Non era un mafioso. Era un amico di mafiosi. Questa, dopo vent’anni di processi, è la verità giudiziaria sul più importante politico italiano. Se c’è da festeggiare, festeggiate. Noi preferiamo riflettere sul suo mondo
Andreotti. Il senatore Giulio Andreotti, più volte capo del governo italiano, non è iscritto a Cosa Nostra. Ha invece intrattenuto “personali, amichevoli relazioni con esponenti di vertice di Cosa Nostra”. Ha commesso “reato di partecipazione all’associazione per delinquere”, “concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980”, che oggi è semplicemente “estinto per prescrizione”. La cessazione del comportamento criminoso dopo una certa data e la sua successiva disponibilità a collaborare con la giustizia ne fanno, tecnicamente, un “pentito”. Non un mafioso pentito, ma un amico-dei-mafiosi pentito. Se questo basta per festeggiarlo, allora festeggiamolo pure.
Memoria. La lotta contro Andreotti e il suo potere non è stata, come credevamo allora, la crescita civile e la progressiva presa di coscienza di tutto intero un popolo, ma la battaglia di una combattiva minoranza azionista – a quei tempi si diceva giacobina – della società siciliana. Non perché fosse particolarmente diffusa, in Sicilia, una qualche forma specifica di “cultura mafiosa” (quella, se mai è esistita fuori dalla letteratura, è morta con la civiltà industriale), ma perché il dominio mafioso in Sicilia corrispondeva perfettamente alle esigenze profonde – ordine, illegalismo, pace sociale, mantenimento dei piccoli e grandi privilegi, parassitismo sociale – della borghesia siciliana. Nel complesso d’Italia, identiche esigenze erano soddisfatte con meccanismi analoghi, ma con un meno frequente ricorso all’omicidio. Fino alla fine degli anni Settanta, il potere mafioso è stato semplicemente la variante meridionale dell’andreottismo, subalterna sia ai poteri politici de jure (la Democrazia Cristiana) che a quelli de facto (l’ambasciata americana e le massonerie).
Il periodo andreottiano, con la sua sub-variante mafiosa, è terminato in un momento imprecisato verso la fine dei Settanta, quando si sono verificate in rapida successione le seguenti evenienze, del tutto – benché in fondo logiche – inaspettate: il cambio di velocità della politica americana nel Mediterraneo (di lì a poco, Comiso); l’infiltrazione di personale specializzato nelle logge massoniche più potenti, e in ispecie nella P2, e la loro conseguente utilizzazione a fini non più clientelari ma terroristici; l’allevamento di tutta una nuova generazione di personale politico eterodiretto e la creazione artificiale di nuovi indirizzi politici (il Midas e il “nuovo corso” del Partito Socialista: ogni resistenza al quale venne stroncata dal rapimento del figlio del vecchio leader De Martino); e infine, nel campo della mafia, l’eliminazione dei vecchi “uomini di rispetto” e la crescita di nuovi boss legati non più solo ai politici ma anche ai servizi segreti. Sono gli anni in cui – per fare un esempio significativo – a Catania emergono improvvisamente, da un momento all’altro e senza alcun radicamento apparente, politici come Andò (commissione P2, servizi segreti, Partito Socialista), mafiosi come Santapaola (personaggio minore di un clan periferico), imprenditori come Graci o Rendo (appalti pubblici, velocissime accumulazioni) e diventano rapidissimamente e del tutto inspiegabilmente protagonisti di rilievo nazionale. Sono gli anni di svolta, e Andreotti comincia a decadere già da allora (sarà utile ancora, sul piano internazionale, come garante dello schieramento filoamericano dell’Italia; ma anche quest’ultima utilità verrà a mancare, ovviamente, alla fine della guerra con l’Unione Sovietica).
