Si fa un gran parlare, mi sembra, del nuovo libro di Igino Domanin, “Filosofia dell’ipertesto“, scritto assieme a Paolo D’Alessandro.
Mantellini e Sofri non si lasciano sfuggire l’occasione per prenderlo per i fodelli, come solitamente accade da qualche anno a questa parte. E, del resto, non sono stati mica loro a mandare alle stampe questa introduzione:
Succede l’impensabile: che qualcuno prende a difendere il buon Igino.
Nei commenti al post di Mantellini, per dire, Alessandro Longo scrive: “Beh, scrive in modo involuto, ma comuqnue comprensibile a chi ha studi filosofici alle spalle. Ci sono libri di filosofia scritti in modo molto più complesso, per esempio Deleuze e Guattari”, dando per scontato che la Filosofia debba essere incomprensibile ai non iniziati; alle timide critiche poste alla precedente affermazione risponde bgeorg: “Se leggi un testo di fisica atomica e poi un testo sul concetto di potenza in aristotele tu li capisci al primo colpo. non so se invidarti o preoccuparmi per te”; la chiosa è di Shangri-La: “Se uno studente di filosofia di primo pelo e fresco di liceo allargasse le braccia sconsolato di fronte a questo semplice testo, potrebbe allegramente far fagotto seduta stante e andare a fare altro, nella vita. L’unica cosa che distingue quello studentello da voi è che lui deve muovere il culo, far funzionare il cerebro e non stare troppo a far lagne, se vuol passare l’esame. Invece voi, complice il gusto di sbertucciare Domanin, mollate il colpo al primo paragrafo. Tutto qui. (Per la cronaca: D’Alessandro è il docente preferito degli studenti meno dotati e i suoi libri sono tra i più semplici che uno possa trovarsi a leggere durante il corso di studi)”.
Dico la mia, per quel che può valere (e non me voglia Igino, che è un amico).
C’è in giro questa credenza che scrivere semplice rappresenti un’abiezione. Ora, Alberoni a parte, semplice non è affatto sinonimo di banale, come molti sembrano credere.
E dico che non è un problema di filosofia o di fisica atomica, ma di scrittura.
E poi, oltre che di scrittura, di comprensibilità.
A questo aggiungo che una frase che non si sappia fare comprendere, in qualsiasi campo; una frase che contenga un codice massonico da iniziati; una frase che faccia le capriole su sé stessa solo per il gusto di farlo, di spiazzare il lettore, di farlo sentire ignorante, non è una frase, ma masturbazione.
Per dire: arrivo io, prendo una bomboletta di vernice spray e scrivo su un muro La Grande Risposta A Tutte Le Domande. Problema: ho una calligrafia incomprensibile e, per quanto mi sforzi di far capire che quel concetto è la panacea per tutti i mali, la gente attorno a me non riesce a leggerlo, e lo ignora.
Ora, chi è l’idiota: loro che non riescono a decifrare ciò che ho scritto, o io che l’ho scritto male?
“La faccenda di fondo che non deglutisco è questo spacciar per democratico il sapere, non già nel senso di “accessibile a tutti” senza filtro di censo. Ma nel senso demagogico di “alla portata di tutti”, cioè facile e senza fatica”.
Completamente d’accordo.
E, inoltre, un intervento geniale, Shangri-La.
Complimenti.
senti Shangri-la, adesso mi viene un dubbio (perché mi è stato gentilmente segnalato). Non mi metti tra le lavandaie, vero? Hai capito che sfottevo il post di Neri, vero? Va be’ che non sei una cima, ma devo proprio sottolineare di rosso le frasi ironiche o ce la fai da sola?
caro gilga, tu mi citi oddifreddi quale esempio di concezione relativista della realta’ e di scrittura semplice e divulgativa. francamente, io ti potrei citare dummett (secondo molti, *il* filosofo di questa periodo – e lui si’ che e’ davvero difficile da leggere), che sostiene tesi fondamentalmente realiste e oggettiviste. da studioso di filosofia, se davvero credessi he non esiste il modo di stabilire verita’ qualtomeno intersoggetive, starei sprecando la mia esistenza. quanto alla capacita’ divulgativa di oddifreddi nessuno la mette in discussione, anche se bisogna riconoscere che spesso la semplicita’ di oddifreddi porta con se’ inaccettabili semplificazioni.
yawn, shangri-la, potevi anche essere più concisa.
potevi dire per esempio, basta vedere i blog della gente che commenta simili paturnie sulla complessità di un testo -ecco, quei blog lì, si commentano, appunto, da soli.
poi, se vuoi, parliamo anche della tenda squarciata dal gesto socratico et coetera, ma credo siano cose che, nel giro dei blog che contano, gliene fotte nulla a nessuno.
[per esempio, le tue puttanate sugli embrioni]
non conosco d’alessandro. ma il commento sulla funzione del linguaggio di Gianluca è decisamente ingenuo.
la filosofia è linguaggio e come tale si reinventa ogni volta. costruisce le proprie categorie e le nomina. e su queste continua la costruzione del pensiero.
il passo che citi – ripeto, mai sentito – sembra dire esattamente questo. quanto influenza la scrittura elettronica il pensiero? e mi sembra la prima domanda che un filosofo si possa porre affrontando l’argomento.
Si Body, è la prima domanda che un filosofo si possa porre ma esattamente nel modo come l’hai posta tu.
Questo era il nocciolo della questione.
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