Lettere di Aldo Moro dalla “Prigione del Popolo” /8

Il memoriale Aldo Moro

36) A Benigno Zaccagnini

(non recapitata)

On. Benigno Zaccagnini
Aggiungi che la mia protezione è stata assolutamente insufficiente e non è giusto farne ricadere la responsabilità su di me

Caro Zac,
se si proroga, come si deve, dev’essere per fare davvero qualche cosa, non per perdere tempo. So che tutto è difficile ma spero non ti sottrarrai a questa responsabilità (il contrario sarebbe disumano e crudele) di far procedere il negoziato verso una conclusione ragionevole ma positiva. Non puoi capire che cosa si prova in queste ore. Non cedere a nessuno, non ammettere tatticismi. La responsabilità è tua, tutta tua. Se fossi nella tua condizione non accetterei mai di dire di sì all’uccisione, di pagare con la vita la prigionia che non si crede di poter interrompere. Ma stai bene attento alla scala dei valori.
Con […]¹
Aldo Moro

(¹) parola indecifrabile

37) Ai familiari

(recapitata il 24 o il 25 aprile)

A tutti i miei carissimi ed a Noretta, amata sposa e madre. Mi piacerebbe avere un cenno, anche minimo di risposta, per tranquillizzarmi sulla salute di tutti.
Aldo


38) Alla DC

(recapitata il 28 aprile)

Lettera al Partito della Democrazia Cristiana

Dopo la mia lettera comparsa in risposta ad alcune ambigue, disorganiche, ma sostanzialmente negative posizioni della D.C. sul mio caso, non è accaduto niente. Non che non ci fosse materia da discutere. Ce n’era tanta. Mancava invece al Partito, al suo segretario, ai suoi esponenti il coraggio civile di aprire un dibattito sul tema proposto che è quello della salvezza della mia vita e delle condizioni per conseguirla in un quadro equilibrato. E’ vero: io sono prigioniero e non sono in uno stato d’animo lieto. Ma non ho subito nessuna coercizione, non sono drogato, scrivo con il mio stile per brutto che sia, ho la mia solita calligrafia. Ma sono, si dice, un altro e non merito di essere preso sul serio. Allora ai miei argomenti neppure si risponde. E se io faccio l’onesta domanda che si riunisca la direzione o altro organo costituzionale del partito, perché sono in gioco la vita di un uomo e la sorte della sua famiglia, si continua invece in degradanti conciliaboli, che significano paura del dibattito, paura della verità, paura di firmare col proprio nome una condanna a morte.


