Un numero della rubrica dedicato ai militanti antimafiosi (se ci pensate non è ancora diventato uno spregiativo, per la stampa, come, invece “disobbedienti”). Un volantino di vent’anni fa, scritto da un ragazzo come ce ne erano tanti, in Sicilia e altrove.
Ventuno marzo: primavera, bella giornata per saltare la scuola e anche – fra le altre cose – giorno della memoria per le vittime dei mafiosi. Ma a me la parola “vittime” non è mai piaciuta: quasi tutti quelli che sono stati uccisi in realtà non sono stati vittime impotenti, ma hanno lottato coraggiosamente contro il potere mafioso. Perché è stata una lotta, ed è una lotta tuttora. Commemoriamo quanto ci pare e piace, magari con sindaci e presidenti, ma non rassegnamoci a niente: lottiamo.
Perciò vorrei farti leggere ‘sta roba di venti anni fa. Fabio (l’autore del primo volantino) ora è uno grande, ma a quell’epoca era un ragazzo come te. Ce n’erano un sacco così, in Sicilia e altrove. Questo numero della Catena è dedicato a loro, ai militanti antimafiosi.
SicilianiGiovani/ Volantino per un’assemblea (primavera ’84)
Vogliamo proporti una nuova idea da realizzare insieme: SicilianiGiovani, un mezzo di espressione libero e moderno a disposizione di chiunque voglia dire qualcosa, non il primo della classe, né quelli che salgono sempre in cattedra. Infatti non ci interessa il letterato, l’artista, il politicante, ma tutti quelli che vogliono scrivere, raccontare, disegnare, fotografare anche solo partecipare a qualcosa, esserci, sentirsi vivi e protagonisti, non solo complici della propria vita. E’ una possibilità di opporci a un’esistenza grigia che scorre per inerzia, alla solitudine, alla rassegnazione inutile (ci dicono di non rompere le scatole e starci zitti, e noi ci stiamo? No).
Non dormirci su ancora, vieni se hai qualcosa da dire, da raccontare.
Fabio
SicilianiGiovani/ “Il coraggio di lottare”
Caro Salvatore (o Antonio o Vincenzo o Roberto, o come diavolo ti chiami), come vedi, io non so nemmeno il tuo nome (forse ci saremo visti qualche volta, in un treno di pendolari o in una discoteca, ma naturalmente senza farci caso) e non so nemmeno che tipo sei, se tipo “ragazzino perbene” oppure tipo punk (a me personalmente piacerebbe di più così, ma questo è solo una cosa mia personale). Non so neppure che cosa stai facendo in questo momento, forse hai trovato il giornale per caso e siccome ora c’è una lezione noiosa te lo leggi sottobanco tanto per passare il tempo; o forse sei sull’autobus o forse da qualche parte con i tuoi amici (neanche tu sai granché di me: bene, sono un giornalista dei Siciliani, ho qualche anno più di te ma non molti, sono triste perché mi hanno ammazzato un amico, ho anche la paranoia che lo facciano pure a me e ne ho paura perché non sono particolarmente coraggioso. Non sono affatto un grande giornalista anzi sono alle prese con problemi molto più grandi di me). L’importante comunque è che tu capisca che io in questo momento non sto parlando al Ragazzo Impegnato, non sto facendo il discorso “simbolico” per dire che in realtà faccio appello a tutti quelli che ecc. ecc. No, io sto parlando proprio a te personalmente, perché ho bisogno di aiuto e non mi fido delle persone importanti. Ho bisogno invece della gente “comune”, quella come te (e come me).
Tutto questo mi va benissimo. Io non credo molto alle parole, e credo che ognuno debba fare ciò che sente e non quello che dicono gli altri.
Però. vedi, c’è un trucco. Gli altri – cioè le persone importanti, i professori, i “politici” – partono da un punto di vista, e cioè che loro sanno tutto mentre tu non sai un cazzo. E che quindi debbono essere loro a dirti cosa fare. Tanto, tu sei “qualunquista”, uno che se ne frega delle Cose Serie, che pensa solo a farsi la canna e ad andare in discoteca (i giornalisti come me, invece, sono “i ragazzi di Fava”, bravi ragazzi certo, ma un po’ troppo incazzati e un po’ coglioni…). Invece non è così. Tu sai un sacco di cose, solo che non le dici nel loro linguaggio, o non lo dici affatto. Però le sai.
