Mezza Sicilia nella classifica che mette in ordine le città d’Italia in cui si vive più di merda: Messina, Catania, Palermo. E non è colpa della miseria, dal momento che c’è chi sta peggio. Se il popolo siciliano sceglie ma mafia la colpa è degli intellettuali che hanno tradito: giornalisti, politici, baroni accademici, tutta gente da disprezzare senza indulgenza.
“E’ la natura il nemico, altro che madre: per lei siamo solo formiche da schiacciare. Uniamoci contro di lei, viviamo meglio; guardiamo la verità in faccia, dignitosamente, cercando di aiutarci a vicenda. E non facciamo cazzate come dichiararci guerre fra di noi. Siamo seri!”.
Va bene, lui (vedi in fondo) l’ha detto maeglio, ma la sostanza è questa. Cerchiamo, almeno quest’anno, di diventare tutti un po’ più razzisti – razza umana. L’unica cosa vera, l’unica che ci sarebbe anche senza televisione. Tutte le altre – religioni, razze, imperi, ideologie – sono solo sogni di malati.
Sicilia e siciliani. La città più di merda d’Italia? Messina. Su centotrè capoluoghi italiani è quello in cui si vive peggio, si fatica di più a tirare avanti, c’è meno divertimento civiltà e cultura, si scappa appena si può verso lidi migliori. Messina, naturalmente, è in Sicilia. Naturalmente, perché in questa triste classifica noi siciliani siamo i campioni. Messina al centotrè, Catania al novantanove, Palermo al centouno.
Colpa della miseria? Niente affatto. Città molto più povere (Campobasso, Matera, Oristano, Chieti: monti agri e brulli, altro che Conca d’oro) in una generazione si sono evolute, si sono civilizzate, e adesso godono di un moderato benessere a metà classifica. Sono in Europa. La Sicilia sta indietro, quasi col terzo mondo. Sprofonda ogni anno di più nella semi-barbarie e nel sottosviluppo.
Fra tutte le regioni meridionali, la Sicilia è probabilmente la più ricca, o almeno la più dotate di risorse. Ha ottima terra agricola, attorno a Parlermo e Catania (in Calabria la terra fertile è di pochi centimetri appena). Ha acqua in abbondanza, torrenti e fiumi (in Puglia si riuscì a portare un acquedotto solo a fine ottocento). E’
sul Mediterraneo e domina, come Singapore, le rotte di uno Stretto (l’Abruzzo, in fondo all’Adriatico, non ha praticamente porti). Ha industrie modernissime, leader nel mondo, come i cantieri Rodriguez a Messina o la St a Catania (in Sardegna hanno niente). E’ una delle regioni più popolose e grandi (la piccola Basilicata non si vede nemmeno). Ha una tradizione letteraria terrificante (metà degli scrittori italiani sono siciliani). Ha un’autonomia quasi totale, che Bossi non se la sogna nanche quando s’ubriaca. Ha avuto valanghe di soldi dall’Europa, dalla Germania, dall’America, da Roma, dal nord, dal Mezzogiorno, da tutti. Ha avuto politici d’importanza nazionale, e in questo momento l’Italia è governata da una maggioranza basata su sessantun deputati siciliani. Cos’altro? Il sole, il mare, le opere d’arte, i templi greci? Oppure i suoi pubblici servitori, i centoventi giudici, giornalisti, sindacalisti e funzionari che dal ’48 in poi hanno versato senza esitare le loro vite per la Sicilia? Nessun altro paese al mondo ha avuto tanto. Nessun altro paese è così in basso.
La colpa è dei politici? Forse. Ma è fin troppo facile dare la colpa a loro. C’è la democrazia, in Sicilia. Possiamo scegliere. Ma scegliamo i peggiori. La mafia, allora? Certamente. La mafia, dovunque esiste, tira al fondo. Ma l’avevamo quasi sconfitta, la mafia, negli anni Ottanta e Novanta: una generazione di ragazzini democratici e due dozzine di giudici senza paura avevano, a forza e sangue, quasi fatto il miracolo, senza aspettarsi nulla dai governi. Ma alla fine il popolo siciliano, democraticamente interpellato, decretò: “No! Noi vogliamo la mafia! Giù le mani!”.
In tutti i popoli grandi, antichi e infelici – i russi, i polacchi, i siciliani, gli irlandesi – c’è sempre stata una classe di uomini che, in mezzo alla corruzione e al buio più profondi, s’assunsero tuttavia il compito di preservare l’anima della nazione. Tolstoi e Swift scrissero in mezzo all’ingiustizia e al degrado più totali, senza potere, soli. Eppure non rinunciarono mai ad essere orgogliosamente e combattivamente russi e irlandesi. La vasta saggezza anarchica dei Mugiki, l’indomita ironia dei Celti, sopravvissero grazie a loro. Essi si sentivano responsabili verso i loro popoli, non verso i palazzi.
