Numerologia del calcio

Il 9 era il centravanti. O il centrattacco.
E sapevi che in “quella” Lazio lì lo aveva Chinaglia. Così come il 7 di “quel” Torino era Claudio Sala.
E via con il calcio-che-non-c’è-più, e le bandiere, e il mito del buon atleta.
Chissà se l’altra sera Gigi Riva ha pensato a tutte queste cose – vere ma anche un po’ dolciastre – quando, durante una cerimonia quasi sacrificale, il Cagliari ha deciso di bloccare con un’istantanea giallo seppia il bel tempo andato e ha ritirato la mitica 11.
C’erano riconoscenza, nostalgia, commozione ferrigna allo stadio. Ma c’era anche un tentativo goffo di resurrezione di un quadretto agreste che forse non è mai esistito. Sì, è stato il diavolo moderno del merchandising a imporre il marchio dei nomi sulle spalle e i numeri impazziti, e può darsi che allora si fosse tutti più ruspanti e veri con gli eccetera di etica che ne derivano.
Ma può anche darsi che il “nuovo” calcio abbia bisogno di legittimarsi perfino per negazione.
E Riva – che è un grande – lo sa.

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2 Commenti

  1. Anche il Napoli aveva ritirato la maglia numero 10, quella di Diego Maradona. Il più grande di tutti. Il Dio del Pallone. Poi, siccome la società è fallita ed è ripartita dalla C (in cui non esistono le maglie personalizzate con i nomi e i numeri fino a 99) la numero 10 è stata riesumata ed è finita sulle spalle di Montervino o Corrent. Una bestemmia. Come dire: le armi di Achille a Platinette.

  2. In compenso oggi abbiamo Gatti che sceglie il numero 44. O Fortin, il portiere del Siena, che ha il numero 14. Capito? Fortin, fourteen. Spazio alla fantasia.

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