Stavolta tutti i cambiamenti si concentrano nel giro di una settimana o poco più. Là si decide che cosa dev’essere l’America, qua si danno le ultime pennellate all’Europa. Il mondo com’era prima comunque non tornerà più
Interrogazione di storia. “Allora, sentiamo: cos’è avvenuto fra ottobre e novembre del 2004?”. “Ehm… dunque…”. Sfiga. Ma proprio questo dovevano andare a chiederti, povero ragazzo mio del 2054? Cosa credono, che uno si può ricordare così tutto quel che succede in un Cambiamento di Mondo? Va bene: impreparato. Ma non è colpa tua.
Questa infatti è una di quelle settimane in cui tutto succede tutto in una volta: nel giro di pochi giorni si concentrano la Rivoluzione Francese, le Guerre Puniche e la Grande Inter di Helenio Herrera. Per quanto i contemporanei non se ne accorgano, le carte si rimescolano tutte e nulla resta come prima.
L’impasse da cui tutti i casini hanno inizio – quello in Palestina-Israele – arriva, dopo molti anni, al punto decisivo. Dal lato israeliano persino uno come Sharon è costretto a “rendersi conto”, a decidersi a abbandonare almeno una parte della preda. Ciò subito scatena un circolo virtuoso – la società israeliana è ancora abbastanza democratica da cogliere brecce del genere e infilarcisi al volo – e segna un non-ritorno. Dal lato palestinese il ritiro di Arafat (dopo centinaia di sconfitte e una vittoria sola) mette tutti di fronte alla nuda realtà: dopo di lui, o c’è un accordo o c’è la guerra globale di religione. Arafat, con la sua unica vittoria – l’identità nazionale, la Palestina – era l’ultima chance di tenere il conflitto in un ambito risolvibile e locale. Questa chance può essere raccolta o gettata via per sempre, esattamente ora.
Le elezioni in America sono le più importanti dagli anni trenta. Si sceglie fra l’impero cosciente di sé – e dunque non-democratico per natura – e il ritorno alla nazione. Tutte le scelte del genere finora hanno portato alla prima alternativa. E hanno avuto – in termini di decadenza interna e di aggressività internazionale – gli stessi decorsi e gli stessi esiti finali. Prima di quello di Berlino era crollato il muro di Roma, quello di Filippo secondo, quello della Bastiglia… Il muro americano, per quanto moderno ed elettronico sia, non è che uno dei tanti. Ma come si fa a sceglierlo, allora? Perché acclamare Cesare, perché votare Bush? Perché tanta massa di lemming felici?
Un tempo si pensava che ciò avvenisse per le eccezionali capacità dei tiranni (ma questo oggigiorno è impossibile, basta guardare Bush; e anche Hitler, in fondo, era un mediocre) di “trascinare le masse”. Più scientificamente, un ebreo tedesco di cui non ricordo il nome ha asserito che in fondo è tutta questione di economia, di padroni che vanno e vengono come terrificanti dinosauri sulla faccia della terra. Questa è già più credibile: ma non basta a spiegare l’idiozia, che è una parte notevole del meccanismo.
Non c’era alcun bisogno di invadere la Serbia e le sue quattro pecore, nel ’14, mentre a tutti i padroni tutto andava così bene, né di invadere l’Iraq ora. Eppure. Lo scemo del villaggio globale – Cheney, Bush, Guglielmone, Caligola: indifferente – allunga gioiosamente la mano a prendere la carta più in basso, e l’intero castello cade. Si vede che era instabile già prima. Ma allora perché scuoterlo, idiota? Perché ridi tutto felice mentre lo fai? Per invidia, per noia, per rozzezza, per plumbea insoddisfazione di sè. Gli antichi avevano una parola per questo e lo chiamavano hybris. Noi no, poiché non è nei nostri ambiti di riflessione.
Il vero risultato delle elezioni in America, probabilmente, non sarà la vittoria del fascista o del liberale, ma la non-vittoria di tutti. Un paese spaccato esattamente in due, con le sue semi-unità inconciliabili, con forse una nostalgia del passato ma una impossibilità fisiologica di ritornare insieme. Non c’è più solo un Nord e un Sud (che già a suo tempo bastò a provocare una guerra civile), nè solo una sinistra e un destra. Al fondo c’è un Ricchi-e-Poveri, brutalmente. Un milione di carcerati per miseria, un milione di milionari: nè Marx nè Brecht nè Dickens immaginarono mai una società così spaccata. Ciascuna di queste due parti è uno stato, e lentamente e progressivamente se ne va rendendo conto. Dietro l’elegante Kerry c’è la ragazza-madre di Harlem, dietro il cristiano Bush c’è il vertice blindato della piramide sociale. Possono dialogare Kerry e Bush, ma non la ragazza-madre e il miliardario.
