Non c’è da stupirsi del fatto che i tre finalisti della Fattoria si chiamino Danny, Milton e Daniel.
Ieri ho portato mia figlia ad una festa per bambini dove la festeggiata si chiamava Ariela e gli unici altri nomi che ho sentito urlare dai genitori sono stati Milan (spero per origini slave e non per altro) e Nathan.
Tutto normale, tutto sotto controllo e la Fattoria, anche dal punto di vista onomastico, è solo uno dei tanti specchi dei tempi.
A far riflettere, semmai, è stato altro.
Intanto la Bignardi, la cui gioia per la conclusione di uno dei programmi più sconclusionati e peggio congegnati dalla Endemol le ha impresso forzature comportamentali a lei solitamente estranee, con urla e schiamazzi tradizionalmente ostili al suo bagaglio tecnico. Colpa sua che non ha capito in tempo lo svaccamento del programma, colpa degli autori che l’hanno esposta a situazioni che forse riteneva facessero parte dei suoi esordi, colpa di chi l’ha convinta che essere “la prima” e “la più brava” potesse garantire di per sè qualità al prodotto.
“Stasera deciderete voi il vincitore“, ha ripetuto più volte Daria cercando di riparare in extremis al fatto che alcuni dei concorrenti siano stati eliminati senza televoto popolare, elemento basilare per l’immedesimazione del pubblico in qualsiasi reality.
Ma tant’è, in fondo son dettagli, aspettative deluse di un programma senza guida che ha trovato il suo conducator spirituale nell’epilogo finale.
Selen si domandava, con le poppe esposte e finalmente bisunte per l’occasione, per quale campanaccio avrebbe optato il pubblico italiano, se per quello riflessivo dell’americano o per quello fisico del cubano, e nel domandarselo sgombrava il campo dal fattore ormonale, annotando come si trattasse comunque di due bellissimi finalisti.
Tralasciando il fatto che se solo lei lo avesse voluto il pubblico italiano l’avrebbe fatta vincere per acclamazione, la rappresentazione fatta del duello finale va completata.
Milton è quello che siamo noi, la maggior parte di noi.
Latino nell’accezione più umorale del termine, braccio armato di chiunque abbia voglia di accenderne la miccia ( sia esso un Baffo o un padre di principino), maschilismo e mammismo estremo, croce e delizia, religione e pueblo unido, ritmo e ignoranza, basso istinto e generosità d’animo, gomiti in faccia e mani sul cuore.
Uno così lo si incontra tutti i giorni per strada, al lavoro, al bar, in Parlamento, al Governo.
Avrebbe vinto ovunque, in qualsiasi reality, ma il fattore Quinn è stato per lui quel che è stato il naufrago Nudo per Pappalardo, la criptonite che non ti aspetti, il muro di gomma impenetrabile, la sconfitta inevitabile.
Intendiamoci, fosse stato solo per il “riflessivo”, agli italiani non sarebbe fregato alcunchè di Danny.
E’ tuttavia indiscutibile che gli ammalianti ragionamenti del vincitore, zemanianamente cadenzati e sospesi tra un testo delle Vibrazioni e uno di Pelù, han fatto facile breccia tra anime alla ricerca di intellettuali di riferimento e imbonitori elettorali, tra fan del poliglottismo e potenziali adepti di nuove teologie.
“Siamo ciò che vogliamo“, ha ripetuto più volte Danny, e mai cazzata fu più grossa e convincente al tempo stesso.
Io volevo fare il calciatore, ma sto qui a scrivere di Danny.
Ma Danny una frase del genere può dirla, ne ha diritto.
Danny invece voleva essere attore e lo è stato, forse voleva essere ricco e non ha neanche avuto bisogno di volerlo per esserlo davvero.
Magari non voleva essere amico della famiglia De Blank, ma tutto dalla vita non si può avere.
Di certo ha voluto vincere e ha vinto, pregando, perchè di questi tempi o si bestemmia o si prega in ginocchio, vie di mezzo non sono previste.
Danny Quinn, apparente anomala rappresentazione di americanismo dedito alla gentilezza e all’offerta dell’altra guancia, propone una nuova prospettiva d’interventismo risolutore e civiltà superiore, di voglia di educare e sapiente strategia finalizzata al risultato finale, paraculismo e penetrazione trasversale.
Quando alla domanda sul migliore amico indica nel Baffo colui che più lo ha aiutato a migliorarsi, dimostra finezza di ragionamento, superiorità evidente, forza e tranquillità, conquistando anche l’ultimo baluardo nemico, l’ultima frontiera di scetticismo. Così si conquistano i popoli ostili.
