E’ successo qualche tempo fa. Anzi, a voler essere precisi ricordo anche il momento esatto. Intendo dire il momento in cui ho scoperto di amare gli articoli che spiegano le canzoni. Stavo leggendo un pezzo nel quale Luca Sofri prendeva atto dell’impossibilità di poterle spiegare, epperò poi si lanciava in una memorabile e poetica dissertazione su “Fiori rosa, fiori di pesco” di Lucio Battisti, dopo la quale ti rendevi conto che conoscevi benissimo quella canzone, l’avevi ascoltata centinaia di volte eppure mai amata quanto meritava.
Ecco, è successo di nuovo. La mano è quella di Guia Soncini, l’oggetto uno molto meno difendibile di Battisti: uno che per quanto ti possa sforzare, la voglia di sdoganarlo proprio non ti viene.
Eppure.
MARMELLATA #25
(Cesare Cremonini)
Ci sono le tue scarpe ancora qua, Ci sono le tue calze rotte la notte in cui ti sei ubriacata, Ah! Da quando Senna non corre più… Ci sono le tue scarpe ancora qua Ah! Da quando Senna non corre più… Ora vivo da solo in questa casa buia e desolata |
E’ stata Paola. E’ stata lei, questo è quello che dirò al mio biografo quando, tra centocinquant’anni, verrà a raccogliere le mie memorie di signora di mezz’età e mi chiederà come fosse cominciata l’estate del mio discontento, quella che mi vide mettere in discussione le leggi regolatrici della mia esistenza, scaricare le batterie dell’iPod, dimenticare di piangere. E’ stata Paola. Oddio, la mia crisi di nervi doveva essere già lì, pronta a esplodere, altrimenti mai mi sarebbe venuto in mente di proporti di raggiungerci a cena, o almeno, quando ti ho detto “vado con Paola” e tu hai detto “Paola chi?”, non ti avrei detto “daaaai, te ne ho parlato un milione di volte, la stagista figa…”. Avrei sorvolato, perché a quel punto era assolutamente prevedibile che tu dicessi una di quelle cose che dici tu, e infatti l’hai detta, hai detto “Ma se vengo a cena poi lei me la dà?”. Io ho finto di trovarti divertente, tu hai finto di dire che non sapevi, bah, tanto non te la dava, tanto quasi certamente era una cozza come tutte le mie amiche, e probabilmente non saresti venuto, e quando sei arrivato hai finto di tirartela, hai detto che eri di cattivo umore, e che eri lì con noi solo perché alla cena da cui eri fuggito c’era una che ti prendeva a capellate. Avrei dovuto capirlo dal modo in cui trovavo irresistibile la tua imitazione dei movimenti del collo della povera ragazza, da quell’agitare chiome che non hai come arma contundente e dal mio trovarla la gag più spassosa del mondo, avrei dovuto capirlo da quello che non era una buona idea essere lì, non era una buona idea fare i vecchi coniugi con eccesso di confidenza, non era una buona idea consumare pasti regolari in tua compagnia. Avrei dovuto capirlo da quello, o anche dal modo in cui Paola agitava le mani davanti alla faccia ridendo come una tredicenne in via di sviluppo e dicendo “Che emozione, conosco il Porco Bastardo!”. Avrei dovuto evitare di incrociare il tuo sguardo, quello sguardo hai-amiche-persino-più-imbecilli-di-te, o fare qualcosa, zittirla, magari prendendola a capellate, che quella sera erano pure ricci e quindi particolarmente contundenti.