Per esempio sai che la tua vita non è affatto una gran bella vita, che ti annoi: questo non è affatto qualunquismo, è la tua vita. Non c’è bisogno di parole difficili per dirlo. E sai pure che non ti va di continuare così e che intanto devi continuare lo stesso perché non c’è altro da fare, Sai che, nonostante tutte le belle parole, nessuno ti può aiutare a far qualcosa perché in realtà a nessuno gliene frega veramente molto di te: Sai anche altre cose, per esempio che fra un paio d’anni resterai disoccupato come il novanta per cento dei tuoi amici, che fra i tuoi amici ce n’è sicuramente qualcuno che si buca, che tu ancora sei fra i più fortunati perché sei – probabilmente – uno studente e non uno scippatore o un marchettaro (e se lo sei, il discorso vale anche per te). Sai un sacco di cose serie, insomma, ma tu stesso non ti accorgi nemmeno di saperle (non solo gli altri ti considerano un “qualunquista”: sono riusciti a convincere anche te che lo sei), e perciò non contano niente, non pesano. E perciò quelli che sanno parlare continuano a comandare loro, indisturbati: tanto, tu non conti…
Questo è il trucco. Se tu ti rendessi conto di quanto sia importante – e, ma in una maniera del tutto nuova, anche “politico” – anche andare in villa con la ragazza, cercare di fare quello che ti piace, vivere la tua vita come vorresti tu, tutto quanto cambierebbe. C’è stato un onorevole che, poche ore dopo che hanno ammazzato quel mio amico, è venuto fuori con aria arrogante – “la mafia non c’è, ha detto in sostanza, fatevi gli affari vostri!” – a minacciarci. Bene, quell’onorevole in realtà è un debole, è un isolato, perché non ha nessunissima idea della vita reale, della gente vera: al massimo, può fare qualche danno ora, per il potere che ha. Noi invece – tu ed io – siamo molto forti e gli possiamo ridere in faccia perché la vita (la vita di ogni giorno, quella normale, la nostra) la conosciamo, ci siamo dentro, sappiamo che cos’è; ci mancano solo le parole, ma le troveremo (e non saranno mai grandi parole, grandi ideali, faccende da politici: ma parole comuni, normali, quelle della vita di ogni giorno).
Allora, adesso ti faccio la mia proposta. Lasciamo perdere se hai la cravatta o l’orecchino (io, ripeto, preferirei l’orecchino: ma è questione di gusti, ognuno ha i suoi). Queste sono cose secondarie. La cosa importante è che tu vuoi vivere la tua vita, e che ti sei scocciato di quella che ti danno. Come me. Allora dammi una mano. Parole non me ne servono, mi servono poche cose da fare. Poche, ma da farle sul serio, perché noi due – tu, ed io – siamo gente seria, non politicanti. Andare in villa con la ragazza è una cosa seria, e anche fare questo giornale è una cosa seria. Solo i bei discorsi non sono una cosa seria.
SicilianiGiovani/ Un altro volantino
Siciliani/giovani ha una “politica” molto semplice e chiara, e cioè: primo, schierarsi apertamente contro la mafia; secondo, affrontare liberamente tutti i problemi dei giovani: Quanto alla politica ufficiale, quella dei partiti, non siamo né favorevoli né contrari. Semplicemente, non è il nostro campo; chi vuole affrontarlo, può farlo anche da solo (del resto ci sembra che in questo momento la lotta alla mafia e per una migliore condizione di vita dei giovani siano la cosa fondamentale, senza la quale tutto il resto è poesia).
– Ma allora a che serve Siciliani/giovani?
A dare la parola alla gente, a fare parlare i ragazzi in prima persona, direttamente e senza bisogno di nessuno. E quindi a farli contare nella società. Noi non siamo qualunquisti, non diciamo che tutto è uguale e che non vale la pena di far niente. Però non siamo nemmeno ideologici, vogliamo imparare dalla realtà e dalla gente e non dai professionisti della politica.
– In tutto questo cosa c’entrano “I Siciliani”?
“I Siciliani” da soli possono riuscire a denunciare la mafia, ma non a creare una mentalità antimafiosa. Non si tratta solo di distruggere la mafia, ma anche di costruire qualcos’altro. Questo qualcos’altro non lo possiamo inventare a freddo, ma deve venire dalla gente, e specialmente dai giovani, liberamente e senza prediche inutili. Si tratta di sviluppare al massimo grado la creatività di ciascuno, perché ciascuno è in grado di contribuire e d’altra parte nessuno oggi è in grado di costruire qualcosa di buono da solo. Si tratta in sostanza di capire come si può fare a vivere meglio, non nelle grandi teorie, ma nella realtà di ogni giorno.
