dovrebbero essere gli stati tassando che azzerano i vantaggi per chi delocalizza … solo che poi nascono le accuse di andare contro il wto e il gran ballo globale ricomincia e a parderci in fondo fondo sono ” solo” (ironico)i cinesi.
cyrnano che si sente come una moisca davanti ad una porta finestra in vetro chiusa .
Mi chiedo perchè si proopongano boicottaggi sulla Coca Cola e non su i prodotti cinesi?
Complimenti, e grazie; bellissimo articolo.
un miliardo di schiavi è qualcosa che mette spavento.
Bella mazzata questo articolo. Questo è giornalismo. Onestamente non riesco ad aggiungere altro riguardo il sistema cinese. Trovo però allucinante che si parli di invasione di prodotti cinesi, di concorrenza sleale, etc etc, quando un numero pazzesco di aziende italiane produce in Cina e rivende qui a prezzi folli. Per cui, approfitta di questo sistema schiavista x risparmiare, rivende il prodotto qui con il suo marchio “italiano” e poi si incazza se è lo stesso cinese a vendere il suo prodotto direttamente in Italia, a prezzi ovviamente più bassi.
Qualcosa non mi torna.
Per Andrea: l’articolo è sul Giornale di oggi, ed è già sul sito http://www.ilgiornale.it.
Segnalo inoltre questa mail ricevuta: “L’ultimo tuo post su macchianera sarebbe stato perfetto, con i commenti
chiusi. Perché non c’è veramente niente da dire, ma solo da pensare”.
Si, ok, giusto pensare. E agire, no?
Boicottare i prodotti cinesi, boicottarre la coca cola, prima ancora benetton e nike e tornando indietro nel tempo i prodotti della nestle perchè usava ogm oltre alle motivazioni di donne e bambini e uomini i cui diritti erano e sono solo sulla carta o sulle iniziative di cene e quant’altro…. Lo sappiamo, o meglio lo intuiamo, ma quando lo vediamo scritto da qualche parte allora non riusciamo proprio a far finta di niente ed allora ci indignamo, boicottiamo e facciamo tanti bla bla come per dirci guardandoci allo specchio che non è “colpa” nostra, di noi consumatori ma di chi produce alla punta della piramide che in nome del dio denaro e della legge del mercato e dell’economia si comporta così….. sono posti lontani, di gente lontana… e non possiamo fare niente perchè siamo “piccoli” davanti alle multinazionali, ai giochi di potere e poteri… Invochiamo l’ignoranza, infondo unica “responsabile” di popolazioni che si fanno rendere schiavi ed abbassano la testa al non essere… Ma come ci ricordano noi siamo un “società civile” e quando giriamo per strada e vediamo muratori costruire le nostre case che lavorano senza protezioni; e leggiamo sui giornali o sui forum dell’ennesima vittima per incidente sul lavoro e delle statistiche con le percentuali….. beh ci indignamo; ma le case le comperiamo….. ci indignamo sul trattato di kioto che nessuno rispetta ma non ci occupiamo di pretendere che ci costruiscano case con determinate specifiche…. siamo troppo stressati; occupati a filosofare sui diritti umani in cina; sul turismo sessuale dove vengono coinvolti minori e sarà forse per questo che abbiamo le strade piene di prostitute….. ma anche questo non é “colpa nostra”, è solo responsabilità di chi sta in cima alla piramide, di chi si lascia illudere da promesse perchè vive nell’ignoranza o si annulla in un cantiere o per la strada perchè non è consapevole di essere in una società civile che legifera quote di appartenenza a “categorie protette”, che aiuta le famiglie dando 1000 euro per ogni vita che vede la luce senza poi occuparsi di dare a questa vita che cresce tante piccole cose…. beh ma infondo gli resterà da grande l’indignazione ed il boicottaggio e se si annullerà come individuo sarà solo colpa dell’ignoranza… o dei mussulmani, dei cinesi, dei vietnamiti, dei politici….
la coca cola la riconoscono tutti ed è facile boicottarla … ed è anche un po in …
boicottare i prodotti cinesi è difficile sono ovunque: quante cose sono state prodotte in cina tra quelle utilizziamo tutti i giorni?
io penso quasi tutte oramai …
Mi turero’ il naso, e comprero’ il Giornale :) Per quello che puo’ valere il mio giudizio: ottimo lavoro, grazie.