E devo dire che mi ha profondamente rattristato (non avrei creduto possibile) il fatto che alcuni amici da Mons. Zama, all’avv. Veronese, a G.B. Scaglia ed altri, senza né conoscere né immaginare la mia sofferenza, non disgiunta da lucidità e libertà di spirito, abbiano dubitato dell’autenticità di quello che andavo sostenendo, come se io scrivessi su dettatura delle Brigate Rosse.
Perché questo avallo alla pretesa mia non autenticità? Ma tra le Brigate Rosse e me non c’è la minima comunanza di vedute. E non fa certo identità di vedute la circostanza che io abbia sostenuto sin dall’inizio (e, come ho dimostrato, molti anni fa) che ritenevo accettabile, come avviene in guerra, uno scambio di prigionieri politici. E tanto più quando, non scambiando, taluno resta in grave sofferenza, ma vivo, l’altro viene ucciso. In concreto lo scambio giova (ed è un punto che umilmente mi permetto sottoporre al S. Padre) non solo a chi è dall’altra parte, ma anche a chi rischia l’uccisione, alla parte non combattente, in sostanza all’uomo comune come me.
Da che cosa si può dedurre che lo Stato va in rovina, se, una volta tanto, un innocente sopravvive e, a compenso, altra persona va, invece che in prigione, in esilio? Il discorso è tutto qui. Su questa posizione, che condanna a morte tutti i prigionieri delle Brigate Rosse (ed è prevedibile ce ne siano) è arroccato il Governo, è arroccata caparbiamente la D.C., sono arroccati in generale i partiti con qualche riserva del Partito Socialista, riserva che è augurabile sia chiarita d’urgenza e positivamente, dato che non c’è tempo da perdere. In una situazione di questo genere, i socialisti potrebbero avere una funzione decisiva. Ma quando? Guai, Caro Craxi, se una tua iniziativa fallisse.
Vorrei ora tornare un momento indietro con questo ragionamento che fila come filavano i miei ragionamenti di un tempo. Bisogna pur ridire a questi ostinati immobilisti della D.C. che in moltissimi casi scambi sono stati fatti in passato, ovunque, per salvaguardare ostaggi, per salvare vittime innocenti. Ma è tempo di aggiungere che, senza che almeno la D.C. lo ignorasse, anche la libertà (con l’espatrio) in un numero discreto di casi è stata concessa a palestinesi, per parare la grave minaccia di ritorsioni e rappresaglie capaci di arrecare danno rilevante alla comunità. E, si noti, si trattava di minacce serie, temibili, ma non aventi il grado d’immanenza di quelle che oggi ci occupano. Ma allora il principio era stato accettato. La necessità di fare uno strappo alla regola della legalità formale (in cambio c’era l’esilio) era stata riconosciuta. Ci sono testimonianze ineccepibili, che permetterebbero di dire una parola chiarificatrice. E sia ben chiaro che, provvedendo in tal modo, come la necessità comportava, non si intendeva certo mancare di riguardo ai paesi amici interessati, i quali infatti continuarono sempre nei loro amichevoli e fiduciosi rapporti . Tutte queste cose dove e da chi sono state dette in seno alla D.C.? E’ nella D.C. dove non si affrontano con coraggio i problemi. E, nel caso che mi riguarda, è la mia condanna a morte, sostanzialmente avvallata dalla D.C., la quale arroccata sui suoi discutibili principi, nulla fa per evitare che un uomo, chiunque egli sia, ma poi un suo esponente di prestigio, un militante fedele, sia condotto a