– Ma questo è un giornale o un’organizzazione?
Non lo sappiamo ancora, probabilmente può diventare l’uno e l’altra. Ma attenzione: un giornale di tipo nuovo, e cioè assolutamente libero e fatto dalla base; e un’organizzazione di tipo nuovo, senza ideologie fisse e soprattutto senza professionisti, ideologie e leaderini. Un’organizzazione tutta da inventare.
– E come si può fare a mettere in piedi questa organizzazione?
Non ne abbiamo la più pallida idea. A questo dobbiamo pensarci tutti, strada facendo. Finora abbiamo i gruppi di lavoro su argomenti concreti e il collegamento fra gente di varie scuole. Questo non è venuto fuori perché l’ha detto qualcuno, ma semplicemente perché erano il modo più semplice di affrontare le cose da fare. Anche quando si tratterà di organizzarsi in maniera più ampia, bisognerà continuare a seguire questo metodo, e cioé: prima i problemi concreti: a secondo dei problemi, il tipo di organizzazione, senza troppe teorie.
– Si è parlato pure di manifestazioni.
Una manifestazione seria si potrebbe fare, in tutta la Sicilia, per il cinque gennaio: purché non sia una semplice manifestazione ma un modo di ricordare a tutti “tutti” i nostri problemi, da quelli della mafia a quelli della vita quotidiana. Ma anche in questo caso, andiamoci per gradi: prima bisogna che si sia d’accordo tutti e che si discuta fra tutti per tutto il tempo che ci vuole.
– Ma come facciamo a essere certi di non venire strumentalizzati?
Per quanto riguarda noi Siciliani, non abbiamo interessi elettorali, quindi il problema si pone solo fino a un certo punto. Quello che vogliamo fare lo diciamo apertamente e chiaramente, e non crediamo che possa far paura a nessuno che abbia un minimo di buonsenso. La parola “Siciliani” appartiene a tutti, comunque la pensino su tutto il resto, purché siano d’accordo che bisogna eliminare la mafia. “I Siciliani” non è un generale che comanda, è semplicemente una bandiera. Dove portarla, dipende da tutti noi.
– E gli altri?
Per gli altri, non possiamo farci niente. Ognuno ha il diritto di parlare, e noi non possiamo censurare nessuno. Sta a noi ragionarci sopra, scegliere fra le varie proposte e, in caso di contrasti, decidere in assemblea. C’è solo da ricordarci che, in ogni caso, le cose importanti non sono le grandi parole ma i fatti concreti, anche se si notano poco.
SicilianiGiovani/ Noi e “loro”
C’è un sacco di gente a cui non sta affatto bene che i ragazzi siciliani stiano allegri, si divertano e cerchino di riprendersi in mano la propria vita. Proviamo a fare qualche nome:
– i mafiosi come Santapaola, Ferlito e Ferrera, che “mantengono l’ordine” (assieme ai vari colonnelli Licata) nei quartieri, ammazzando chi si ribella o si fanno i miliardi con l’eroina;
– i politicanti come Aleppo e Drago, che da un alto danno i contributi ai mafiosi e dall’altro dicono che “la mafia non esiste”;
– i padroni come Rendo, Graci, Costanzo o Finocchiaro, che licenziano gli operai, vanno a braccetto con i mafiosi e poi si incazzano se qualcuno gli chiede da dove vengono tutti quei soldi;
– i giornali come “La Sicilia“, che fanno casino quando trovano un ragazzo con un po’ di fumo, ma di fronte a mafiosi e cavalieri se ne stanno zitti.
La mafia non danneggia le persone importanti, ma va avanti sulla pelle di tutti noi. Allora, ricordiamo quelli che hanno avuto il coraggio di lottare contro la mafia, appoggiamo quelli che continuano a lottare ancora ma, soprattutto, organizziamoci nella nostra vita quotidianamente per non subire prepotenze da nessuno e per vivere come desideriamo noi, non come vogliono gli altri.
E per cominciare, fra un mese tutti in piazza per il centro giovanile autogestito.
Non sono siciliano.Amo la Sicilia che ancora non ho visitata,ma che mi riprometto di fare quanto prima.
Vivo nel Nord Italia.
Ho seguito e seguo tuttora l’intera “storia” siciliana.
Ammiro la gente che si esprime come voi, che vuole che certe cose cambino finalmente e radicalmente.
Io, in quel contesto di mafia, ho perso un amico, un mio superiore, del quale sono stato uno fra i tantissimi collaboratori,quand’era ancora a Milano; il Gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa.
barone rosso