Allora: ci stanno più di un miliardo di futuri consumatori con gli occhi a mandorla che costano poco e lavorano tanto. I diritti umani sono un problema, ma solo per mercati più piccoli; quello cinese (e quello indiano) fanno troppo gola e fanno tornare il capitalista medio allo stato intellettivo di un secolo fa. Caso vuole che proprio in questi giorni due delegazioni, quella tedesca e quella italiana, si stanno facendo in quattro per accaparrarsi commesse, contratti e joint-venture.
Accantonando le idee retrogade dei dazi (ma poi mi dici come si fa ad imporre un dazio alle Volkswagen tedesche prodotte in parte o totalmente in Cina), e non pensando di esportare la democrazia alla Rumsfeld (il rapporto costi-benefici non è un gran che), mi spiegate perchè non sia possibile imporre lo stesso statuto dei lavoratori che abbiamo in Europa alle ditte europee che lavorano in Cina?
Esportare Gino Giugni
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perche’ non hanno piu’ convenienza ad andarci, in Cina?
se si impongono regole da 2004 (quasi 2005) finisce il giochino. Credo che questo valga in generale per tutto questo tipo di industria/mercato che guadagna sul non rispetto dei diritti. Per capire come funziona la cosa credo sia interessante leggere “No Logo” di Naomi Klein
Bravo.
Lo Statuto dei lavoratori fu l’effetto di tre cause, soprattutto:
1. le lotte popolari e operaie in Italia, in un capitalismo ancora “nazionale” e non globalizzato.
2. La paura, da parte dei capitalisti, del comunismo – allora imperante in mezzo mondo – e quindi l’idea che fosse meglio concedere qualcosa alla classe operaia all’interno di un’economia di mercato per evitare il rischio bolscevico” .
3. Il governo democristiano incline alla mediazione e all’appeasment con i socialisti di Nenni.
Oggi invece abbiamo:
1. un capitalismo globalizzato, per cui se in un paese si organizzano lotte operai si trova sempre un altro paese dove la manodopera lavora e tace: occorrerrebbe quindi una difficilissima “globalizzazione” di classe.
2. Nessun modello alternativo – com’era quello sovietico – temuto dai capitalisti.
3. governi poco inclini alle mediazioni di classe perché desiderosi solo di aumentare gli investimenti stranieri sul proprio territorio.
Chiaro ora? È il neocapitalismo, bellezza.
LucaB., capisco che il titolo e il richiamo a Giugni può essere sembrato fuorviante. Ma io ho parlato di statuti europei.
Per cui i tuoi 3 punti iniziali sono veri solo parzialmente. In europa ci sono stati anche altri tipi di capitalismo. Mai sentito parlare di modello renano? Di etica del lavoro e di compartecipazione dei lavoratori?
Ecco, quel modello mi piace molto di più del simil-capitalismo italiano, e mi piacerebbe esportarlo. Perchè è fatto di persone..
Mi sembra che abbiano già risposto. I punti elencati da LucaB sono pensati considerando la storia italiana, ma sono abbastanza generici da risultare veri per tutta l’Europa e non solo, a prescindere dai modelli di capitalismo credo. Comunque sono questioni affrontate da Immanuel Wallerstein in “Il declino dell’America” che a dispetto del titolo cerca di descrivere la fase conclusiva del ciclo del capitalismo moderno di tutto il cosidetto mondo occidentale. Consiglio.
Comunque i cinesi ci arriveranno allo statuto dei lavoratori, è solo questione di tempo. Certo è che nel richiedere il progresso nei diritti individuali il mondo industrializzato si trova fortemente in contraddizione: tutto sommato siamo anche noi a volere, in nome dei nostri interessi, che questo progresso sia assente. E’ non mi sembra una di quelle contraddizioni che si possono superare en passant, come semplice divergenze di opinioni.
Ai cinesi non viene applicato lo statuto dei lavoratori europei neanche qui a casa nostra.
Figuriamoci in Cina.
Credo che quella di San Donnino, qui vicino a Firenze, sia la più grossa comunità cinese al livello europeo. Comprano attività, appartamenti e capannoni industriali, pagano tutto in contanti e non muoino mai.
Non c’è alcuna difficoltà ad individuare le loro attività, grandi capannoni strapieni di cinesi che lavorano 12/14 ore al giorno e quando non lavorano, dormono e mangiano lì.
Bambini compresi.
Per lo più sono pelletterie dove si usano solventi e mastici dannosi per la salute e inquinanti per l’ambiente.