Poi c’è stata la Versilia. Uno dei posti più deprimenti in cui sia mai stata, forse solo Santo Domingo è a quei livelli. Un posto in cui l’alta stagione sembra fine stagione, in cui fine luglio sembra la fine di Sapore di mare, quando i ciccioni se ne vanno assieme e gli stabilimenti chiudono e Selvaggia e Gianni si sono mollati e lei cammina triste e sola e tettona e piove. (Chissà perché Marina Suma che guardava da lontano Jerry Calà raggiunto dalla sua ragazza-bene milanese e già dimentico della sua burina stagionale con madre che la voleva accasare, chissà perché non commuoveva allo stesso modo). Comunque, è stato in Versilia che l’ho sentita la prima volta. E’ stato dalla Versilia che ho mandato a un amico il messaggio “mi mandi l’mp3?”. E’ stato dalla Versilia che ti ho scritto “Non mi dici mai le cose importanti. Marmellata #25 è un capolavoro”. Ero su un treno di ritorno dalal Versilia quando sono successe le uniche due cose che abbiano sin qui illuminato l’estate del discontento e forse la mia intera vita, le uniche due frasi davvero gentili e affettuose che mi siano state rivolte da che ho memoria. La prima era la tua risposta su Marmellata #25. Una risposta che sembrava mia. “Tu non mi ascolti”. Dev’essere la radiosa espressione con cui ho alzato la testa dal display del cellulare che ha influenzato la signora seduta di fronte, una cicciona di Benevento che riportava i nipoti dai genitori. Invece di tenere fermi gli infernali marmocchi, la signora faceva conversazione con due befane (era una di quelle che parlano con gli estranei). In quel momento stava dicendo alle befane che lei indovina sempre l’età delle persone. Quindi io ho alzato la testa dal meravigioso messaggio in cui tu facevi quello che mi parla di quella meravigliosa canzone e sarei io quella che ti trascura, bella e spietata come il conte di Montecristo, e la tizia mi ha indicato e ha diagnosticato: “Tu 19… 20?”. Per un attimo mi è sembrata una stagione d’assoluta figaggine.
C’è ancora la tua patente rosa tutta stropicciata/ E nel tuo cassetto un libro letto e una Winston blu/ L’ho fumata”
Il mio Consulente Musicale di Riferimento, quando l’ho chiamato balbettando estasiata “Ma… Marmellata… Ma… Capolavoro…” mi ha detto: “Quando lui trova la Winston e la fuma io mi inginocchio in segno di rispetto per il genio. Ogni volta”. Il mio Consulente Musicale di Ripiego, quando gli ho chiesto se mi insegnava ad aspirare perché io devo assolutamente cominciare a fumare Winston blu, è una necessità che sento prepotente come lo era stata solo quella di avere un punto vita di 38 centimetri dopo la prima visione di Via col Vento, il Cons. Mus. di Rip., ti stavo dicendo, ha decretato che Cremonini debba avere un ghostwriter: “Dietro quella Winston blu c’è tutt’un mondo che lui non può conoscere in prima persona. A meno che non sia un genio. O un highlander”. Ho tentato – credo senza convincerlo – di argomentare che la fine della storie d’amore, oltre a essere un collirio universale, dà un botta di lucidità nell’ottundimento e insomma io ci credo, che l’hanno piantato e lui ha composto un capolavoro. Come diceva il mio fidanzatino delle medie: soffri, che ti fa bene. Poi dice perché una diventa un’adulta problematica.
“Ci sono le tue calze rotte la notte in cui ti sei ubriacata”
Io non lo so cosa sia successo quella notte con Paola. Cioè, so che ti ho detto di riaccompagnarla a casa e lei ha iniziato a sbattere gli occhioni dicendo “Ma no, posso andare a piedi”. So che mi ha telefonato dopo un quarto d’ora fingendo di volerti commentare ma in realtà per farmi capire che era sola e disponibile alla conversazione e che insomma al massimo poteva avertela data rapidamente nell’androne e siccome io sapevo che era una ragazza troppo chic per darla nell’androne senza venire presentata ai tuoi genitori potevo pure andare a dormire tranquilla. So che, quando sono tornata dalla Versilia e le ho passato la dose di Marmellata #25, lei mi ha detto che era dovuta uscire dall’ufficio con una scusa per piangere in pace. So che il mattino successivo alla cena, quando ti avevo telefonato facendo la sportiva, “Hai visto, te l’avevo detto che era figa”, tu mi avevi risposto “Insomma, mi avevi annunciato Emmanuelle Béart e mi sono ritrovato Pollyanna” e lì per lì la cosa mi aveva molto rassicurato, ma poi mi sono ricordata di un moroso del liceo che mi piantò per una molto carina, e fino al giorno prima ogni volta che io dicevo che era molto carina lui mi diceva che era inguardabile e nana, e quando andai a lamentarmi dalle amiche quelle mi guardarono con compatimento svelandomi quel che loro sapevano dall’asilo, ovvero che se un uomo parla male di una è perché se la vuol fare. Ecco. Tanti soldi spesi per iscrizioni inutilizzate all’università e mi ritrovo a dire “chi disprezza compra”. E’ così che mi hai ridotto. Altro che Adèle H.