Mentre l’America – già stati uniti: ora divisi – si contorce così, da questa parte dell’Oceano, con esatto parallelismo, spunta l’Europa. La firma della costituzione – una brutta costituzione – è avvenuta in una cornice minimalista, fra due dozzine di notabili perbene, fra sorrisi impacciati e polemiche di profilo assai basso (il padrone di casa che approfitta per far guadagnare qualche soldo al suo fotografo, e così via).
Questa “mediocrità”, tuttavia, è ciò che – dall’altra parte dell’oceano – più fa paura. Niente pennacchi e sciabole, questa volta, niente militarismi infantili. Solo la lenta crescita di un potere più forte – culturale, economico, prima o poi anche “militare” – nel centro storico del pianeta, senza che si riesca a rallentarlo in alcun modo. L’avvenimento più importante del dopo-Iraq (poiché nel dopo-Iraq siamo: Bush non ha funzionato) probabilmente sarà l’inizio del pagamento del petrolio in euri. Un’altra tappa. Poi verrà la force de frappe europea. Poi l’“european way of life” sui media americani. Poi gli accordi euro-brasiliani, euro indiani, euro-cinesi… Non c’è bisogno di una grande politica, per tutto questo: è semplicemente l’evoluzione naturale di quel che già c’è ora.
Chissà: se riusciremo a superare questi anni d’imperatori pazzi e imam furiosi, forse – se il pianeta fisicamente sopravvive – fra una ventina d’anni ritorneremo alla nostra vecchia civiltà occidentale. La razionalità, la non-retorica, la tolleranza scettica, il minimalismo; la joie de vivre, il sorriso. E l’aiuto reciproco, interessato, al posto della selvaggia recita dell’“impero”. In questo caso, è probabile che a scuola non vi chiederanno i nomi di Bush e Kerry ma quelli di Prodi e Barroso. “Chi era la delegata della Lettonia il giorno che fu firmata l’Europa? Come, non lo sai? Di nuovo a vedere quegli stupidi film di cow-boys, invece di studiare!”
Manuel Barroso era l’uomo più cattolico del Portogallo. Una carriera pazientemente costruita sui vescovi, sui rosari e sulle opere pie. “Vota Barroso, el voto religioso”. Adesso, nelle notti di Lisbona, s’aggira come un pazzo sbraitando bestemmie orribili ai lampioni. Persino le senhoritas notturne si fanno il segno della croce quando lo vedono arrivare. Si ode una sghignazzata diabolica e poi, sotto un fanale notturno, i pugni al cielo, appare lui. Quello che proferisce non si sa (nessuno ha mai avuto il coraggio di riferirlo), ma i lisbonesi sono assai preoccupati che possa ripetersi un terremoto tipo quello di Candido del Settecento. Intanto, nella sua lontana cappella, l’inconsapevole Buttiglione prega. “Difendimi dalle donnacce, difendimi dai gay…”. Con un sorriso serafico, perché a lui della poltrona in realtà non gliene importa niente (e figuriamoci di Barroso). Ora sappiamo come hanno fatto, Voltaire e Diderot, a far scoppiare così rapidamente la Rivoluzione francese. Doveva esserci un Buttiglione da qualche parte.
Ciampi porta fortuna (l’altro giorno un livornese ha vinto non so quanti milioni alla Sisal), è simpatico, vuol bene all’Italia e soprattutto il suo successore è Pera. Perciò auguriamoci che stia sempre bene, che magni e che beva e che tifi Livorno molto a lungo. L’ideale sarebbe di vedercelo, tutto compunto e sghignazzante, ai funerali di Stato di quel baciapile franchista (“L’Europa congiura contro di noi”) di Pera. E ottanta sagrestani col candeliere, a destra e a sinistra del feretro, a cantare divotamente il Te Deum. (Dopo avere ammazzato cento milioni di indios, dieci milioni di eretici, sei milioni di ebrei e zingari e un milione di gay, questi ancora si offendono se gli si dice di chiudere il becco e non insolentire più).
