Il trionfale ingresso di Silvio Berlusconi nel Milan Football Club fu qualcosa di più della consueta, per l’Italia, promozione a “presidente” del palazzinaro arricchito. Di norma, i padri-padroni delle società di calcio erano personaggi di livello provinciale, che guardavano alla squadra come ad uno strumento di pubblicità, di contatti nel giro della politica e degli affari, di raccolta di denaro fresco attraverso le partite casalinghe domenicali e gli abbonamenti. A volte si mettevano in politica, spesso finivano in galera. Sempre, trasferivano nella società calcistica un clima familiare, fatto di bonomia e incompetenza insieme.
Berlusconi no. La conquista del Milan all’inizio del 1986, si capì subito, era il tassello di una strategia, la tappa di una azione a largo raggio diretta, più che a Milano, all’Italia intera, e magari all’Europa. Come, in un altro settore, la “Standa” (anch’essa entrata nell’impero economico del cavaliere), il Milan era non solo il calcio, ma la gente, le famiglie, la vita quotidiana, il rapporto del capo-popolo con il suo pubblico di consumatori. Ed era anche l’impresa, l’azienda da far funzionare secondo il modello Fininvest, l’occasione per sinergie, pubblicità, immagine: e quindi soldi; e quindi potere.
L’inizio della nuova era fu spettacolare. Silvio Berlusconi scese sul campo di Milanello, dove era in corso l’allenamento, dal cielo, in compagnia del figlio PierSilvio e del fedele Galliani, a bordo di un elicottero Agusta 109 bianco e blu. Durante la colazione, volle stringere la mano a tuffi i giocatori e regalò loro un calice d’argento firmato Cartier. La coreografia si ripeté, in modo ancor più suggestivo, in luglio, quando, dopo una dispendiosissima campagna acquisti (divennero rossoneri Bonetti, Massaro, Donadoni, Giovanni Galli, Galderisi), il presidente presentò la nuova squadra ai tifosi. Gli elicotteri, quel giorno, erano tre: atterrarono nel vecchio stadio dell’Arena, di fronte a diecimila tifosi, sbarcando uno dopo l’altro i giocatori, i tecnici e i dirigenti. Sotto la pioggia il cavalier Berlusconi pronunciò uno dei suoi più ispirati discorsi. Disse tra l’altro alla folla estasiata di diecimila milanisti: «Nelle mie attività mi sono abituato adessere il primo, anzi mi sono talmente abituato che ci resterei davvero male ad essere secondo nel calcio. Il Gruppo adesso è come un iceberg: la parte non visibile è il resto dell’attività, quella che brilla agli occhi di tutti è il Milan. Adesso siamo costretti a fare bene, questo è l’imperativo categorico del Milan».
L’uomo ha dunque applicato al calcio il suo stile, i suoi metodi economici e le sue categorie politiche; e nello stesso tempo ha frequentemente usato il calcio come metafora della sua visione della società. Quando, conquistato con Sacchi il primo trionfale scudetto e la prima Coppa dei Campioni, propose di trasferire direttamente in nazionale otto undicesimi del suo Milan, e fu criticato da avversari e concorrenti, si ribellò con toni craxiani, mescolando calcio e politica: «Ho letto commenti che mi hanno sbalordito. Sono stato invitato a tacere. Se non possedessi uno spiccato senso dell’umorismo, dovrei dire che certi titoli erano in bilico tra stalinismo e fascismo. Se uno non è padrone di esprimere le proprie opinioni, significa che la situazione del calcio in Italia è diventata particolarmente pericolosa». In un’ altra intervista, mescolando campionato, Coppa dei Campioni e recenti elezioni amministrative (si era nel ’90) confidò: «Quando ci hanno strappato lo scudetto, l’indignazione è stata grande. Ci siamo sentiti un’isola, abbiamo dubitato di dover continuare… Ma abbiamo quattro milioni di tifosi, non potevamo deluderli. Il sentimento di amarezza ha avuto anche riflessi politici. Il successo della Lega Lombarda vorrà pur dire qualcosa, no?».