Non si piegarono mai nè ad adulare potenti nè a scrivere male: svolsero la loro funzione con consapevolezza e orgoglio, diventando dunque gli esempi di tutta generazione da cui, in tempi migliori, venne poi la ricostruzione generale. Questa classe, con qualche prosopopea, si definì l’intelligentsia – gli “intellettuali” – e copre in realtà un arco vastissimo, dal famoso scrittore all’operaio evoluto passando per l’università, l’insegnamento, il giornalismo, il dibattito tanto nei bar quanto negli atenei.
Ecco: in Sicilia è esattamente questa classe, quella che ha tradito.
E’ questa che bisogna ricostruire, a partire dai giovani. E’ questa che va disprezzata senza indulgenza – i giornalisti siciliani, i politici siciliani, i baroni accademici siciliani – e additata pedagogicamente al pubblico disprezzo. Si può provare compassione per il piccolo delinquente, il “moschillo” della camorra, il killer mafioso (proveniente magari da quartieri miserrimi, Scampia o Palma di Montechiaro); ma non per gli intellettuali traditori.
A Messina, il principale centro di potere fu per moltissimi anni (fra cosche e logge) l’università. Ebbene, quando uno studente coraggioso, un ragazzo, denunciò questo fatto fu intimidito e isolato non solo dai mafiosi espliciti, dalla destra, ma anche da intellettuali “di sinistra”. Taluno dei quali, come il professor Centorrino, viene oggi portato dai colpevolmente ingenui compagni siciliani come modello non solo di governo alternativo ma altresì di “movimento”. A Catania il monopolio dell’informazione (degno del Cile di Pinochet o della Russia di Putin) ha fra i suoi quadri non solo gl’incolti e rozzi giornalisti “di destra” ma anche quelli, ben più sofisticati e indispensabili, “di sinistra”. A Palermo, coloro ai quali il popolo aveva dato fiducia per la rivoluzione ci misero esattamente due anni prima di dividersi e neutralizzarsi a vicenda per puerili ambizioni personali. Tutto ciò, all’inizio di un anno nuovo, va chiarito, va scritto e andrebbe anzi scolpito a martellate su tavole di bronzo.
Tutto si può dire in Sicilia oggi, tranne che manchi la chiarezza.
Decine di episodi precisi, piccoli e grandi, spalancano gli occhi ai ciechi e le orecchie ai sordi. In aula, il pentito del racket (Fedele Battaglia a Palermo, per esempio) ritratta tutto e fa scena muta.
“Nenti saccio”. Per strada, colui che distribuisce volantini contro la mafia viene aggredito e preso a cazzotti dal cognato del politico mafioso. La tivvù siciliana, il giorno dopo, non intervista l’aggredito bensì, ossequiosamente e in ginocchio, il politico “calunniato”, don Totò Vasa-Vasa.
A Mazara, i bravi pescatori della “Don Ciccio” – quelli che trovarono il famosissimo bronzo prassiteliano del Satiro, e che lo portarono immediatamente al museo, invece di venderlo ai mercanti clandestini – hanno passato il Natale incatenati a un palo per protesta, poiché nessuna Regione e nessuno Stato ha ancora versato loro il compenso che meritavano per il rinvenimento. A Portopalo, invece, i pescatori che aiutarono il giornalista Bellu a rivelare la tragedia dei trecento emigranti annegati si tengono lontani dal paese per non essere linciati “per aver parlato male del paese”, come a momenti stava capitando allo stesso Bellu ad opera dell’incivile popolazione locale.
A Palermo, uno dei massimi manager della Regione – Vincenzo Paradiso, di Comunione e Liberazione – viene indagato dalla Procura non per un imbroglio o un intrallazzo qualunque, ma per l’assassinio del giudice Borsellino. A Cinisi, i cinquemila abitanti chiudono porte e finestre, in segno di assoluta estraneità, al passaggio del funerale di Felicia Impastato: tutti quanti mafiosi dal primo all’ultimo, degni d’esser trattati coi metodi di Mori. A Catania, “pacifisti” e “sinistra” affidano allegramente il comune al manganellatore di Napoli, il repubblichino Bianco: la città, che ospita una delle più tremende basi americane, Sigonella, verrà affidata al più filoamericano dei politici siciliani, colui che contestò perfino Craxi per essersi opposto alla Delta Force proprio a Sigonella.