Comunque poi le ho passato il file di Marmellata, lei l’ha sentito, è andata fuori a piangere, e quella sera mi ha raccontato una straziante e ordinaria storia di amore finito e calze rotte ed ex fidanzato fanatico di Baggio. Poi mi ha detto “Se tu lo amassi ancora scriveresti quelle cose commoventi”. Ci sono voluti due minuti per capire. I due minuti si sono articolati in tre fasi. La prima è stata la realizzazione che Paola legge le cose che scrivo a te, voglio dire, roba da matti, se volessi farle leggere al mondo le pubblicherei su un giornale, no? La seconda è stata l’individuazione di quali fossero esattamente le “cose commoventi” cui si riferiva. Alla fine non l’ho capito per il mio prodigioso intuito ma perché lei si è messa a citare a memoria interi brani di disperazione da fine d’amore, e alla fine mi ha detto pure in che data ti avevo recapitato tutto il mio strazio. “5 luglio 2003. Sai, quand’era morta Katharine Hepburn e anche…”. Ha lasciato la frase a metà, perché è sì così malata di mente da ricordarsi parola per parola una cosa che non avrebbe dovuto leggere due anni prima, ma non ha però letto un sufficiente numero di romanzi di Delly da praticare la sospensione del ridicolo necessaria a pronunciare frasi come “il giorno in cui è morto il vostro amore”. Avrei dovuto dirle qualcosa. Che è una malata di mente. Che le cose che scrivi nel momento in cui le scrivi cessano d’essere vere. Che l’amore è uno sbilanciamento ormonale curabile. Che volevo il parmigiano, anche se il cameriere sosteneva su quegli spaghetti non ci andasse, perché nel sugo c’era l’aglio, io ce lo volevo lo stesso e avrei voluto anche un cameriere che si facesse i cazzi propri. Avrei dovuto parlare, ma non potevo. Ero nella terza fase. Concentrata e silente. Impegnata ad avere nostalgia di due estati fa. Quando non avevo ancora il nuovo modello di cuore. Quello infrangibile.
“Ogni volta in cui ti penso mangio chili di marmellata / Quella che mi nascondevi tu / L’ho trovata”
Il giorno dopo sono passata in ufficio. Il vicino di scrivania di Paola stava minacciando di licenziarsi se lei non avesse interrotto il loop di Marmellata che girava sul suo computer ormai da ventiquattr’ore. Lei ha spento, è venuta alla mia scrivania e ha detto “Fammela sentire”. Ci sono casi in cui è intuile mettersi a discutere: ho aperto iTunes e ho cercato di distrarla dalla sua determinazione a frignare dissertando su come la canzone fosse un capolavoro e Cremonini un genio. Siccome ogni scusa è buona per non lavorare, dopo un po’ c’era un assembramento di improvvisati critici musicali. Chi diceva che probabilmente lei in realtà fumava delle Marlboro light, ma con la metrica era un casino e allora lui le aveva fatte diventare Winston blu (io non voglio neanche prendere in considerazione, neanche a puro scopo di speculazione filosofica, l’idea che Cremonini menta su un dettaglio del genere: voglio dire, stiamo parlando di un puro di cuore, dell’uomo che “dammi una Vespa / è l’estate che avanza / dammi una Special / che ti porto in vacanza”, diamine). Chi raccontava il video, con lui che trova in giro tutti gli oggetti di lei e ricorda straziato come nella canzone quando lei era lì, finché arriva al tavolo della colazione e lei è lì seduta e non se n’è mai andata, ma allora non vale, scusa. Fino a che la mia cinica vicina di scrivania ha preso il foglio su cui avevo stampato il testo, gli ha dato un’occhiata con una smorfia che neanche la regina cattiva guardando Biancaneve, e ha detto “Che stronzata”. Io ho detto che era un capolavoro assoluto, a livello di “chi ci sarà dopo di te / respirerà il tuo odore / pensando che sia il mio”, che era fin qui la più fenomenale frase da fine di un amore mai sentita. La cinica ha alzato le spalle e ha ribadito “Che stronzata” (cinica e con un vocabolario limitato). Paola ha detto “Ma allora lo vedi che non è più domenica!” col tono con cui io dico a te “Ma allora non mi vuoi più bene!” (meglio: col tono con cui te l’avrei detto nel luglio 2003) ed è corsa fuori non ho capito se a piangere, a telefonare, a fumare o semplicemente a imboscarsi da qualche incombenza lavorativa. L’assembramento da Marmellata si è sciolto, e io ho capito di avere bisogno di una vacanza.