morte. Un uomo che aveva chiuso la sua carriera con la sincera rinuncia a presiedere il governo, ed è stato letteralmente strappato da Zaccagnini (e dai suoi amici tanto abilmente calcolatori) dal suo posto di pura riflessione e di studio, per assumere l’equivoca veste di Presidente del Partito, per il quale non esisteva un adeguato ufficio nel contesto di Piazza del Gesù. Sono più volte che chiedo a Zaccagnini di collocarsi lui idealmente al posto ch’egli mi ha obbligato ad occupare. Ma egli si limita a dare assicurazioni al Presidente del Consiglio che tutto sarà fatto come egli desidera.
E che dire dell’On. Piccoli, il quale ha dichiarato, secondo quanto leggo da qualche parte, che se io mi trovassi al suo posto (per così dire libero, comodo, a Piazza ad esempio, del Gesù), direi le cose che egli dice e non quelle che dico stando qui. Se la situazione non fosse (e mi limito nel dire) così difficile, così drammatica quale essa è, vorrei ben vedere che cosa direbbe al mio posto l’On. Piccoli. Per parte sua ho detto e documentato che le cose che dico oggi le ho dette in passato in condizioni del tutto oggettive. E’ possibile che non vi sia una riunione statutaria e formale, quale che ne sia l’esito? Possibile che non vi siano dei coraggiosi che la chiedono, come io la chiedo con piena lucidità di mente? Centinaia di parlamentari volevano votare contro il Governo. Ed ora nessuno si pone un problema di coscienza? E ciò con la comoda scusa che io sono un prigioniero. Si deprecano i lager, ma come si tratta, civilmente, un prigioniero, che ha solo un vincolo esterno, ma l’intelletto lucido? Chiedo a Craxi, se questo è giusto. Chiedo al mio partito, ai tanti fedelissimi delle ore liete, se questo è ammissibile. Se altre riunioni formali non le si vuol fare, ebbene io ho il potere di convocare per data conveniente e urgente il Consiglio Nazionale avendo per oggetto il tema circa i modi per rimuovere gli impedimenti del suo Presidente. Così stabilendo, delego a presiederlo l’On. Riccardo Misasi.
E’ noto che i gravissimi problemi della mia famiglia sono la ragione fondamentale della mia lotta contro la morte. In tanti anni e in tante vicende i desideri sono caduti e lo spirito si è purificato. E, pur con le mie tante colpe, credo di aver vissuto con generosità nascoste e delicate intenzioni. Muoio, se così deciderà il mio partito, nella pienezza della mia fede cristiana e nell’amore immenso per una famiglia esemplare che io adoro e spero di vigilare dall’alto dei cieli. Proprio ieri ho letto la tenera lettera di amore di mia moglie, dei miei figli, dell’amatissimo nipotino, dell’altro che non vedrò. La pietà di chi mi recava la lettera ha escluso i contorni che dicevano la mia condanna, se non avverrà il miracolo del ritorno della D.C. a se stessa e la sua assunzione di responsabilità. Ma questo bagno di sangue non andrà bene né per Zaccagnini, né per Andreotti né per la D.C. né per il paese. Ciascuno porterà la sua responsabilità.
Io non desidero intorno a me, lo ripeto, gli uomini del potere. Voglio vicino a me coloro che mi hanno amato davvero e continueranno ad amarmi e pregare per me. Se tutto questo è deciso, sia fatta la volontà di Dio. Ma nessun responsabile si nasconda dietro l’adempimento di un presunto dovere. Le cose saranno chiare, saranno chiare presto.
Aldo Moro