Stile. “E’ stato redatto per l’intero gruppo Rai ed è pertanto vincolante, senza alcuna eccezione per tutti gli esponenti aziendali e collaboratori delle società appartenenti al gruppo, che costituiscono quindi i destinatari del presente codice ed ai quali si intendono applicabili per quanto di ragione i contenuti del documento stesso…”. Ma per scrivere un italiano così bastano Veneziani e Alberoni o ci si deve mettere pure la Moratti?
Roma. Cerimonia per la firma della nuova costituzione europea. Uno dopo l’altro hanno firmato i rappresentanti di Gran Bretagna, Lituania, Francia, Germania, Danimarca, Polonia, Spagna, Irlanda, Ungheria, Portogallo, Toscana, Due Sicilie, Piemonte, Parma, Lucca, Lombardo-Veneto e altri Stati.
Corriere Veneto. “Celebra novecento anni l’Arsenale di Venezia. L’antica fabbrica di barche…”. Barche? Ehi, va bene che ora non siamo più veneti ma nordestini: ma insomma, chiamare barche sette secoli di galee di San Marco…
La guerra contro i bambini. Un bambino (palestinese/israeliano) è stato ucciso (da una pallottola/da una bomba) ad opera (di soldati israeliani/di kamikaze) nel nord della Cisgiordania. Il bimbo, che si chiamava (Ibrahim/ Samuel) e aveva dodici anni, si trovava nei pressi della sua scuola. Cancellare quello che non interessa.
Un terremoto storico in Giappone, di quelli che si verificano ogni secolo o due. Eppure, ci sono stati “solo” venti morti. Qualche centinaio d’anni fa, un terremoto del genere – in cui i morti si stati migliaia, come formiche – sarebbe finito nei poemi epici o avrebbe dato luogo a nuove religioni. Adesso viene affrontato razionalmente, non ancora ad armi pari, ma quasi. Fra tutte le cazzate politiche, le prepotenze, le guerre idiote, il potere, i miti, siamo tuttavia riusciti a trovare il tempo – noi, razza umana – di affrontare nemici del genere e di tenergli testa. Se prima o poi riuscissimo a lasciar perdere le cazzate e a concentrarci su questo… Il resto, sul blog di Leopardi, sotto il post Ginestra.
Memoria. Mercoledì 3 alle 16.30, al Centro Zo di Viale Africa a Catania, incontro pubblico in ricordo di Nino Recupero. “L’impegno culturale e civile di una vita”. Saranno presentate le iniziative a cura della famiglia e degli amici per ricordarne la figura e i percorsi di vita.
Marco R. wrote:
Rosalba A. wrote:
Lia Granelli wrote:
Gianluca wrote:
No, in Sicilia non si ribellano. Persino alle Eolie (dove non c’è mai stata mafia e il clima umano è tutto sommato mite e civile) la popolazione subisce o disinteressata o rassegnata. Quanto ai politici siciliani, salvo una piccola minoranza di sinistra (con la lodevolissima eccezione dell’assessore Granata, di An) non si può dire che la conservazione dell’ambiente sia fra le loro preoccupazioni. Una soluzione potrebbe essere di sottrarre la tutela ambientale della Sicilia alla Regione Siciliana e affidarla a un’apposita commissione della Regione Valdostana, o del parlamento danese, o del governo del Costa Rica. Nessun siciliano, insomma, dovrebbe essere autorizzato a occuparsi di ambiente in Sicilia. Nessun politico siciliano dovrebbe essere autorizzato ad avvicinarsi a più di duecento metri da qualunque sito artistico o bellezza naturale. Appositi reparti delle Nazioni Unite, con l’ordine di sparare a vista, sarebbero incaricati di far rispettare il decreto.
Io non vedo l'”abbandono della preda” da parte di Sharon come chissà quale passo avanti. Via Leonardo scopro un’interessantissima intervista all’avvocato personale di Sharon (http://www.haaretzdaily.com/hasen/pages/ShArt.jhtml?itemNo=485929&contrassID=1), che da il fondamento ai miei dubbi. I quali dubbi sono presto detti: non vorrà mica il buon Sharon fare un gesto di buon cuore, con la benedizione dello zio Tom (e di chiunque vinca), perché nessuno domani possa chiedergli di più (che so io, lo stato di Palestina, ad esempio)?