“Da quando Senna non corre più / Da quando Baggio non gioca più / Da quando mi hai lasciato pure tu / Non è più domenica”
Il fatto è che le cose tra di noi non sono chiare. Cioè, se io ti dico “Andiamo al mare?” e tu mi rispondi “Cos’è, adesso programmiamo le vacanze? Siamo una coppia?”, io mi aspetto che sia parte della nostra deliziosa dinamica in cui io sono il detenuto buono e tu il poliziotto cattivo, mi aspetto che tu faccia battute stronze ma poi ti presti a caricare la macchina, calcolare le ore non di punta, chiedermi a cosa mi serviranno mai tutte quelle valigie e insomma fare le cose normali che gli uomini fanno ad agosto quando le donne decidono che è giunta l’ora di mostrare la cellulite agli altri bagnanti. Non mi aspetto di ritrovarmi, la settimana dopo, appollaiata sull’unico scoglio su cui il cellulare abbia un po’ di campo, a chiedere alla tua segreteria telefonica quando ti deciderai a raggiungermi. Non mi aspetto di ritrovarmi sola a cene di tutte coppie con mogli abbronzate che mi guardano in tralice come fossi lì per azzannare i loro incommestibili mariti. Non mi aspetto di dover sorridere al direttore dell’albergo che, incrociandomi mentre torno dal mio scoglio di riferimento, mi chiede “Signora, ma lei sta sempre al telefono?”. Pensare che il mese più crudele sia aprile significa non aver mai affrontato un agosto con te.
Siccome la Marmellata dopo un po’ stucca, ho passato giornate in simbiosi con l’iPod, cercando altre canzoni perfette per elaborare il lutto da fine di un amore. Dal capanno dei massaggi sulla spiaggia ti ho scritto: “non finiscono mai/ non finiscono mai/ non finiscono mai mai mai”. Da non so dove mi hai risposto: “Radio Cuore?”
Conversazioni che ti metterò in conto, con commensali coi quali non sarei mai stata costretta a intrattenermi se tu non mi avessi piantata sola come uan zitella in luogo di viellegiatura fastidiosamente ameno.
Una francese che, arrivata in un ristorante sugli scogli, separato dal mare solo da una vetrata, in una sera di pioggia, ha scosso le chiome tirate a ludcido e ha sospirato seria e (secondo lei) intensa: “Mi piace la violenza del mare”.
Il marito della francese che, mentre lei parlava a voce altissima di cose pochissimo interessanti (cioè: di se stessa), mi ha intrattenuto su: la necessità della riforma dello stato sociale; l’opportunità di servire i superalcolici con ghiaccio; la sua avversione per negozi come Colette e Corso Como, dove trovi le stesse cose che in altri posti ma le paghi di più. Fino a quel momento l’avevo ascoltato con pazienza, perché probabilmente era la prima sera dall’inizio dell’anno in cui riusciva a parlare, pover’uomo, la prima sera in cui almeno una persona al tavolo non era travolta dalle arringhe di sua moglie, la prima sera in cui lui aveva l’opportunità di sentire il suono della propria voce. Fino a quel momento l’avevo ascoltato: era noioso ma miliardario, e magari un domani decideva di sostituire una moglie logorroica con una paziente, e una ragazza deve pensare a sistemarsi, specie se ha buttato i più sodi anni della propria vita con un inaffidabile cattivo partito come te. Aavevo taciuto fin lì, ma su Colette non ho retto più. Voglio dire, ti sembra normale che un eterosessuale maschio conosca le boutique e i loro prezzi e il loro assortimento?
Una romana che ha interrotto il mio flirt col cameriere – la persona più civile che ci fosse lì intorno. Lui stava cambiando i piatti tra un antipasto e l’altro e io gliela stavo mandando caldissima, cercando di non ricordare la volta in cui avevamo preso in giro una pariolina che sospirava che a lei ormai piacciono solo i criminali e alle cene in terrazza socializza solo coi camerieri. Ero intenta a non immaginarmi la tua espressione mentre mi dicevi “Non so se ti sopporto meno quando fai quella di sinistra o l’orfanella Annie”, a non farmi rovinare dai tuoi immaginari rimbrotti il gioco di sguardi col cameriere, le occhiate in bilico sullo scivoloso crinale tra solidarietà e sussulto ormonale, l’unica cosa che movimentasse la serata, quando la romana mi ha rivolto la parola. Era seria. Cercava la mia approvazione. E io non sapevo che faccia fare. Cosa si risponde a una che dice “Certo che non si trova più personale come si deve”?
