Dio ha paura (salmo ipoglicemico notturno)

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Io ho un Dio, da sempre. L’ho incontrato in famiglia, nelle serate dei campi scout, nelle favole di Gianni Rodari, nelle poesie di Padre Turoldo, in quel poster dove “le scarpe che non porti, sono le scarpe di chi è scalzo, il pane che non mangi è il pane dell’affamato”, nella “lettera ad un bambino” di Marcello Bernardi. Un Dio sorridente, ironico, direi satirico. Prende in giro i sessuofobi, i prepotenti e gli integralisti di qualsiasi ideologia politica o religiosa. Dio di “Ama e fa ciò che vuoi”, e chi se ne importa se sei etero o omosessuale. Ride di un uomo col megafono e dei mille più mille e più che lo applaudono. E’ incazzato con chi sfrutta i deboli, i bambini, con chi li scandalizza, lasciandoli senza giochi, senza cibo, senza genitori, senza vita. E’ incazzato con chi fa le guerre, coi serial killer da milioni di morti. E’ Dio che non si manifesta nel vento impetuoso, ma nella brezza leggera, impercettibile, che arriva a volte d’estate in serata. E’ riflessivo Dio, sa che il mondo è complesso:


“ragioni” è sempre plurale, almeno in una piccola significativa parte. Gode della gioia finanche del più piccolo tra gli uomini (che anche da qui puoi sentirne la fragorosa risata), ma piange con chi piange, con chi è disperato, la sua mano, a volte impotente, tenta di accarezzarne, discreto e presente, la spalla. Hai voglia a dire che però poi è risorto. E’ Dio che conosce la sofferenza, è Dio perdente, è morto, per questo così vicino agli uomini, ognuno perdente, ognuno democraticamente prossimo alla morte. Ma Dio bandisce la tristezza, il calvario è “collocazione provvisoria”, e torna a ridere, insieme a te, a satirizzare sul mondo, grottesco ed amato. E’ Dio libero ed ama la sua e tua libertà, anche quando non gli piace, al limite ti prende per il culo. Ma poi, se vuoi, riflette insieme a te e a volte trova compromessi, perché sa della nobiltà della parola compromesso, avendo già parlato della complessità della vita. E ritorna ad incontrarti nello sguardo curioso e attento di un figlio, e di un altro bambino silenzioso o in delirio che ti è vicino al lavoro, e nell’amore con la tua donna. Ti chiama lui, se non lo chiami. E’ solo Dio, e ha bisogno di parlare. Come stasera. Ma mi ha preso bene eh. Il discorso finisce sui guai del mondo, le ingiustizie, le guerre, il terrore. Ascolta silenzioso, come sempre discreto, poi prova a replicare cercando speranze, satire riflessive seppur amare, ma lo incalzo raccontandogli di quanti lo tirino in ballo per proclamare la verità assoluta di un dio senza compromessi, senza altri nomi, e poi quanti si fanno scudo di lui per coprire guerre e terrore, spezzandolo in occidentale o orientale, di quanti morti, di quanti oppressi, di quanti orfani, di quanti papà e mamma senza figli. Respira ansimando, rabbioso e depresso, ma mi rimane silenzioso vicino. Lo saluto, toccandogli la spalla, “vado a dormire” dico. Non si muove e rompe il suo silenzio chiedendomi: “posso rimanere qui?”. Si accomoda sul lettone e ogni tanto lo sento, nel suo sonno, toccarmi i capelli per sapere se ci sono. Ecco, ora di giorno cammina dietro di me e di tanto in tanto mi tocca i capelli cercando riparo. Poi tenta di riprendermi la mano per tornare ad essere lui che rassicura. Certo è complicato risorgere una volta, figuriamoci due, ma è determinato e la sua determinazione mi ridà fiducia e la mia fiducia accresce la sua determinazione. E’ orgoglioso, diamine, e tornerà presto a prendere per il culo gli uomini col megafono, ridando speranza e fiducia nel lavoro, ognuno come può, per quei santi compromessi che prevedono la vita come obiettivo. Altro che la bestemmia delle guerre sante o delle guerre giuste.

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