Con questa tua “fissazione” per la Cina, stai facendo un lavoro pregevole. A volte può essere necessario infrangere le leggi dell’economia.
Grazie Facci, e complimenti di cuore. Post come questo DEVONO far riflettere TUTTI, destra e sinistra non devono entrarci.
Mi domando perché noi occidentali continuiamo a fare affari con la Cina che oltre a imprigionare i suoi figli, imprigiona le nostre economie. Che possiamo fare?
Lettera ricevuta al Giornale oggi:
“Bene!
Per l’ennesima, inutile volta
quella testa bacata di Filippo Facci ha voluto far sapere
ai lettori de “Il Giornale” qual è il suo insulso pensiero
sui criminali. Egli, invece di preoccuparsi della dilagante criminalità che imperversa, impunita, in Italia per merito di leggi idiote concepite da altrettante teste bacate alla Filippo Facci,
ci tiene a farci sapere che in Cina la giustizia funziona
come un orologio svizzero. Nel senso che i criminali, piccoli o grandi che siano, fanno la fine che meritano: a morte!
E fanno schifo pure i responsabili de “Il Giornale” se permettono che sul loro giornale si leggano simili idiozie come l’articolo di quella testa bacata di Facci e di quelli mentecatti come
lui. Forse non sapete che almeno un 50% di gente in Italia è favorevole alla pena capitale non solo in Cina ma anche e principalmente nella stessa Italia.
E questo avviene perché non se ne può proprio più di criminali in costante libera uscita.
State attenti che, tra qualche mese, potrebbero cominciare sollevazioni popolari
contro questo eccessivo garantismo e permissivismo verso i criminali. Quindi, per par condicio, attendiamo che, dopo un insulso articolo contro la pena di morte, ce ne facciate leggere un altro a favore della pena capitale come unico mezzo efficace per eliminare le “grandi” organizzazioni criminali che dominano in Italia. A tal uopo, quella testa bacata di Filippo Facci potrebbe spiegarci come si può fare per eliminare la criminalità dal momento che le leggi idiote in vigore da anni in Italia e in Europa hanno fallito il loro scopo?”.
humm…, mancano solo i froci e i negri.
però f.f. in un contesto come questo non ha nessun senso postare le farneticazioni di cui sopra. Degni lo scrivente di una considerazione eccessiva. E’ abbastanza noto che che la madre degli idioti ecc. ecc.
Non ho postato, l’ho messo in un commento. E non c’è firma. Lo considero un documentario.
Ne fanno anche sulle iene.
ma che ci resti a fare, ff, in un giornale con quei lettori?
Fai un pò te, consideralo un documentario ma, ribadisco, è un operazione banale e inutile visto il qualunquismo giustizialista idiota, becero e pressapochista del tuo lettore(soprattutto a margine di un post bello e molto stimolante).
Quello che ha scritto, Facci, è un coglione, comunque, che sia di destra o di sinistra.
Però che il giornale abbia fatto cose rivoltanti come la campagna per Telekom Serbia dando retta a Marini e Volpe è altrettanto vero.
Ti ringrazio per questo bell’articolo sulla realtà triste della Cina.
Però, forse, tu faresti più bella figura a scriverlo da un’altra parte.
chissa magari lo scrivente pensa di essere esente dalla pena di morte …
quando si entra nel meccanismo perverso ogni errore una punizione per insegnare agli altri quello che succede a sgarrare tutti sono punibili e chi scrive lettere come quella è il primo ad essere punito da un sistema che è miope ma i pirla li vede benissimo quindi secondo me è un autocandidatura spotanea a lavorare in cambio di una frustata
Ci stampano anche i libri, in Cina.
“Stampano”.. Stampiamo.
Dolorosa domanda, sapendo tutto questo, come bisognerebbe comportarsi?
Forse bisognerebbe iniziare a porre la questione dei diritti umani come pregiudiziale degli accordi economici tra le super potenze e non come un semplice punto negoziale.
Mi spiego, trovo indecente che Bush e i leaders Europei, starnazzino del problema dei diritti umani in Cina, dall’ alto di dorate conferenze stampa, quando poi si siedono ugualmente ai tavoli per trattare. Viene da credere che magari al momento della firma, abbiano anche ottenuto qualcosa in cambio della rinuncia a portare avanti concretamente i loro bei discorsi.