Una democristiana che lamentava le sue studentesse andassero in giro coi pantaloni a vita bassa, e io ho cercato di spiegarle il concetto filosofico di “moda” e di come in contemporanea non ti sembri mai brutta né ridicola, voglio dire lei ha presente le zeppe dei tempi suoi o le spalline imbottite dei tempi miei, ma lei mi guardava come neanche lady Bracknell e sillabava “Ma hanno il taglio del sedere di fuori!”, e io non avevo la forza di dirle “Sì, ma lei ha la matita più scura rispetto al rossetto, non è che faccia meno impressione, sa?”, ma tu non c’eri e una ragazza sola non può mettersi troppo nei guai.
La francese, infine, ancora lei. Che in finale di serata ha iniziato a cianciare di non so quale cena che avrebbe organizzato al ritorno a Parigi, in onore dell’ambasciatore di Sailcazzo, e la cena si sarebbe intitolata, diceva scuotendo le chiome, “hommage à Pulia”, con l’accento sulla “a”, e io mi chiedo perché tu non ci sia mai in questi momenti topici, quando potresti farti prendere a capellate e scansandoti una ciocca dalla faccia chiederle se le sue cene abbiano sempre un titolo, ché io mica ho avuto il coraggio di domandarlo. Comunque poi la capellatrice ha aggiunto che per fare la cena in questione si sarebbe portata via non so quante valigie di prodotti locali, e che il dessert sarebbe stato fatto sulla base della marmellata che il cuoco dell’albergo faceva con la ricetta lasciata da sua nonna. Marmellata di melograno e arancia amara. L’ho trovata.
La prima cosa di cui mi sono resa conto è che mi stavi spingendo fuori dal letto. Non ho pensato niente, ordinaria amministrazione, ho guardato l’ora sul cellulare e stavo per tornare a dormire, ma riappoggiandolo ho realizzato che là dove c’era un mucchio di giornali ora c’era un comodino, e quindi non era casa mia: già, erano le ferie d’agosto, quelle per le quali tu mi avevi bidonato – quindi ora cosa ci facevi nel mio letto? Ho cercato di ricordarmi se fossi arrivato la sera tardi, ma no, ero sicura di essermi addormentata da sola, me ne ricordavo perché l’ultima cosa che avevo fatto sul mio scoglio, al buio, prima di rientrare in quella stanza in cui il telefono non prendeva, era stata parlare con un altro uomo, uno che aveva definito Marmellata “un tentativo adolescenziale di rifare Battisti–Mogol“, e quelli che fanno i competenti mentre tu fai la sentimentale sono davvero insopportabili, senza contare che poi il competente, quando l’avevo arringato sul concetto rivoluzionario per cui “non è più domenica”, si era dimostrato del tutto impreparato, e non si può discutere di una canzone con uno che del ritornello non ha compreso non dico la valenza eversiva ma neppure le parole, santa pace. Ero tornata in camera esausta, e sola. La prima cosa che ho pensato è stata che per fortuna non sono abbastanza di sinistra da portarmi in camera il cameriere. L’ho pensato per mezzo secondo, poi ho fantasticato per un paio di minuti sulla meravigliosa scena da Beautiful che persino tu, che non ti scomponi per principio, saresti stato costretto a fare trovandomi dormiente con un cameriere perdipiù senza divisa. Voglio dire, mica potevi scansarlo e metterti a dormire.
Il direttore dell’albergo si è affacciato all’ora di pranzo, quando tu sotto il pergolato stavi facendo la stessa cosa che avevi fatto per tutta la mattina, ovvero leggere i giornali lamentandoti perché te li avevo disordinati tentando invano di venire a capo dei sudoku, e io sugli scogli stavo passeggiando leggiadra come sempre, forte della protezione totale e del cappello a tesa larga di fronte al quale tu avei borbottato “levati quell’affare da cretina” e delle mie trippe tenacemente bianche e del mio costume da 400 dollari che mi stava esattamente uguale a quello saldato a 9 euro e 90. Il cappello non dev’essere bastato a evitarmi un colpo di sole, perché giurerei che il direttore abbia detto “Ha visto che bella sorpresa?”, giurerei di avergli risposto che non mi ero accorta di niente, avevo continuato a dormire, e giurerei che tu a quel punto, con quell’espressione impassibile con cui potresti recitare le previsioni del tempo, abbia detto “Sì, ha il sonno pesante. Le ha mai raccontato di quel fidanzato col pisello piccolo e di come lei si svegliasse sempre a cose fatte? E’ il suo aneddoto preferito” – giurerei, ma sarebbe un delirio solare, vero? Non può essere andata così, vero?