39) Alla DC [seconda versione]

(non recapitata)

Alla Democrazia cristiana [seconda versione]

edizione più stringata e prudente tenuto conto dei palestinesi e dell’iniziativa Craxi.
E’ in alternativa all’altra, valutare attentamente le circostanze.

Dopo la mia lettera comparsa in risposta ad alcune ambigue, disorganiche, ma sostanzialmente negative posizioni della D.C. sul mio caso, non è accaduto niente. Non che non ci fosse materia da discutere. Ce n’era tanta. Mancava invece al Partito nel suo insieme il coraggio di aprire un dibattito sul tema proposto che è tema della salvezza della mia vita e delle condizioni per conseguirla in un quadro equilibrato.
E’ vero, io sono prigioniero e non ho l’animo lieto. Ma non ho subito nessuna coercizione, non sono drogato, scrivo con il mio stile per brutto che sia, ho la mia solita calligrafia. Ma sono, si dice, un altro e non merito di essere preso sul serio. Allora ai miei argomenti neppure si risponde. E se io faccio l’onesta domanda che si riunisca la direzione o altro organo costituzionale del partito, perché sono in gioco la vita di un uomo e la sorte della sua famiglia, si continua invece in conciliaboli.
Qualcuno sembra dubitare dell’autenticità di quello che vado sostenendo. Come se io scrivessi sotto dettatura delle Brigate Rosse. Ma tra le Brigate Rosse e me non c’è la minima comunanza di vedute. E non fa certo identità di vedute il fatto che io abbia sostenuto sin dall’inizio (e come ho dimostrato, molti anni fa) che ritenevo accettabile, come avviene in guerra, uno scambio di prigionieri politici. E tanto più quando, non scambiando, taluno resta in grave sofferenza, ma vivo, l’altro viene ucciso. In concreto lo scambio giova non solo al detenuto, ma anche a chi rischia l’uccisione, alla parte non combattente. Da che cosa si può dedurre che lo Stato va in rovina, se una volta tanto un innocente sopravvive e, a compenso, altra persona va, invece che in prigione, in esilio? Il discorso è tutto qui. Su questa posizione, che condanna a morte i prigionieri delle Brigate Rosse (e potrebbero esservene),- è arroccato il Governo, è arroccata caparbiamente la D.C., sono arroccati in generale i partiti con qualche rilevante riserva del Partito Socialista che non è lecito lasciar cadere.
Vorrei ora tornare un momento indietro con questo ragionamento che fila come filavano i miei ragionamenti di un tempo. Bisogna pur ridire a questi ostinati immobilisti della D.C. che in moltissimi casi scambi sono stati fatti in passato, dovunque, per salvaguardare ostaggi e salvare vittime innocenti. Ma è tempo di aggiungere che anche in Italia la libertà è stata concessa con procedure appropriate a Palestinesi, per parare gravi minacce di rappresaglia capaci di rilevanti danni alla comunità. E si noti si trattava di minacce serie e temibili, ma non aventi sempre il grado d’immanenza di quelle che oggi ci occupano. Ma allora il principio era stato accettato. Vi sono testimoni ineccepibili ai quali far riferimento. E sia ben chiaro che, provvedendo come la necessità comportava, non si intendeva certo mancare di riguardo a paesi profondamente amici, i quali infatti continuarono sempre nei loro amichevoli e fiduciosi rapporti.
Questi rilievi in quali dibattiti sono stati fatti e, dico, con particolare riguardo alla D.C., chiamata ad affrontare con coraggio i problemi? E nel caso che ci riguarda è la mia condanna a morte che sarebbe sostanzialmente avvallata dalla D.C., la quale, arroccata su discutibili principi, nulla fin qui fa, per evitare che un uomo, chiunque egli sia, ma poi un suo esponente di prestigio, un militante fedele sia condotto a morte. Un uomo che aveva chiuso la sua carriera con la serena rinuncia a presiedere il Governo ed è stato letteralmente strappato da Zaccagnini dal suo posto di pura riflessione e di studio, per assumere l’equivoca veste di Presidente del Partito. Sono più volte che chiedo a Zaccagnini di collocarsi lui idealmente al posto che egli mi ha obbligato a occupare. Ma egli sembra piuttosto intento a rassicurare il Presidente del Consiglio che sarà fatto come egli desidera.
Possibile che non vi sia una riunione statutaria e formale? Centinaia di parlamentari minacciavano tempo fa di votare contro il governo. Più modestamente non si pone ora per taluno un problema di coscienza? Ma come si tratta civilmente in Italia un prigioniero che ha un vincolo esterno, ma l’intelletto lucido? Lo chiedo a Craxi. Lo chiedo al mio partito, ai tanti amici fedeli delle ore liete. Se altro non si ritiene di fare, ricordo che io potrei convocare il Consiglio Nazionale sul tema del mio impedimento e del modo di rimuoverlo. Il Capo dello Stato ha il modo di far funzionare tutti gli organi previsti dalla Costituzione.
Se poi nulla di costruttivo avverrà, sarò costretto ad affermare la responsabilità della D.C. ufficiale e di quanti non si fossero da essa tempestivamente dissociati, è noto poi che i gravissimi problemi della mia famiglia sono la ragione fondamentale della mia lotta contro la morte.


40) Alla DC [terza versione]

(non recapitata)

Lettera al partito.