Chiunque può andare a comprare articoli di pelletteria nei loro capannoni, basta suonare il campanello e una “faccia ad orologio” (come li chiama un simpatico imprenditore rampante che ha spostato la sua attività in Cina e qui gira con un Ferrari giallo) ti apre la porta e ti invita ad entrare.
Ma i cinesi sono una comunità silenziosa, non cercano di integrarsi con la popolazione locale, non fanno debiti, non rubano, non spacciano droga e non si ubriacano mai.
Adirittura non muoiono.
Quando un cinese ha la sventura di passare a miglior vita, si fa sparire il cadavere e se ne riciclano i documenti per un cinese nuovo.
I cinesi sorridono sempre e sono tanti educati.
Non c’è motivo di disturbarli neanche qui da noi.
W-P, una generelizzazione di questo tipo sul capitalismo europeo è un po’ scarsa. Le rivendicazione (giuste) della sinistra italiana degli anni 60 e 70 erano già cultura nei paesi mitteleuropei.
Eppoi sulla “fase conclusiva” non mi ci farei tante pippe mentali. Il capitalismo è un sistema darwinistico; si evolve a seconda delle necessità ambientali. Negli anni trenta in US è diventato social-statalista a causa della crisi del ’29.
Dopo il 1989 si sta riposizionando. A seconda delle condizioni dei prossimi anni, si riadatterà.
Più interessante è il discorso della contraddizione (morale) tra l’esportare il lavoro perchè ci conviene, perchè lì ci sono meno tutele del lavoro.
Ma poi in fondo mi piacerebbe rispondere ad un’altra questione: chi è che tende a scegliere le cose che costano di meno? I capitalisti o i consumatori indotti a consumare?
Fabrizio il grado di approfondimento dell’argomento è funzionale a rispondere alla domanda, e visto che nel porla non è che hai spaccato il capello le risposte di LucaB sono più che sufficienti come inizio ;)
Il miglioramento delle condizioni salariali si ha quando all’interno di un paese si esaurisce quella riserva di forza lavoro non industrializzata che man mano assicura il ricambio di manovalanza sottopagata che assicura gli alti profitti. Esaurita questa e per il contemporaneo effetto delle rivendicazioni i salari si livellano: ciò si verifica in situazioni in cui comunque l’economia tira ma si è stabilizzata. Quindi c’è una fase di redistribuzione dei redditi e dei diritti e però anche una conseguente riduzione del margine di profitto. Alla lunga l’ottenimento del benessere diffuso nella società provoca proprio la delocalizzazione degli impianti altrove. Presumibilmente succederà lo stesso in Asia e in Cina non so nell’arco di quanto tempo.
Le tesi di Wallerstein non sta a me difenderle e le ho citate solo per introdurre il suo libro. Declino o meno si occupa dei cicli del capitalismo ed è un lavoro di analisi interessante.
Sulla contraddizione, non è affatto morale è materiale e proprio per questo difficilmente aggirabile. Non è che importi molto se a decidere la direzione generale siano i consumatori, gli imprenditori o gli speculatori: il nostro sistema di vita si basa su quel surplus che di volta in volta il capitalismo si assicura riadattandosi come dici tu. Se questo viene a mancare crolla tutto, comprese le democrazie e le libertà individuali che vorremmo esportare altrove. La Bosnia-Erzegovina è a qualche centinaio di chilometri e l’unica cosa che ci ha risparmiato veramente un esito simile nell’ultimo decennio è solamente la ricchezza.
ciao
Vis l’esplosione della loro economia sta provocando questo fenomeno di arrembaggio particolarmente eclatante negli ultimi anni. Quì a Milano comprano intere zone con le stesse modalità.
Sull’integrazione però tutto questo porta a un’inversione rispetto al loro tradizionale isolamento, è inevitabile. Sono tantissimi i segnali in questo senso: ragazzi di seconda e terza generazione cresciuti nelle scuole italiane; esercizi che vengono assorbiti al di fuori delle aree storiche (le varie chinatown) e di cui sempre più spesso non viene cambiata la destinazione d’uso (non vengono trasformati in ristoranti cinesi); partecipazione dei cinesi alle battaglie sindacali (anche questo sabato a Roma).
ciao
W-P, la frase “Il miglioramento delle condizioni salariali si ha quando all’interno di un paese si esaurisce quella riserva di forza lavoro non industrializzata che man mano assicura il ricambio di manovalanza sottopagata che assicura gli alti profitti” manca del pezzo sul progresso tecnologico. La somma dei salari migliora anche perchè alcune attività vengono meccanizzate.