All’indomani – era il maggio del 1990 – della sconfitta a Verona che aveva tolto al Milan lo scudetto (finito al Napoli), Berlusconi si era presentato incupito e infuriato alla Fiera di Milano, dove si erano raccolte cinquecento persone per un convegno dell’associazione dei broker assicurativi. Erano i giorni in cui, al Senato, era passato un emendamento (poi abrogato) che vietava gli spot pubblicitari durante i film. Il cavaliere esternò: «Posso dire che il cittadino Berlusconi è indignato perché il suo senso di giustizia è ferito. In tre settori importanti, calcio, televisione ed editoria, accadono cose ingiuste ai miei danni… Come mi difenderò? Andrò avanti per la mia strada».
Nell’ordine: calcio, televisione, editoria. Ma anche, perché no?, ciclismo e politica. Nell’estate del ’92, in un memorabile intervento telefonico in diretta con il “Processo” di Aldo Biscardi, Berlusconi non esitò a definire «nipotini di Stalin» coloro che criticavano il ministero delle Poste, che aveva consentito alla Fininvest di scippare alla Rai l’esclusiva delle riprese del Giro d’Italia. Nel novembre dell’anno successivo, all’annuncio del suo probabile ingresso in politica, di fronte ad una disincantata e non servile platea di corrispondenti stranieri, Berlusconi; a volte in difficoltà nell’argomentare, trovò un solido ancoraggio dialettico nel ricorso all’esempio calcistico («Sono un innovatore. Arrivato nel Milan ho cacciato Liedholm, che-era considerato un mostro sacro») e spiegò che la rinuncia ad un fronte di centro-destra contro il pericolo comunista equivaleva «alla decisione di una squadra fortissima di giocare contro un’altra più debole mettendo in campo cinque giocatori nel primo tempo e sei giocatori nella ripresa, perdendo così la partita».
In realtà, al suo arrivo al Milan Berlusconi non si era limitato a portare il suo mitico entusiasmo e la sua capacità di lavoro (che avevano fatto esclamare al suo amico del cuore e di P2, Roberto Gervaso: «Ho scoperto che Silvio non era più solo un vulcano, ma un terremoto; non era più solo una centrale atomica, ma una centrale dell’uranio; non era più solo un computer, ma un’intera Ibm»). Aveva riempito il Consiglio d’amministrazione di berlusconiani puri, dal fratello Paolo (vicepresidente), all’immancabile Fedele Confalonieri, a Marcello dell’Utri, a Gigi Vesigna (direttore di “Sorrisi e canzoni” e poi di “Noi”), all’amico Sergio Travaglia; ed aveva estromesso l’indocile Gianni Rivera. Aveva dato il via, attraverso l’organizzazione dei Milan club, ad un inedito “culto della personalità” («L’uomo che attendevamo. L’uomo del nostro presente e del nostro futuro», era l’omaggio che si leggeva sul giornalino milanista). E non aveva dimenticato, infine, le sue radicate convinzioni storico-politiche. Talché, riferì la stampa, alla proposta di ingaggiare come allenatore il capace Osvaldo Bagnoli, rifiutò seccamente con la seguente motivazione tecnico-tattica: «Quello? Quello mai, è un comunista!».