Avrei voluto dirti di Paola. Che quando giorni prima l’avevo invitata, visto che ormai ti conosceva, a chiedere a te perché non scrivevo più cose struggenti come un tempo, evidentemente la responsabilità era tua, che non sapevi più ferirmi come un tempo, di Paola che mi aveva risposto “Ma no. Sei tu, che devi ritrovare la capacità di starci male come allora” (quando il biografo, tra centocinquantun anni, arriverà a questo punto, gli dirò di sì: è stato questo il momento in cui ho capito perché non ho amiche). Avrei voluto dirti dell’infruttuosa ricerca del perfetto verso da morte dell’amore, di come grande fosse stata la collaborazione e copiosi i suggerimenti, il migliore dei quali mi sembrava “una prova innnocente / chiamare amore un amore qualunque / a cui di me non gliene frega niente”, ma nessuno all’altezza della fine dell’idea stessa di domenica. Avrei voluto chiederti se per favore la prossima estate potevamo organizzarci meglio, se potevi farmi soffrire almeno un po’, ché mi mancano tanto i miei ferragosto di lacrime in città, quando è chiuso perfino il MacDonald. Stavo per parlartene seriamente, dovevo solo darmi una sistemata, venivo dal capanno dei massaggi e mi colava l’olio dalle orecchie. Ma poi è successo tutto insieme. Tu hai detto “vabbè, io riparto”, il cellulare ha fatto dlin-dlon, il messsaggio suggeriva un nuovo verso, “da sempre mi tormenta una domanda / perché gli viene facile all’umano / amarsi specialmente da lontano?”, io mi sono asciugata l’olio il più dignitosamente possibile e ti ho detto che prima di partire avresti proprio dovuto assaggiare la specialità della casa. Marmellata di melograno e arance amare.
E infatti. Una che sa scrivere può tirar fuori un pezzo godibilissimo anche partendo dalla monnezza, d’altro canto Leopardi ha reso soavemente immortale una contadinotta che veniva dalla campagna. Cremonini rimane un rappresentante dell’orrore e la Soncini una grande penna, tutto torna.
Che poetica. Io l’amo. Ma lei a me no. Non c’è più religione.
Basta con le seguenti buffonate:
– ritenere bella una canzone perché ha un bel testo
– parlare, anzi: sparlare, di chi non si conosce. Non credo – spero almeno – che Neri & Giordanobruno abbiano mai ascoltato l’album Bagus, e soprattutto i diversi “lato B” dei suoi singoli. Se lo avessero fatto, non parlerebbero così di uno che deve solo trovare la forza (e la voglia) di scrollarsi di dosso il pubblico delle ragazzine.
P.S. Tra Gongi-Boy e una canzone dei perennemente sugli altari (perché anch’essi mai ascoltati da chi ne parla) Pink Floyd non sento differenze.
Levateje er vino.
OfflafaDiscoPax – De Fonseca
A casa…
a casa sono rimaste le ciabattine di spugna
di Francesca.
Gliele avevo comprate per non farla camminare scalza,
che dimenticava sempre di portarle.
Oggi ho preso una busta gialla
e ce ne ho messa dentro una delle due.
Francobolli prioritari e domani sarà da lei.
Apprezzerà, in fondo è giusto che abbia la metà
delle nostre cose.
Non eravamo sposati, non vivevamo insieme
ma il nostro amore non merita rancori e stupide rivalse.
Sono ferito dall’abbandono ma quello che è giusto è giusto
e una pantofola a testa sarà un bel ricordo per entrambi.
Un ricordo dell’amore sconfitto marca “De Fonseca”.
Pochi potrebbero vantare un trofeo del genere,
quasi nessuno nel mondo dei non feticisti.