io credo che l’ingresso della cina nel mondo della produzione industriale/capitalistica sarà la causa della fine del mondo
o sociale (hai voglia a finire la forza lavoro di riserva in un Paese di un mld 350 mln di abitanti)
o ambientale
la cina sarà il sovrappiù che farà schiattare questo porco mondo
che non può sopportare un colpo simile
http://blog.repubblica.it/rblog/page/FRampini/20041122#200411327123436
“Nei prossimi dieci anni dai 100 ai 200 milioni di cinesi emigreranno dalle campagne alle città. Oggi la “popolazione fluttuante” di immigranti illegali che affluiscono stagionalmente verso le città – o ci vivono in modo fisso ma nella semiclandestinità in quanto non rispettano le norme sulla residenza – è stimata fra i 150 e i 300 milioni. E’ l’equivalente della quinta o sesta nazione mondiale.”
Ce ne sono ancora di sottosalariati da sfruttare ;)
ciao
io dico che Fabrizio deve fare il Presidente del Mondo. Lui sì che ha le idee chiare. Statuto dei Lavoratori in Cina. Certo. Ed anche pornografia libera in Arabia Saudita. Perché no?
Non tutti i bambini cinesi vanno a scuola e anche quelli che frequentano le nostre scuole, non vengono certo incoraggiati a socializzare con i propri compagni.
Tuttavia l’integrazione è ineviatabile ma la loro “economia” è molto più rapida della loro integrazione.
Molte aziende aprono in Cina attratte dai maggiori utili (l’imprenditore produce per guadagnare, altrimenti i soldi se li tiene in banca e vive bene lo stesso).
La vera concorrenza la fanno i lavoratori cinesi che “rubano” il lavoro al resto del mondo.
La riforma del lavoro per cui Biagi è morto, vista in quest’ottica diventa una tutela, non un attacco per lavoratore italiano.
Per il quale il vero pericolo non è il datore di lavoro, ma la concorrenza di lavoratori che guadagnano il 75% in meno.
Caro Biagi,
ti ringrazio di avermi resa precaria perchè così adesso anche io,come quegli stronzi di cinesi, posso lavorare 12 ore al giorno guadagnando come quando ne lavoravo 4.
Caro Fabio: effettivamente non è che hai spaccato il capello in quattro, hai posto la questione in un modo un po’ populista. Ci sono eccellenti (lo ripeto, E C C E L L E N T I) ricerche e lavori, in gran parte della Banca Mondiale (che non è “stronzo capitalista”) e di economisti con i controcoglioni che spiegano come l’imposizione di statuti occidentali da un giorno all’indomani sia la peggior cosa che possa capitare ai lavoratori cinesi.
Quando una lobby anticapitalista (sicuramente capeggiata da assidui lettori di “no logo”) propose di non comprare prodotti di imprese europee che fabbricavano in malesia utilizzando lavoratori minori, nessun economista di buon senso ha sorriso. Dopo due anni, i rapporti dell’Unicef sulla crescita prostituzione minorile in malesia facevano accapponare la pelle. Tutto pubblicato dalla Banca Mondiale: se i minori lavorano è perché la famiglia è povera; se la Nike licenzia il minore, questo non va a scuola, ma sulla strada. Ora la Banca Mondiale sovvenziona programma a lungo termine di riduzione delle ore di lavoro ai minori e sostegno alle famiglie, non certo l’imposizione dall’oggi all’indomani dello statuto dei lavoratori. Ma poi potete dirmi che gli economisti sono tutti al soldo delle multinazionali, tutta gente senza cuore, ma allora non credo valga la pena rispondere.
DNute
Pardon: caro Fabrizio, …
la storia dei lavoratori è sempre fatta di
minestre e finestre
e se qualcuno se ne lagna
ti pisciano nella minestra e ti mettono cocci di vetro sotto la finestra
così impari
Raga, non è per fare lo sborone, però se mi levate dai coglioni i sindacati – come nelle zone sperimentali della Cina, quelle che tirano tutto il resto dell’economia dell’area, dove sono vietatissimi – e la 626, anch’io in un paio d’anni ti metto giù una crescita a 2 cifre, qui in azienda.
Intanto: via tutte le sicurezze dalla macchine; mi rallentano la produzione e sono inutili. Se un operaio di ferisce, lo licenzio e ne prendo un altro: tanto, è pieno di istituti tecnici qui intorno.
Poi: ingegneri italiani neanche a parlarne. Vogliono fare la bella vita. Meglio i rumeni ed i croati, che fino a ieri raccoglievano fragole.
Poi: si concede una settimana di ferie l’anno. A tutti. E se uno si ammala o se avesse da seppellire la madre, prende ferie, basta con tutti ‘sti permessi.