Sono anche anni di lotta: man mano che diventa – che è obbligato a diventare – più feroce, il potere mafioso incontra un’opposizione popolare crescente. Cose che prima erano vissute come “normali” incontrano improvvisamente una resistenza inaspettata. Il popolo siciliano – allora non eravamo ancora “la gente” – diffidente, passivo, abituato da millenni a farsi i fatti suoi, scopre con meraviglia alcune bellezze civili e, timidamente, vi mette mano. Una scoperta del vivere, a ripensarla ora, adolescenziale. È una scoperta costosissima, perché ogni passo fuor della gabbia costa sangue.
Ma per alcuni anni, con timidezza ed entusiasmo, i neo-cittadini siciliani vanno avanti. “Sicilia quanta gloria / E chiantu e cori ruttu / La mafia e li parrini / t’hanno vistuta a luttu…”. Da Eboli in su, solidarizzano alla televisione. Dell’antimafia a Catania alla fine è rimasto questo, che i ragazzini pagano il biglietto salendo sull’autobus; mi cedono il posto vedendomi zoppicante e col bastone, si alzano sorridenti e gentili. A volte penso che già per questo valeva la pena. Abbiamo vinto, contro Andreotti abbiamo vinto noi.
Sono passati gli anni, e dopo Andreotti hanno votato Berlusconi. Dopo i Borboni i Savoia, altro che Garibaldi. E d’altra perché usare Totò Riina, quando basta la tivvù? Una televisione vale mille lupare. Ordine, illegalismo, pace sociale, mantenimento dei piccoli e grandi privilegi, parassitismo sociale: tutto ok. Non c’è più bisogno di sparare.
Una cosa di cui non c’eravamo pienamente accorti allora, o meglio ce n’eravamo accorti ma non nelle budella, non fino in fondo, è questa: che uomini son venuti fuori da queste Catania e Palermo, da questo popolo gramo, da questa Sicilia. Io non mi ero mai accorto, in realtà, di avere conosciuto Borsellino. Avevo conosciuto un buon giudice, io che facevo il giornalista, in un posto che si rischiava la pelle; tutto qua. O Calogero Zucchetto, o Montana, o Cassarà. Storie di quotidiano lavoro, persone che s’incontrano, routine; cerimonie di Stato, quando tutto – alla fine – era concluso. Invece, erano eroi greci. Non roba da monumento, non da telegiornale: da poeti. “Voi che siete caduti per l’Ellade…”. “Se passi per la mia città, straniero, dìgli che noi siamo caduti qui, obbedienti alle leggi…”. “Mio figlio, Robertino Antiochia, che faceva il poliziotto a Palermo…”. Da una distanza infinita, da un’epoca in cui non ci sono più baroni né meschini ma solo un grandissimo silenzio e il vento che passa lieve e il mare e il cielo.
Eppure, una carta c’era da giocare, in quegli anni, una carta che avrebbe potuto – forse – cambiare tutto. C’era una minoranza, abbiamo detto, una minoranza giacobina. Ma era una minoranza giovane, anche anagraficamente. Per due o tre anni, e forse per quattro, una parte non indifferente della gioventù siciliana è stata politicamente schierata. Politicamente in senso serio, non chiacchiere ma antimafia, democrazia reale, cambiare la vita quotidiana, lotta. Questi giovani hanno trovato dei capi, delle figure carismatiche, non degli organizzatori e dei maestri. Dei Prampolini, dei Pancho Villa, dei Bakunin, dei fratelli Bandiera. Non dei Gramsci, non dei Gobetti. Se… Ma la storia non si fa coi “se”. Essi erano, in realtà, la nuova classe dirigente del Paese. Non guardateli come sono ora, emarginati o integrati o incattiviti o delusi. Ricordateli com’erano allora. Avevano tutto per esserlo, avrebbero cambiato tutto.
