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E’ il 12 settembre 2001.
Sotto il suo cappello che non toglie mai, Mario cerca di proteggersi dal cielo scuro che sembra stia per cascargli in testa.
Mario ha 16 anni, tratti autistici, e vive in istituto da 8 anni.
Un anno fa sono morti prima il papà e dopo pochi giorni la nonna.
Da allora il cielo sopra il suo cappello si è fatto più scuro e minaccioso, il cappello pesantissimo.
Lui abbassa la visiera, sa che non li ha più visti, non lo vengono più a prendere, dove sono? Cerca di dircelo, per aiutarlo a ritrovarli.
Il televisore del salone del reparto rimanda per l’ennesima volta gli aerei che si lanciano sui due grattacieli a New York.
Mario guarda serio la tv, poi disegna al computer un grattacielo, la “caca” come chiama la casa. Non è New York, è un palazzo di Roma, il palazzone delle case popolari dove abitavano nonna e papà e dove Mario li ritrovava nei fine settimana.
Ininterrottamente ripete: “papà…nonna…Mario…” e lo scrive accanto al disegno.
Noi diciamo che è il suo modo di comunicarci la sua tristezza, la ricerca della condivisione di un’angoscia.
Mario ora sorride, io gli sto vicino, allora mi guarda, poi mi chiede la coca-cola.