Poi: voglio che lo Stato finanzi a fondo perduto la costruzione di una turbogas che serva me ed altri 10 o 15 utenti nella zona. Così pagherò molto meno corrente e metano.
Poi: voglio uno scalo merci ferroviario a 150 metri dalla recinzione.
Poi: voglio uno svincolo autostradale in zona e che gli autoveicoli pesanti possano viaggiare financo a Natale, se mi serve (dato che non ho magazzino).
Poi:
Poi:
Poi:
La riforma Biagi è una delle peggiori catastrofi sociali e politiche che poteva colpire questo paese.
I risultati fallimentari sono già chiari ed evidenti: quasi un milione nuove partite IVA in più e centinaia di migliaia di persone che lavorano “a progetto”. Ma non sono Architetti, Avvocati o liberi professionisti: sono i nuovi precari sparati fuori da qualsiasi tutela, anche minima, senza prevdienza e assistenza, senza alcun vantaggio tipico del lavoro professionale, quello vero.
Milioni di persone senza un futuro. Chiedetelo alle banche, che stanno preparando offerte di pensioni intergrative, assicurazioni e mutui proprio per questo mercato di persone perse nel limbo del mondo lavoro. Si specula anche sulla sfiga. Ecco cosa insegnano alle Business School: tutto è opportunità: basta saperla cogliere.
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La scuola primaria è obbligatoria, non so se vi hanno avvertiti giù di là :) Sull’incoraggiamento a socializzare non saprei, hai un/a figlio/a in età scolare con compagnucci cinesi? Dal poco che so, questi bambini incotrano effettivamente delle difficoltà di integrazione, ma mai sentito cavolate sull’incoraggiamento a non socializzare.
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Cioè materialmente che significa questa frase Vi, me la rispieghi? Tempo cinque anni e vedi come fioccano le coppie miste, altro che economia, anzi proprio grazie all’economia.
ciao
Ragazzi rispetto ogni vostra opinione ma, il senso del mio intervento era il timore è che per il futuro ci attenda ben peggio di quella che oggi sembra la catastrofe sociale.
Poi non so, io la partita IVA l’ho aperta a 18 anni (22 anni fa) in due occasioni ho rifiutato l’assunzione rischiando di offendere chi me la stava offrendo.
Forse per questo vedo la faccenda un po’ diversamente..
Comunque la risposta più esatta l’ha data FranCiskje: non avviene perchè il trend è quello di restringere le garanzie da noi, quindi altro che estenderle altrove. Ma comunque i cinesi ci arriveranno da soli, coi loro tempi, colla loro autonoma azione che fin’ora ha funzionato anche sul resto. Sostanzialmente non hanno bisogno di noi, è questa la loro pecularità e ciò che ci spaventa.
ciao
si, ho una figlia di otto anni che ha compugnucci di classe di tutte le nazionalità.
compreso un bambino cinese che ha l’autorizzazione, da parte dei suoi genitori, di tornare a casa da solo.
Nessuno ha mai visto i genitori di questo bambino e invitato alle feste, non è mai venuto così come alle gite.
Non parla bene in italiano perchè i suoi genitori parlano solo cinese, però è un genio in matematica.
Sul discorso della socializzazione non generalizzerei.
Bagnolo Piemonte è un piccolo centro alle porte della Val Pellice (in provincia di Torino, verso il Queyras francese); lì c’è la più grande comunità italiana di cinesi in rapporto alla popolazione locale: per dare l’idea, un po’ come se a Milano ce ne fossero 350.000. Molti lavorano nelle cave di “pietra di Luserna”, gli altri sono posatori di “sampietrini”. I primi sono arrivati una quindicina di anni fa e l’integrazione è avvenuta senza grossi problemi. Un po’ di scazzo iniziale c’è stato, ma solo perché erano – obiettivamente – più bravi di “noi” nel loro lavoro.
La domenica mattina, all’uscita dal Tempio (la zona è un baluardo valdese), nei capannelli che si creano davanti alla pasticceria della piazza principale c’è sempre qualche cinese che chiacchiera con gli italiani. Sarà che, vivendo qui, i problemi che hanno sono più o meno gli stessi che abbiano noi.
Si sono guadagnati il rispetto della popolazione locale, anche grazie ad una certa disponibilità e flessibilità sul lavoro, che comunque si fanno pagare. Rispettano le leggi del nostro paese, mandano i figli a scuola ed alle gite scolastiche, donano il sangue, le piastrine e il midollo osseo; pagano le tasse, scioperano, comprano casa, auto, televisione al plasma e videotelefonino con gli stessi strumenti degli italiani (con i debiti, cioè: a differenza della Toscana, pochi di loro sono imprenditori), partecipano ai consigli comunali, denunciano i crimini.