La vecchia sinistra non li comprese – era troppo occupata a flirtare con Andreotti o con Martelli. La nuova non ebbe il tempo – era troppo occupata a litigarsi le candidature, in nome della nuova politica, a questa o quell’elezione. È andata così…
Ochalan. Ricevuta in seduta plenaria dal Parlamento europeo la dissidente curda Leila Zana, già nel ’95 insignita del Premio Sacharov per la difesa dei diritti umani. Nello stesso momento continua a languire nelle carceri turche il capo del movimento di liberazione curdo, arrestato all’estero dai servizi segreti turchi dopo che era stato scacciato dall’Italia e condannato – con un processo giudicato illegittimo dalla Corte europea – a una morte lenta e sospesa.
Con Ochalan la sinistra italiana ha un debito preciso. I Ds per averlo mandato via senza difenderlo (al tempo del governo D’Alema) né osare conferirgli lo status di rifugiato politico cui aveva pieno diritto. Rifondazione per aver gestito avventuristicamente i movimenti dell’esule, fidandosi su garanzie di sicurezza molto aleatorie.
Sia Rifondazione che Ds, in questo momento, hanno la possibilità di chiedere qualcosa a Prodi. E Prodi, autorevolissimo esponente dell’Unione, a sua volta ha la possibilità di sottolineare l’illiceità – secondo le istituzioni giudiziarie europee – della detenzione di Ochalan e la gravissima violazione dei diritti umani che essa costituisce. La Turchia, in questo momento, sarebbe costretta a concedere all’Europa qualsiasi cosa.
Bertinotti e D’Alema qualche anno addietro erano grandissimi amici di Ochalan, a parole. Perché stanno zitti ora? Perché non chiedono ai deputati del centrosinistra in Europa di chiedere solennemente *ora*, adesso che forse si può ottenere, la libertà di Ochalan?
Brusca. Beh, insomma, almeno ancora non l’ha candidato nessuno.
Campagne. Notiamo con piacere che ancora vengono comandati articoli contro le due Simone: ingrate, islamiche, complici dei rapitori, probabilmente anche d’accordo, e infine pagate – secondo l’ultima direttiva del Ministero della Verità – quasi come dei calciatori. Superpagate, sfaccendate, e in realtà senza rischiare niente: delle “professioniste del pacifismo”, insomma. Tutto ciò, contrariamente a molti lettori, ci rende felici. E’ infatti identico alla campagna contro i “professionisti dell’antimafia” a suo tempo ordinata contro Falcone e Borsellino. Anch’essa, lanciata con gran schieramento di mezzi e firme, servì solo a svergognare coloro che, prostituendosi, la portarono avanti. I due amici giudici non ne furono toccati. Nè lo sono le due amiche pacifiste ora.
Almeno. Il presidente della Repubblica ha nominato senatore a vita il poeta Mario Luzi, più volte nella rosa del Nobel ma purtroppo mai insignito.
Cronaca. Roma. Probabile licenziamento per 256 addetti al call center Cos, che serve Inps e Inail. Erano anomali perché (tutti laureati o diplomati) dotati di rudimentali contratti di lavoro. In tutti gli altri call center i giovani con contratto non superano di solito il 5-10 per cento del totale. L’anomalia del Cos rischiava di essere dunque pericolosa.
Cronaca. Roma. Licenziato il portiere del Pontifical American College di via dell’Umiltà. Ci lavorava da trentun anni, ha 55 anni e quattro figli. Arrivato al lavoro, ha trovato il biglietto che gli notificava la cessazione del contratto, senza spiegazioni.
Cronaca. Roma. Licenziato nel quadro di una ristrutturazione il parlamento italiano. Sarà sostituito da due camere di cui una regionale e l’altra cococò. Pieni poteri al Capo del Governo e delle Forze Armate, funzioni di rappresentanza al presidente della repubblica, facoltà alle regioni Piemonte, Sicilia e Lombardia di rubare quanto vogliono (Odrasso, Aiello e compagnia) sulla sanità.
Uno di noi wrote:
Andreotti è un grande. Lasciatelo stare.
poverino !!!
perchè poverino?motiva almeno