Dopo la mia lettera comparsa in risposta ad alcune ambigue, disorganiche, ma sostanzialmente negative posizioni della D.C. sul mio caso, non è accaduto niente. Non che non ci fosse materia da discutere. Ce n’era tanta. Mancava invece al Partito, al suo segretario, ai suoi esponenti il coraggio civile di aprire un dibattito sul tema proposto, che è quello della salvezza della mia vita e delle condizioni per conseguirla in un quadro equilibrato. E’ vero: io sono prigioniero e non sono in uno stato d’animo lieto. Ma non ho subito nessuna coercizione, non sono drogato, scrivo con il mio stile per brutto che sia, ho la mia solita calligrafia. Ma sono, si dice, matto e non merito di essere preso sul serio. Allora ai miei argomenti neppure si risponde. E se io faccio l’onesta domanda che si riunisca la direzione o altro organo costituzionale del partito, perché sono in gioco la vita di un uomo e la sorte della sua famiglia, si continua invece in degradanti conciliaboli, che significano paura del dibattito, paura della verità, paura di firmare col proprio nome una condanna a morte.
E devo dire che mi ha profondamente rattristato (non avrei creduto possibile) il fatto che alcuni amici, da Mons. Zama, all’avv. Veronese, a G.B. Scaglia ed altri, senza né conoscere né immaginare la mia sofferenza, non disgiunta da lucidità e libertà di spirito, abbiano dubitato dell’autenticità di quello che andavo sostenendo, come se io scrivessi su dettatura delle Brigate Rosse. Perché questo avvallo alla pretesa mia non autenticità? Ma tra le Brigate Rosse e me non c’è la minima comunanza di vedute. E non fa certo identità di vedute la circostanza che io abbia sostenuto sin dall’inizio (e come ho dimostrato molti anni fa) che ritenevo accettabile, come avviene in guerra, uno scambio di prigionieri politici. E tanto più quando, non scambiando, taluno resta in grave sofferenza, ma vivo, l’altro viene ucciso. In concreto lo scambio giova (ed è un punto che umilmente mi permetto sottoporre al S. Padre) non solo a chi è dall’altra parte, ma anche a chi rischia l’uccisione, alla parte non combattente, in sostanza all’uomo comune come me. Da che cosa si può dedurre che lo Stato va in rovina, se, una volta tanto, un innocente sopravvive e, a compenso, altra persona va, invece che in prigione, in esilio? Il discorso è tutto qui. Su questa posizione, che condanna a morte tutti i prigionieri delle B.R. (ed è prevedibile ce ne siano) è arroccato il Governo, è arroccata caparbiamente la D.C., sono arroccati in generale i partiti con qualche riserva del PSI, riserva che è augurabile sia chiarita d’urgenza e positivamente, dato che non c’è tempo da perdere. In una situazione di questo genere, i socialisti potrebbero avere funzione decisiva. Ma quando? Guai, Caro Craxi, se una tua iniziativa fallisse. Vorrei ora tornare un momento indietro con questo ragionamento che fila come filavano i miei ragionamenti di un tempo. Bisogna pur ridire a questi ostinati immobilisti della D.C. che in moltissimi casi scambi sono stati fatti in passato, ovunque, per salvaguardare ostaggi, per salvare vittime innocenti. Ma è tempo di aggiungere che, senza che almeno la D.C. lo ignorasse, anche la libertà (con l’espatrio) in un numero discreto di casi è stata concessa a Palestinesi, per parare la grave minaccia di ritorsioni e rappresaglie capaci di arrecare danno rilevante alla comunità.
E, si noti, si trattava di minacce serie, temibili, ma non aventi il grado di immanenza di quelle che oggi ci occupano. Ma allora il principio era stato accettato. La necessità di fare uno strappo alla regola della legalità formale (in cambio c’era l’esilio) era stata riconosciuta. Ci sono testimoni ineccepibili: i quali potrebbero avvertire il dovere di dire una parola chiarificatrice. E sia ben chiaro che, provvedendo in tal modo, come la necessità comportava, non si intendeva certo mancare di riguardo ai paesi amici interessati, i quali infatti continuarono sempre nei loro amichevoli e fiduciosi rapporti. Tutte queste cose dove e da chi sono state dette in seno alla D.C.? E nello stesso Parlamento in un dibattito approfondito? Io ho scritto ai presidenti delle assemblee, ma non ho rilevato, forse per la mia condizione, alcuna risposta. A me però interessa la D.C. dove non si affrontano con coraggio i Problemi. E, sul caso che mi riguarda, è la mia condanna a morte, sostanzialmente avvallata dalla D.C., la quale arroccata sui suoi discutibili principi, nulla fa per evitare che un uomo, chiunque egli sia, ma poi un suo esponente di prestigio, un militante fedele sia condotto a morte. Un uomo che aveva chiuso la sua carriera con la sincera rinuncia a presiedere il governo, ed è stato letteralmente strappato da Zaccagnini (e dai suoi amici tanto abilmente calcolatori) dal suo posto di pura riflessione e di studio, per assumere l’equivoca veste di presidente del partito per il quale non esisteva un adeguato ufficio nel contesto di Piazza del Gesù. Son più volte che chiedo a Zaccagnini di collocarsi lui idealmente al posto che egli mi ha obbligato ad occupare. Ma egli si limita a dare assicurazioni al presidente del consiglio che tutto sarà fatto come egli desidera. Possibile che non vi sia una riunione statutaria e formale, quale che ne sia l’esito? Possibile che non vi siano dei coraggiosi che la chiedono, come io la chiedo in piena lucidità di mente? Centinaia di parlamentari volevano votare contro il governo. Ed ora nessuno si pone il problema di coscienza? E ciò con la comoda scusa che io sono un prigioniero. Si deprecano i lager, ma come si tratta, civilmente, in Italia un prigioniero, che ha solo un vincolo esterno, ma l’intelletto lucido?
Chiedo a Craxi, se questo è giusto. Chiedo al mio partito, ai tanti fedelissimi delle ore liete, se questo è ammissibile. Le altre riunioni formali non le si vuol fare. E io ho il potere di convocare per data conveniente e urgente il consiglio nazionale avendo per oggetto il tema circa i modi per rimuovere gli impedimenti del suo presidente. Dovrebbe presiederlo per mia delega l’On. Riccardo Misasi. Chiedo al capo dello Stato che tali organi, previsti dalla costituzione, siano fatti funzionare. Non può esservi arbitrio in queste cose. Sono attento a sentire i nomi e ad accogliere gli atteggiamenti. Se poi nulla avverrà, dovrò affermare in pieno la responsabilità della D.C. ufficiale e di quanti non si fossero da essa tempestivamente dissociati. E’ noto che i gravissimi problemi della mia famiglia sono la ragione fondamentale della mia lotta contro la morte.