Ciò detto, perché meravigliarsi per i regali che da Roma arrivano, belli infiocchettati, per Cosa Nostra? Via i soldi per l’antimafia, niente macchine per la polizia, niente più protezione ai testimoni, chiudere le sedi (vedi Agrigento) della Direzione Investigativa Antimafia, difendere Dell’Utri e “amici” e anzi fargli le leggi apposta. Ultima ciliegina sulla torta, l’abolizione dello stesso reato di concorso esterno in associazione mafiosa, che era esattamente il centro dell’elaborazione giuridica antimafiosa, voluto da Chinnici, da Falcone, da Dalla Chiesa, da La Torre e Borsellino e disperatamente contrastato – allora invano – da Carnevale, da Iannuzzi, dal Giornale di Sicilia e da tutti gli altri ingredienti del sistema.
Con profondo – certo, casuale – senso dell’arte la proposta di abolire la legge antimafia non viene affidata a un ex democristiano governativo, nè a qualche ex comunista comprato da Berlusconi: no, l’ordine è raffinato e preciso, ad abolire la legge per la quale i nostri morti hanno lottato dev’essere un uomo d’ordine, un tradizionalista, uno che nei comizi cita Borsellino: è un senatore di An, Luigi Bobbio, quello che ha dovuto aprire la bocca per dire “aboliamo la legge di Falcone e Borsellino“.
Pensate: i due amici giudici che per curiosità s’avvicinano al comizio in cui fra un tricolore e l’altro gli ex fascisti, ora ministri della Repubblica, concionano di giustizia e di governo. Folla che applaude, parole rotonde, ovazioni. Giovanni, che è sempre stato uno scettico, li guarda da lontano appoggiato al muro; ma Paolo, che da ragazzo era nel Fuan, si avvicina sorridendo e incuriosito. “La giustizia? L’ordine pubblico? Bene, e come pensate…”. “Ma lei chi è?”. “Non mi riconosci? Sono Paolo Borsellino!”. “Ah, tu sei Borsellino?”. Sciaff!
Un ceffone. “Tu sei quello che voleva il concorso esterno, eh? Prendi!”. Sciaff! Un altro schiaffo.
Per fortuna il servizio d’ordine s’interpone. “Calma camerati calma! Non accettiamo le provocazioni! State calmi! Sono solo due communisti che vogliono provocare!”. Così i due si allontanano senza ulteriori minacce, con Paolo più silenzioso del solito, le dita del camerata ministro che ancora gli bruciano sulla faccia. “Dai, sono politici, non te la prendere – fa sospirando, dopo un minuto, Giovanni – Politici. Che ti aspettavi? Dai, ti accendo una sigaretta”.
Titolo d’apertura del Sole-24Ore (giornale della Confindustria) il 27 dicembre 2004:
“L’ONDA LUNGA DEI LISTINI”.
segreteria@circoloafrica.org wrote:
Come facciamo ad augurarci Buon anno? E con quale spirito affronteremo il capodanno ormai imminente? Quello che sta concludendosi è un anno che non poteva terminare peggio. Siamo comunque uomini e donne di speranza. Volgendo lo sguardo all’orizzonte non possiamo non immaginarci ancora una volta nello sforzo di erigere un anno migliore di quello terminato.
totò wrote:
Giancarlo wrote:
Luigi Berlinguer: “Se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c’é scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull’ingiustizia.”
Don Lorenzo Milani: “Le leggi vanno onorate se sono la forza del debole; altrimenti bisogna avere il coraggio di dire ai giovani che l’obbedienza non é più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni e che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto”
Ennio Flaiano: “Il fascismo conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi e rassicura la loro inferiorità. Il fascismo é demagogico ma patronale, retorico, xenofobo, sempre pronto a indicare negli altri le cause della sua impotenza o sconfitta. Il fascismo é lirico, gerontofobo, teppista se occorre, stupido sempre, ma alacre. Non ama la solitudine, non ama l’amore, ma il possesso, non ha senso religioso, ma vede nella religione il baluardo per impedire agli altri l’ascesa al potere…”
Cartoline per un amico.
I post che seguono sono tratti dalla maillist di Enzo Baldoni che i suoi amici continuano a tenere aperta per la comunità dei suoi amici.
Info: Franco Gialdinelli
Pino
Donatella
Luca
lo zio Henri
Lo
Marzia
Mattia
Salvatore
Lucia
Lionello Borean
Eugenio
Beps
Drucchia
Stef
Grazie a tutti voi per questa pace e questa serenità nel ricordare un grande uomo, che ancora è così presente in tante belle persone. Questa è la sua magia, come quando era nel mondo fisicamente.