E se questi illustri politici non ne hanno il coraggio, come possiamo aspettarci un’ atteggiamento diverso dalle imprese, e dalle varie multinazionali?
Complimenti a Facci.
Quando capirete che certe cose è meglio scriverle sul Giornale che altrove?
A parte che scrivere sul Giornale mi va comunque benissimo, e a parte che i giornali li fanno i giornalisti e non le testate o le proprietà, quando capirete che ha molto più peso, ora, un articolo del genere pubblicato sul primo quotidiano governativo?
Secondo voi l’ambasciata cinese, come quella turca, si preoccupano di più se un articolo del genere lo pubblica il Giornale o altri giornali?
Non fa una grinza.
Ciò detto, è un peccato che un pezzo come questo venga assunto con l’occhio sciupato e un po’ rimbecillito di chi si limiterà a commentarlo con un “L’ho sempre detto io che i comunisti sono criminali, porca malora”.
Ma smettila, dài. E’ questo atteggiamento peraltro basato su convinzioni infondate che appende da sempre la sinistra a un destino di incomprensione per il paese reale. Il Giornale vende 200mila e passa copie (vere) e il suo pubblico è variegatissimo, come dimostrano non tanto le lettere di segno opposto che ho ricevuto (comporeso addirittura un Rotary che vuol farmi parlare della Cina) ma le stime dei lettori fatte dagli investitori pubblicitari, che quelli non sbagliano. Il pubblico del Giornale è più mediamente giovanile, per dire, di quello del Corriere. Ma mi sono stufato di queste discussioni.
Io questo articolo l’ho postato qui. E’ un articolo, punto: e resta identico ovunque sia postato o pubblicato. Il Giornale gli ha dedicato la prima pagina e tutta la pagina 2. Altri giornali non hanno fatto scelte analoghe. Se proprio dovete, giudicate questo.
secondoe me il giornale è un po meno bello di una decina di anni fa ma questa è un opinione di chi vorrebbe qualcosa di più asciutto essenziale cmq meglio di tanti altri per lo meno non mi fa avere travasi di bile quando lo leggo.
detto da uno che ha subito le sue ripercussioni giovanili per essere sempre andato a scuola con 2il giornale” sotto braccio.
Hai ragione, mi sono stufato anch’io di queste discussioni.
Del resto, non c’è molto da discutere.
Tu sei felice di scrivere sul Giornale, io sono felice di non leggerlo.
(Così come sono felice di non leggere l’Unità, che di articoli uguali e contrari avrebbe fatto identico scempio. Ma se io vado forse troppo sicuro delle facce acquose, deluse e immusonite della gente che vedo leggere il Giornale per strada, tu sei troppo occupato a pensare che il tuo interlocutore sia sempre il solito sinistro lontano dal paese reale e ritagliato a filo sullo spezzato tweed/velluto a coste, in tasca il Riformista, Che Guevara e Marquez).
Primo: io sono felice di scrivere e basta.
Secondo: sono così occupato a pensare che il mio interlocutore sia un sinistro lontano dal paese reale (e ritagliato a filo sullo spezzato tweed/velluto a coste eccetera) che ho postato il mio articolo qui.
Terzo: questo pomeriggio monto un servizio per Mediaset con le immagini dei laogai. Non so neppure dove andrà in onda, ma avete la mia parola che ci andrà.
Conta solo questo. Non ce l’ho assolutamente con te, Petunio, giuro: ma ricordatevi del detto ‘chi sa fa, chi non sa, insegna’.
Ma odio anche questa mia prosopopea da maestrino e paladino dei diritti civili che certi commenti mi cavano fuori: è per questo che certe volte non prevedo i commenti. Perchè si finisce sempre per parlare d’altro, di cazzate, di me, dei contesti, della forma a e non della sostanza. La soatanza è: la Cina.
Sottoscrivo la bontà del detto, in cui credo e che da sempre mi guida.
Certo, non mi sembrava d’aver insegnato alcunché ad alcuno, a meno che la semplice opinione possa venir sovrapposta alla lezione.
F.F.: Quando capirete che certe cose è meglio scriverle sul Giornale che altrove?
Il ragionamento non fa una grinza. E non sto facendo l’ironico, tutt’altro.
Sono contento di aver potuto leggere quest’articolo.
Mi rammarico che vicende come queste non siano di pubblico dominio. E’ poi tanto lontana la Cina?