Da bravo capopopolo, che sa come il carisma si consumi con l’uso eccessivo, Silvio Berlusconi ha misurato le apparizioni sulle proprie reti. Non tanto per discrezione, o per coscienza dei limiti del potere nel campo delicatissimo della pubblica informazione. All’opposto: quando si trattò di mettere in campo le sue truppe per influenzare le decisioni del parlamento e del governo, anche attraverso la manipolazione e la mobilitazione dell’opinione pubblica, il patron della Fininvest non mostrò esitazioni. Si videro così drammatiche trasmissioni di annunciatori col bavaglio, quando i pretori si azzardarono a cercare di far applicare nell’etere le sentenze della Corte Costituzionale; si mobilitarono poi, nel 1992, tutte le star del gruppo, in una “serata di lotta” dai toni beceri e intolleranti, allo scopo di difendere il diritto alle “telepromozioni”, illustrato in diretta dal “teorico” della materia, Mike Buongiorno. E tuttavia in due occasioni l’uomo ritenne opportuno scendere in campo in prima persona, esternando come un Presidente della Repubblica attraverso le reti di sua proprietà, e rilanciando ossessivamente ai telespettatori la registrazione della trasmissione. La più recente di queste invasioni di campo coincide con l’annuncio di una possibile nascita del “partito di Berlusconi“. Al posto di un film, e in barba alle proclamazioni di “autonomia” dei programmi giornalistici, il padrone della Fininvest ha imposto in un sabato di fine novembre 1993 la registrazione integrale della sua comiziesca conferenza alla sede della stampa estera.
Ma il più clamoroso precedente delle esternazioni di Berlusconi risale al novembre del 1988 quando, nell’ora di punta televisiva del giorno dei morti, si presentò su Retequattro annunciato solennemente da Guglielmo Zucconi e accompagnato dal cerimonioso Gianni Letta. Era accaduto che due parlamentari avevano denunciato a Palazzo Madama e a Montecitorio l’azione “lobbystica” di agenti della Fininvest. Berlusconi, che già stava mettendo a punto la strategia per contrastare l’aborrita legge anti-trust nell’informazione e nell’etere, decise di giocare d’anticipo e di denunciare l’«odiosa macchinazione» contro di lui. Il suo comizio non fu, pare, un successo televisivo; ma servì a marcare un punto di principio, attorno al quale ogni forza politica era chiamata a schierarsi: si può limitare il potere di Berlusconi?
Quanto al “lavoro di lobby”, specialità certo non ignota a Sua emittenza, fu significativa la dichiarazione dell’allora presidente (democristiano) della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai-tv, Andrea Borri, che precisò e in qualche misura rovesciò il senso di quell’accusa: «Ma certo – disse – che esiste la lobby Berlusconi, non bisognava arrivare alle denunce di questi giorni per scoprirlo. Il problema vero, però, non è quello della Fininvest, bensì quello del Psi. Per questo non condivido le denunce dei miei colleghi… Soltanto se i socialisti saranno costretti a perdere sempre più la faccia per difendere il Cavaliere, si potrà riuscire a superare questo ostacolo».
L’osservazione era del tutto pertinente, anche se la profezia sulla “faccia a perdere” dei socialisti si sarebbe rivelata errata. Il patto di ferro tra Berlusconi e il Psi di Craxi e Martelli, l’alleanza scellerata tra potere e informazione, stava per affrontare le due prove decisive: la battaglia per la Mondadori, e la nuova legge sull’emittenza destinata a rendere legale, senza vincoli e senza limiti, l’impero pirata conquistato dal Cavaliere.
Non so quanti stiano leggendo il libro – conoscendo i polli locali, ben pochi.
Volevo però far notare lo stile del libro stesso, che mischia atti per così dire “normali” del Cav con le nefandezze. Scorrendo velocemente questa puntata:
– preso il Milan per sinergie, pubblicità, immagine: nulla di così efferato.
– «Posso dire che il cittadino Berlusconi è indignato»: pericolosissimo
– «nipotini di Stalin»: parole esecrabili che mostrano lo stile – si fa per dire – del nostro, ma perché la Fininvest “scippa” il giro d’Italia?
– berlusconiani puri nel Consiglio d’amministrazione del Milan: è una società privata. Che c’è di strano?
– annunciatori con bavaglio: plagio (ben riuscito, ma non ci vuole molto) dell’opinione pubblica.
– registrazione integrale della sua comiziesca conferenza: le tv sono sue, la gente cambia canale .