Cioè, per dire, sono diversi da noi, ma abbastanza uguali.
Piuttosto è nei termini delle tradizioni che rimane una certa separazione: salvo che in casi estremi, preferiscono farsi curare con la medicina tradizionale. Ci sono due case di appuntamenti – nella zona – dove lavorano “ragazze” cinesi e dove solo i cinesi possono entrare. Non si sposano con gli italiani. Parlano mandarino, tra loro, perché è oggettivamente complicato parlare l’italiano, anche dopo averlo imparato. Evitano come la peste i ristoranti cinesi.
E poi, non è vero che “non muoiono mai”: quelli che arrivano sono giovani, nella maggior parte dei casi (ad differenza, per esempio, dei maghrebini), e se – malauguratamente – sanno di dover morire a breve, tornano a morire in Cina. Ipotecando la casa, magari, ma lo fanno.
Non so: tutto ‘sto pippone era per dire che generalizzare è un po’ pericoloso, perché porta a classificare le persone secondo criteri differenti da quelli accettabili (almeno per me). Insomma là – senza voler dare a nessuno del razzista – si rischia un po’ quello a generalizzare, ecco.
HO letto tante cose molto interessanti su questi post circa i cinesi.
Ma nessuno ha mai fatto chiarezza sul come/quando /perchè realizzano tante attività con una facilità sbalorditiva ???
Perchè io non riesco ad aprire un piccolo bar (economicamente??) e loro comprano in contanti ???
Chi indaga su questo ????
Poi fate voi ma io la carne in un ristorante cinese cerco di evitarla !!!
Il modello renano, caro Fabrizio, è in vacca da anni. In Germania oggi gli operai accettano aumenti di orari a parità di salari salario per evitare – o anche solo ritardare – le dislocazioni. Prevale semmai il modello toyotistico, buono però solo finché gli azionisti non hanno bisogno di un downsizing per ottenere una fiammata in Borsa, e allora buonanotte alle strombazzate “motivazioni”.
La natura espansiva del capitalismo e l’assenza di modelli alternativi oggi producono solo deificazione del profitto. La “governance” del neocapitalismo sognata da Giddens e dalla London School of Economics non è mai nata.
Altro che esportare diritti: siamo noi a importare modelli di produzione “cinesi”, dove l’uomo è funzionale al capitalismo e non viceversa.
Personalmente credo che solo solo una critica esistenziale del capitalismo può aiutarci a uscire dall’incubo in cui ci stiamo cacciando, visto che la critica economica (cioé marxista) ha fallito.
Per quanto riguarda la “provincia” Italia, prendersela con la legge Biagi è magari giusto, ma un po’ riduttivo: non fa che portare un po’ più in là (ma nenchtanto) l’iperflessibilità del pacchetto Treu (Ulivo) comunque indirizzato a un adeguamento alle immutabili incontestabili (e sommamente ideologiche) leggi mondiali della concorrenza e della flessibilità.
ps: scusate il tono apodittico, ma nella brevità di un post viene così… ;-)
LucaB. ha parlato come un libro stampato
ha detto ciò che penso meglio di come lo direi io
Tommaso non piace neanche a me generalizzare.
Mi piacerebbe poterlo fare molto meno, ma le comunità cinesi sono molto numerose e silenziose.
Di loro si davvero poco.
Alla fine la risposta esatta l’ha data Dnute (che ruolo da professorino del ciufolo che mi sono dato): nella situazione attuale non si possono estendere i diritti alle zone più povere, perchè non reggerebbero il contrasto tra il capitalismo selvaggio e i diritti del lavoro.
Ma, a parte questa spiegazione procedurale, c’è da dire che su questa inestendibilità c’è chi ci guadagna, immoralmente.
@LucaB, guarda che le prime parole che hai scritto tu sono il modello renano. Gli operai che fanno parte della fabbrica ne condividono e sono compartecipi delle scelte. La dirigenza è onesta e non prova a fregarli. E quando c’è da tirare la cinghia, la tirano TUTTI.
Imporre alle ditte straniere che producono in Cina di applicare le norme che regolano i diritti dei lavoratori in Europa mi pare assurdo . Tali ditte si troverebbero estromesse dal mercato causa maggiori costi a beneficio delle aziende completamente cinesi . Altro discorso e’ se tutte le aziende in Cina fossero obbligate a tutelare i diritti dei lavoratori .