Per lo spazzolino da denti sono indeciso:
se lo spezzo in due le lascio il tronchetto con
le setole o quello con il manico?
Mi serve un divorzista, forse lui può consigliarmi.
Non vorrei mai che pensasse che mi tengo i suoi
effetti personali in ostaggio.
Se torna da me non sarà per questo.
E bisogna avere stile anche nei momenti peggiori.
Non come il mio vicino Sebastiano,
che quando lei lo ha lasciato si è tenuto
tutta la sua collezione di scatole di assorbenti.
Erano tremila scatole.
Gliele ha rotte tutte.
E anche a me con questi gesti incoscienti.
Ho deciso, le lascio il pezzo con le setole.
Domani… domani… glielo mando.
Il titolo è bellissimo!
La letteratura sulle canzoni da abbandono è sterminata da Cocciante (cerchi a tutti i costi una ragione eppure non c’e’ mai una ragione
perché un amore debba finire e vorresti cambiare faccia) a Baglioni “Solo” (e sul tavolo fra il tè e lo scontrino ingoiavo pure questo addio…) a De Crescenzo (perché io da quella sera non ho fatto più l’amore senza te e non me ne frega niente senza te) tanto per restare sul banale. Ma la trovata del “l’ho fumata” è geniale, perché in due parole riesce a trasmettere tutto il senso di disperazione e solitudine del momento. E chi c’è passato lo sa. E chi non cì’è passato?
Ricordo benissimo quesll’articolo, si chiamava “L’estate del mio discontento”, è un pezzo geniale. L’avro letto almeno 4 volte, e ogni volta è migliore. E’ increibile riesce a parlare di tantissime cose raccontando per sommi capi la sua vacanza, e specialmente parla di sè (come sempre) ma non in maniera diretta. Folgorante quell’inizio, una perla di scrittura.
Deve averlo letto anche lui… Questo è un post tratto dal suo blog…
http://www.cesarecremonini.it/blog.php?id_post=168
Amo anch’io Guia.Ma lei non ama me.Vado a deprimermi.Leggendo assorto il suo articolo (per l’ennesima volta).
guardatevi l’ultimo post del blog di cesare cremonini.
La soncini ha sempre avuto un debole per cremonini, me la ricordo durante il Cammello di Radio 2, semi implorarlo di mettersi con lei..
Onestamente non capisco una cosa: si parla di una canzone, di un testo, ma traspare un’astio nei confronti della Soncini o di Cremonini.
Siccome nessuno pensa che i due siano Hemingway o Bob Dylan, dove sta il problema?
La musica leggera non è quello che non può essere. E un articolo di un giornale non può sempre essere letteratura.E onestamente sarei molto più seccato se Cremonini volesse vestirsi con vestiti non suoi solo per far vedere di essere intelligente e acculturato. E lo stesso direi della Soncini, la quale non so neppure che faccia abbia, e Cremonini per adesso non mi ha mai puntato il goltello nel collo perchè io acquisti i suoi dischi.
Ma sei sicuro di aver commentato il post giusto? mah..
salve…se quella di Cremonini è un capolavoro…siamo alla frutta, altro che marmellata…l’argomento è lo stesso ma tutt’altro livello la coppia PANELLA – BATTISTI con “LE COSE CHE PENSANO”..buon ascolto.
Le cose che pensano
In nessun luogo andai
per niente ti pensai
e nulla ti mandai
per mio ricordo
Sul bordo m’affacciai
d’abissi belli assai
Su un dolce tedio a sdraio
amore ti ignorai
invece costeggiai
i lungomai
M’estasiai. ti spensierai
m’estasiai, e si spostò
la tua testa estranea
che rotolò
Cadere la guardai
riflessa tra ghiacciai
sessanta volte che
cacciava fuori
la lingua e t’abbracciai
Di sangue m’inguaiai
Tu quindi come stai
Se è lecito che fai
in quell’attualità
che pare vera
Come stai, ti smemorai
ti stemperai e come sta
la straniera, lei come sta
Son le cose
che pensano ed hanno di te
sentimento. esse t’amano e non io
come assente rimpiangono te
Son le cose prolungano te
La vista l’angolai
di modo che tu mai
entrassi col viavai
di quando sei
dolcezza e liturgia
orgetta e leccornia
La prima volta che
ti vidi non guardai
da allora non t’amai
tu come stai (ah come stai)
Rimpiangono te
son le cose, prolungano te
certe cose
Decanti tanto Pasquale Panella.