Ma poi, se nessuno le dice ste cose, che senso ha discutere dell’idoneità del Giornale ad ospitare pezzi ben scritti?
Qualcuno ha mai letto un pezzo come questo su Repubblica? Lo scoop dell’anno per il 2° quotidiano nazionale è il Nigergate: vale la metà di quest’articolo. O sbaglio?
Poi mi chiedo anche se sia normale – come sembra assodato – il primato delle ragioni di mercato rispetto a qestioni d’altro tenore.
Il Nord Est esporta in Cina i macchinari con cui realizzano più economicamente prodotti analoghi ai nostri. Esportiamo 1 in macchinari e compriamo 9 in prodotti e qualche fesso ci vede un mercato che si apre. Ma chi sono gli acquirenti?
Facci, se hai informazioni un pò cavate prova a buttar giù qualcosa anche sull’Islam, Te ne sarei grato.
Ringraziamenti e saluti.
Nigergate e Cina sono due argomenti egualmente importanti. Entrambi, in realtà, riguardano massacri.
Nigergate è Cina. Cina è Occidente. Si uniscono sempre di più, non per la politica, ma per l’economia. Chi sta a “destra” e chi sta a “sinistra”. Ma: chi sta sopra e chi sta sotto. La Fattoria degli Animali, scena finale.
Filippo, tutto ciò non cambia quel che sei. I “sopra” italiani e i “sopra” cinesi possono benissimo digerire il tuo pezzo, finché lo pubblichi dentro i rispettivi media loro. L’anno scorso i cinesi fecero una bellissima e documentata denuncia degli orrori sociali in Usa. Ma finché ognuno denuncia solo i delitti dell’altro aiuta i delitti suoi. Tu, ora, stai aiutando ad annegare clandestini in mare. E così i tuoi (nostri) lettori.
Ti dovrebbero sterilizzare.
1) Sull’Unità, che farebbe uguale scempio (ah sì? Io l’Unità la leggo e tu? Sospetto proprio di no…) di un articolo del genere, si parlava di Laogai nel numero dell’altroieri (vado a memoria).
2) Facci, credo che lei sappia benissimo che questo articolo avrebbe comunque avuto molto più peso sul Corriere Della Sera o su Repubblica, semplicemente, come lei stesso dice, a lei sta benissimo scrivere su “Il Giornale”. Rimaniamo così, ritengo vi sia maggiore onestà intellettuale. Del resto, non vi è nulla di male nel preferire una parte politica ad un’altra. Però, ammetta anche lei che non vi è nulla di male ad operare una legittima critica.
Detto questo, un complimento (per quanto immagino a lei la cosa possa lasciare indifferente) per quello che è indiscutibilmente un otttimo articolo.
3) La questione della delocalizzazione dei produttori italiani (occupiamoci di quanto a noi vicino) è chiaramente problematica (boicottare cinese? Il problema è che ormai TUTTO è cinese. Almeno per quel che riguarda la produzione industriale, anche nei beni semilavorati dell’agricoltura, vedi pasta di pomodoro semilavorata e importata dalla Cina in Italia).
Il punto per me rimane comunque di irrinunciabile priorità: una tassazione alla frontiera dei beni importati proporzionale allo sfruttamento sociale dei paesi esportatori è diventata irrinunciabile (dazi? Sì, dazi, non sono necessariamente un tabù, leggete Liszt). Non mi si tiri fuori il solito argomento trito della concorrenza economica:
1) Dove sta la concorrenza reale in un mondo dominato da oligopoli? Siamo certi che il WTO che non è altro che un proscenio per lo scontro di interessi economici contapposti, tenda veramente a salvaguardare il rpincipio di libera concorrenza (notare che non entro neppure nella discussione sui principi del liberismo economico, in questa discussione diciamo che li do per scontati)?
2) Il concetto liberista della concorrenza vale tra imprenditori che partano dalle medesime situazioni iniziali e dovrebbe tendere a premiare in un’ottica schumpeteriana, colui che meglio combina i fattori di produzione (o produrre la stessa cosa a costo più basso o, allo stesso prezzo, offrirne una migliore), qui la situazione medesima iniziale non vi è, ma soprattutto, qui si sta facendo una corsa al prodotto peggiore al prezzo minore. Dove sta la “naturale” dinamica al miglioramento del libero mercato? parliamone…
I laogai
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