E poco conta che i migliori amici del vincitore siano le cariatidi plastificate della decadente ma rinascente nobiltà italica, poco incide che il tifo per lui si faccia tanto a casa Dell’Utri quanto a bordo piscina.
I nobili piacciono, da che mondo è mondo sono forse quello che parecchi avrebbero voluto essere davvero, con buona pace del “volere è potere” quinniano e della festa della Repubblica ciampiana.
Poco importa, infine, che uno dei più ostentati amici di Quinn sia quel Kaspar Capparoni che prima di andare a recitare picchiò la moglie e la rinchiuse nel cesso col figlio di un anno.
Sicuramente, grazie a Danny, anche Kaspar ora è cambiato.
Sarebbe bello se domani, tra una sfilata e l’altra, Bush trovasse 5 minuti anche per Danny.
Tutti possono migliorare.
trattandosi di fattoria, credo sia più opportuno rititolare il post: volere è poDere.
ps: son riuscito a non vederne nemmeno una puntata, ho vinto qualche cosa?
Sono stupido! Devo essere davvero uno stupido … ma proprio non reggo ne capisco il come ed il perche’ parliate e scriviate di programmi che poi definite Voi stessi brutti.
Non lo capiro’ mai perche’ creare questo circolo vizioso mediatico in cui si parla di MONNEZZA e in cui si ripropone sempre MONNEZZA …
Basta! NE ABBIAMO PIENE LE SCATOLE DELLA TV SPAZZATURA fatta da sua Emmittenza e da Mamma RAI … BASTA!
in effetti non è che sia tanto in disaccordo con ettorre.
parliamo di laura fedele? o degli acustimantico? i mercanti di liquore, magari, o tanto per restare in ambito televisivo, qualcuno ricorda la vecchia rubrica di baricco sui libri? che fine ha fatto? e quella con roversi? perché non ricevo più odeonTV che mi piaceva così tanto il tg di funari? a proposito, è ancora vivo, funari?
mitico :D
tre post, e tre OT… è forse stao battuto un record? (purtroppo no…)
perché ot? a me non pare, salvo forse il mio ultimo prima di questo.
boh, forse ho male interpretato io… l’ho letto come attacco ai mala tempora onomastica (che, da bravo prof, subisco da anni, grazie ai maicol, uilliam, braian, gessica, illari, dastin, beverli, usw..)
è proprio vero: tutti siam convinti di essere l’ombelico del mondo, e capiamo il mondo attraverso le nostre esigenze e le nostre esperienze
quasi urtano di meno degli sputtanatissimi martina e matteo, quasi
[OT, sì, ancora OT] Matteo è un nome bellissimo e per nulla inflazionato. Tiè.
ettore, non puoi dir male di qualcosa se non l’hai mai vista, per questo la guardiamo ;)
Un po’ lo farà per lavoro, un po’ però penso che a Zoro ‘ste cose piacciano proprio, sai?
Gentile Zoro non hai per caso chiesto a tua figlia se la festeggiata e il suo amico Nathan fossero di religione Ebraica.
Ariela e Nathan sono nomi ricorrenti nelle famiglie ebree (anche io ho diversi amici con questi nomi e altri con nomi che possono suonare strani per chi, non conoscendo l’ebraico, non conosce il loro significato) il primo credo (non ricordo bene adesso, ma se vuoi mi informo :-) ) dovrebbe significare “Leonessa” mentre il secondo significa “Donato” e in genere, chi lo porta, ha come secondo nome Aaron.
Shalom
Bea
Per quanto fedele a Macchianera, non posso sopportare più di 3 righe di un post che parla di Reality e, in particolare, della fattoria.
Scusa..
allora volare è potare?
… non puoi dir male di qualcosa se non l’hai mai vista, per questo la guardiamo ;)appunto, non sarebbe meglio evitare di parlarne e far finta che non esista, e dedicarsi invece ad argomenti semplicemente più degni?
sono assolutamente d’accordo con il fratello Ettore. Le sue parole sono saggie e piene di verità. Ti ammiro per il coraggio della tua posizione.
sono saggie e piene di saggina ahhhhhhhhhhhh!
ciao a tutti, secondo me Daria bignardi nn doveva dire che nn conosceva Kaspar Capparoni, perkè sn poke le persone che ormai nn conoscono il mitico CONTE GIULIO DRAGO.