Cecilia
Preferisco pensare con leggerezza a una tua presenza impalpabile ma che c’è e vedo che è sentita da tanti.
Paola
Tiziana
chi
ama
dormire
ma si sveglia
sempre di buon
umore. A chi saluta
ancora con un bacio. A
chi lavora molto e si diverte di
più. A chi va in fretta in auto, ma
non suona ai semafori. A chi arriva
in ritardo ma non cerca scuse. A chi spegne la televisione per fare due chiacchiere. A chi è felice il doppio quando fa a metà. A chi si alza presto per aiutare un amico. A chi ha l’entusiasmo di un bambino ma pensieri da uomo maturo. A chi vede nero solo quando è buio.
giacomo wrote:
gli uomini, e tutti abbraccia
con vero amor, porgendo
valida e pronta ed aspettando aita
negli alterni perigli e nelle angosce
della guerra comune…
chapeau
da circa un anno vivo un po’ la realtà siciliana, per via della fidanzata di augusta… lì in apparenza è tutto bello, solare, genuino, ma poi nonostante l’orgoglio dei molti e la disillusione dei pochi ti rendi conto del crimine continuo del polo industriale, ma soprattutto della totale identificazione tra politicae mafia, soprattutto nel disinteresse che c’è per tutto ciò che è pubblico. questo causa così una cura per la propria casa e un menefreghismo incredibile per tutto ciò che ne sta fuori.
peccato…
potrebbe essere un bellissimo posto e nonostante tutto è comunque da vivere.
complimenti per l’articolo
Biblioteca regionale di Catania, ieri mattina alcuni impiegati chiedono istruzioni su come rispettare i tre minuti di silenzio a mezzogiorno. Il facente veci della direzione (tralascio l’esatta espressione) risponde che non e’ possibile, dal momento che la Regione non ha comunicato nulla. Immagino che qui molti credono che Toto’ Cuffaro conti molto piu’ di Carlo Azeglio Ciampi. Temo che abbiano ragione
non sò perchè si identifichi la sardegna come regione povera…
povera di che?
di industrie…nn è che c fai gran che con le industrie se non hai materie prime… hai nominato oristano…è una delle province + ricche che ci siano in quanto a materie prime…qui la gente vive tranquilla con ritmi da essere umano(a cagliari molto meno)non c’è bisogno di correre..le gare le lasciamo ai milanesi che fanno a gara senza conoscere nè il traguardo nè il premio finale(1bell’esaurimento?)
1volta spiegavo a mia nonna cos’era la new economy..su cosa si basava ..i computer etc..
bè lei sentenziò”niu economi..bah pappariddu su computer o cummenti si zerriada!”
tradotto:”new economy..bah magiatelo il computer o come si chiama!”
e fondamentalmente ha ragione..alla fine parte tutto da lì..dai bisogni primari!
da poco ho visto a rai 3…”W IL MERCATO” si parlava dei mercati siciliani e dei loro agricoltori con il culo x terra..DEVONO vendere i loro prodotti a 10cent al kg e nn ja fanno a viverci..la merce và poi a napoli x esser impachettata x tornare nei mercati di palermo a 2,30 al kg!
che senso ha?
la sicilia sarà anche 1terra bellissima ma bisognerebbe incominciare a capire che il problema della sicilia sono i siciliani stessi!
prima di blaterare studiati per davvero il concorso esterno in associazione mafiosa.
ALLORA LA MAFIA E UNAORGANIZAZIONE CHE CERCA SOLODI AVERE ILPANE PER MANGIARE. TOGLIERE HAI RICCHI CHE NON DANNO HAI POVERI.AVERE PAURASU QUESTO CAMPO NON E DA TUTTI. MA QUESTI CHE SEGUINO QUESTA CAMPO COMBATTINO PER LUMANITA VA BENE, QUELLO CHE IL POPPOLO NON CAPISCE E CHA I VERO CATTIVI SONO I POLITICI, CHE PULISCONO LAMENTE DELLA GENTE E CI FREGANO FINO A LULTIMO CENTESSIMO E LI FA CREPARE. LA GENTE SI DEVE DIFFENDERE DI QUESTI UNUMANI CHE VOGLIONO SEMPREDI PIU, E LAGENTE DEVE FARE CAPIRE A LORO COSA E LA VITA COSA SONO LE SACREFICE PER ASSUMERE UN PEZZO DI PANE.
PIU DI QUESTO NON POSSO DIRE SE NO NON LA FINISCO PIU E magari mi strappano la bocca le cattiver di questo mondo.
ok
ciao misterx