– «odiosa macchinazione»: di nuovo, piagnucolio esecrabile.
– Lobby Berlusconi: di per sé non ci sarebbe stato nulla di male, fino a che non giravano mazzette.
Quello che voglio dire è che un testo come questo non cambia per nulla le convinzioni della gente: gli Emiliifidi guarderanno alle parti persecutorie con curiosa cecità per le altre, gli altri faranno esattamente lo stesso. E dunque dove sta il guadagno?
continuo a leggere e ad apprezzare
ah dimenticavo di ribadire:
non crederete mica che a certi livelli ci si possa permettere di rimanere completamente puliti vero?
X Mau. Il guadagno sta, nel non mollare, perchè è quello che molti potenti vorrebbero : vederci tutti ignoranti… Giusto per citare “Orwell, 1984″… L’ignoranza è forza, e guarda che non siamo poi così lontani dagli psicoreati…
Continuate così, vi leggo fiducioso!
Pinko,
tralasciando il caso particolare di questo libro (che è vecchiotto, quindi già scritto a suo tempo) qui non si può parlare di “non mollare”. Anzi, mischiando le cose in questo modo in realtà si fa un favore a chi vorrebbe che si molli, proprio per la reazione di molti che vedono si fa di tutta l’erba un fascio!
E’ semplicemente un libro messo on-line un pò alla volta… Chi vuole può leggerlo… non pensiamo sempre ai nostri connazionali come esseri totalmente stupidi. Capisco bene, che c’è un informazione ufficiale che manipola ben bene le coscienze, e capisco anche il problema che poni, tuttora a volte entro in crisi su questo punto.
E’ molto difficile comunicare al giorno d’oggi, soprattutto se intendi fare informazione, cultura. Credo però che alla fine, questa tendenza a fare di tutta l’erba un fascio di pochi non deve obbligarci a desimerci dal darle le informazioni, a chi magari ha già avuto quell’input per cominciare a ragionare da se, a formulare pensieri propri. Credo che alla fine, il lavoro di chi ci tiene a detereminate cose, debba svolgersi non solo sui siti, pubblicando notizie, ma anche dialogando con la gente semplice, quella che crede in buona fede che davvero la guerra in Iraq sia una “missione di pace”. La lotta alla disinformazione dev’essere per le strade, al bar mentre prendiamo un caffè, con i nostri amici, con chiunque, instaurando sani dialoghi. Allora, come in questo caso, diventa solo un qualcosa in più, un approfondimento, e dopo aver lasciato perplesso il nostro interlocutore, distruggendo un pò delle sue insane certezze, potremo dire : ” Beh, se vuoi, puoi approfondire la cosa su questo sito… http://www.nomedelsito.net ” Questo può essere un input, come lo può essere un post sul nostro blog personale, un commento… La gente dovrebbe capire che interessarsi alla politica significa anche difendere i propri interessi nel quotidiano.
Se si riuscisse a ribadire questo concetto sarebbe un grande passo avanti. Io vivo a Reggio Calabria, città dove il Silvio nazionale, ha intenzione di costruire il fantomatico Ponte sullo Stretto. Favorevoli o contrari che si possa essere ( io sono nettamente contrario alla sua realizzazione ) alla fine mi rendo conto di vivere in una città dove manca l’acqua potabile, dove vi sono scuole fatiscenti e insane, dove le fogne vengono indirizzate direttamente sul mare, senza essere depurate, etc etc etc…ma i miei concittadini non se lo pongono il problema, non intendo sul fatto se sia giusto o no costruire questo tanto discusso Ponte sullo Stretto, ma più semplicemente, se sia effettivamente un opera da realizzare prioritaria, rispetto ai tanti problemi più urgenti in cui vive il nostro Sud.
Come fare a informare, a far ragionare la gente?
Come ottenere una larga presa di coscienza, con i nostri pochi mezzi, che non sono nulla di fronte ai tradizionali Mass-Media?
Yup, that’ll do it. You have my apprectioain.