(Le righe che seguono sono da rivedere a secondo dell’utilità che possono avere per sua espressa opinione).

E notò… k… contro la morte.
In tanti anni e in tante vicende i desideri sono caduti e lo spirito si è purificati. E, pur vero con le mie tante colpe, credo di aver vissuto con generosità nascoste e delicate intenzioni. Muoio, se così deciderà il mio partito, nella pienezza della mia fede cristiana e nell’amore immenso per una famiglia esemplare che io adoro e spero di vigilare dall’alto dei cieli. Proprio ieri ho letto la tenera lettera di amore di mia moglie, dei miei figli, dell’amatissimo nipotino, dell’altro che non vedrò. La pietà di chi mi recava la lettera ha escluso i contorni che dicevano la mia condanna, se non avverrà il miracolo del ritorno della D.C. a se stessa e la sua assunzione di responsabilità. Ma questo bagno di sangue non andrà bene né per Zaccagnini, né per Andreotti né per la D.C., né per il paese. Ciascuno porterà la sua responsabilità. Io non desidero intorno a me, lo ripeto, gli uomini del potere. Voglio vicino a me coloro che mi hanno amato davvero e continueranno ad amarmi e pregare per me. Se tutto questo è deciso, sia fatta la volontà di Dio. Ma nessun responsabile si nasconda dietro l’adempimento di un presunto dovere. Le cose saranno chiare, saranno chiare presto. Segue firma…

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