Forse non sai che è l’autore di Trottolino Amoroso.
In ogni caso mi ricordi mia madre, che invitandola a mangiare il sushi sa solo dirmi che i bucatini sono meglio…
Basta solo la musica, le parole non servono.
Se Cremonini, Jovanotti & CO sono musicisti con i loro giri armonici allora Bill Evans & CO vengono da un altro pianeta …
La colpa e’ solo del business e degli uffici musica dei vari network italiani, che incassano dalle case discografiche e scavalcano i gusti dei leggittimi conduttori dei vari programmi.
Ascolto la radio quasi tutto il giorno, in sottofondo, e passa sempre e solo lo stesso squallore:
Jovanotti, Negramaro, Cremonini e spazzatura simile.
Ma siete fuori? Perchè voi siete i colti? Voi siete i non attaccabili? Voi? Ohibò…non mi giunge nuovo questo tipo di stupidaggini.
Citate Battisti, un genio consacrato. Ma non ricordate, (quanti anni avete?) Io ne ho 58..e su Cremonini, vivendo nella sua Bologna, ne ho sentite dire di tutte le salse, velenosamente ritratto per sentito dire, per luogo comune.
Poi stanco mi sono andato a sentire il suo disco: Maggese.
E ho ragionato con la mia testa. Volevo avere un parere mio, personale. E ora so bene che chi parla male di quel giovane cantautore lo fa perchè è ignorante (senza offesa!).
Semplicemente lo ignora. Ben venga, ci sono tanti altri artisti da ascoltare e agli stessi lo stesso Cremonini non si è mai permesso di paragonarsi. Ma chi lo ignora, almeno non scriva cazzate.
Ma che modo di valutare è farsi grandi citando Bill Evans & CO mentre si parla di musica leggera o di pop?
Allora vogliamo dire che Bill Evans & CO sono nulla rispetto a Chopin. No?
Ma quanti giri di parole per non ammettere che una persona ci sta sul cazzo…
Un po’ di tempo fa ho letto questo blog e mi sono incuriosito perchè qualcuno ha linkato il blog di Cremonini.
Incuriosito sono andato a leggerlo, e con tutta onestà, non mi sembra affatto stupido, anzi!
Quindi di cosa si parla? E che senso ha citare Cocciante, Bill Evans o Baglioni?
Mi ricordate mio nonn che da anni va in vacanza a Pinzolo e quando sente che io e mia moglie vogliamo andare al mare fa i paragoni tra mare e montagna.
Se stiamo parlando di musica, ed io sono un musicista, faccio anche il fonico e invito i tuttologi improvvisati (Bill Evans: ma che ci azzecca?)a valutare le cose con orecchio tecnico. Il lavoro è suonato bene, registrato meglio e mixato da dio.
Se le canzoni non piacciono è un altro discorso. Ma non diciamo cazzate gratuite.
Se stiamo parlando di musica, ed io sono un musicista, faccio anche il fonico e invito i tuttologi improvvisati (Bill Evans: ma che ci azzecca?)a valutare le cose con orecchio tecnico. Il lavoro è suonato bene, registrato meglio e mixato da dio.
Se le canzoni non piacciono è un altro discorso. Ma non diciamo cazzate gratuite.
Yeah!
E il primo consiglio musicale vero arriva entro il 2005.Descrivere il disco dei Clap Your Hands Say Yeah è difficile, molto. Difficile è anche dire perché piace così tanto. Mi rifaccio quindi al "della musica non si pu&
guia poterti leggere, ovunque tu sia, è un dono di Dio.
scusa per il nome, nessuno è perfetto. sono un tuo ammiratore senza confini di foglio di audio o di video. promettimi che ti impegnerai ai massimi per dimostrare che senza di te si può stare, ma è come passare dallo champagne alla birra.
Beh! In questa costellazione di opinioni posso dire che Cesare, non solo è un grande artista ma cerca di eufimizzare la sofferenza delle perdite amorose. Non per questo però non gli da un giusto peso.
come sempre vorrei coprirti di baci e di insulti. amore amore.
Ci sono persone i cui gusti musicali si basano solo su ciò che fa più figo, più culturale più di nicchia. Una bella canzone è una bella canzone se arriva al cuore ma queste persone ascoltano il cervello e non il cuore. Marmellata 25 è una coltellata davvero ed è bellissima