«Licio ed Egidio si erano offerti a farle pervenire una mia “lettera-proposta” al fine di rendere più probabile che lei, pur col suo enorme e assorbente lavoro, la leggesse». L’italiano lascia a desiderare, ma la lettera allegata agli atti della richiesta di autorizzazione a procedere contro l’onorevole Claudio Martelli per il cosiddetto caso Kollbrunner, è uno spaccato interessante – anche se tutto da verificare – sul funzionamento della vecchia ragnatela piduista in pieni anni ’90. Mittente Eugenio Carbone, ex direttore generale del ministero dell’Industria, il cui nome venne trovato negli elenchi della P2. Destinatario Silvio Berlusconi, tessera P2 numero 1816, oggi proprietario di un quotidiano, di due settimanali ad alta tiratura, di sei emittenti televisive e di molte altre cose. Il Licio e l’Egidio citati nella prima riga sono, secondo i magistrati, il capo della P2 Gelli ed Egidio Carenini, ex parlamentare democristiano, già protettore di Mino Pecorelli e anch’egli iscritto alla P2. Eugenio Carbone è imputato nell’inchiesta aperta a Roma su di un traffico di titoli rubati al Banco di S. Spirito. Carbone, fratello di un monsignore e socio della Camera di Commercio Italo-Slovena, è sospettato di aver trafficato i titoli rubati insieme a un gruppo di altri ex piduisti, e sarebbe coinvolto nel tentativo di acquistare la Banca Agricola Romena, con 300 miliardi ricavati del traffico dei titoli.
Ma è bene dire subito che nel “caso Kollbrunner“ Berlusconi non è minimamente coinvolto. Il nome di Sua emittenza è finito nell’inchiesta soltanto perché, nel corso di una perquisizione negli uffici di Carbone, in via Ripetta 25, sono state rinvenute le copie di due lettere indirizzata al “Caro dottor Berlusconi“. La prima è datata 29 luglio 1992, la seconda 27 settembre dello stesso anno. Nella prima Carbone, che si trova in difficoltà economiche, chiede a Berlusconi un aiuto per sé e per sua sorella: «Non avrei mai immaginato di doverla disturbare per questo – scrive Carbone nel suo solito italiano zoppicante – ma è solo a un vero amico che è possibile farlo, pensando che egli sia l’unico che possa fronteggiare la cosa, senza ricorso a banche ma ad altri enti finanziari».
Sotto la firma, in basso a sinistra, Carbone aggiunge l’ annotazione: «inviata a Licio ed Egidio». Anche sulla seconda lettera è aggiunta l’indicazione: «Postacelere a Licio Gelli e a Egidio Carenini». Ma mentre la prima lettera lascia presupporre un rapporto di amicizia tra Carbone e Berlusconi, nella seconda Carbone sembra preoccupato innanzitutto di farsi ricordare dal proprietario della Fininvest, e a questo scopo fa riferimento ai comuni amici Gelli e Carenini. Quindi passa ad esporre in maniera un po’ confusa un progetto, probabilmente per la creazione di una sorta di giornale cattolico in Slovenia e Croazia: «Trovo importante che lei esamini la proposta – scrive Carbone – per entrare in una attività diversa, gradita non solo in Vaticano, ma al Papa (la diffusione di documenti – i suoi in particolare – nelle lingue di paesi dell’Est), anche in Russia, tramite una esplorazione tramite il giornale “Trud” che si presta allo scopo». Carbone si dilunga sui particolari di un eventuale viaggio di Berlusconi a Portorose, in Slovenia, dove – spiega Carbone – l’imprenditore di Arcore dovrebbe incontrare alcune personalità locali. A questo punto l’ex direttore generale del ministero dell’Industria cambia bruscamente argomento: «Mi interessa poi che la Lupo Moda (un’azienda tessile pugliese n.d.r.) possa essere esaminata per una entratura alla Standa».
Sul finire della lettera Carbone torna sui suoi problemi finanziari, suggerendo a Berlusconi di aiutarlo con «una operazione bancaria tramite finanziaria». Quindi la conclusione: «La mia situazione, Licio forse le ha detto, dipende sempre dalla controversia non ancora chiusa, dopo 10 anni, per la… fratellanza». Il riferimento, verosimilmente, è ai problemi che Carbone ebbe al ministero dell’Industria a causa della sua appartenenza alla P2.
Interrogato sul contenuto delle due lettere il 4 novembre dello scorso anno, Carbone dichiarò: «Conosco Berlusconi da circa 30 anni, e cioè fin da prima di quando lo conobbe Geni. Mi sono interessato presso Berlusconi per un mio amico Lupo di cui non ricordo il nome… Gelli recentemente, circa due mesi fa, si rivolse a Berlusconi per sollecitarlo a prendere in esame la mia richiesta di aiuto alla situazione finanziaria in cui mi sono venuto a trovare».
Il contenuto delle lettere, come si vede, è perfettamente nei confini della legge. E non è nemmeno escluso che possa trattarsi di semplici millanterie di Carbone, dal momento che tra le carte sequestrate non c’è traccia delle risposte di Berlusconi o di suoi collaboratori. Tuttavia, se le lettere agli atti dell’inchiestasono state effettivamente spedite – come risulta dalla deposizione di Carbone ai magistrati – esse lascerebbero intuire l’esistenza di rapporti molto recenti tra il proprietario del più potente gruppo editoriale privato italiano e il capo della P2; il quale, dal canto suo, non è mai uscito di scena, come dimostrano le inchiesta in corso in varie città italiane.
Berlusconi, interrogato dai giudici di Milano all’epoca della scoperta delle liste della P2, dichiarò: «Mi sono iscritto alla loggia P2 nei primi mesi del 1978 su invito di Licio Gelli… Fu Roberto Gervaso, mio amico, a presentarmi… Gelli mi chiarì che attraverso la massoneria, organizzazione internazionale, avrei potuto avere dei canali di lavoro e contatti internazionali utili per la mia attività di presidente del consorzio per l’edilizia industrializzata».
Nel 1990 Berlusconi fu chiamato di nuovo a spiegare circostanze e motivi della sua iscrizione alla P2 davanti al tribunale di Verona. Lo stesso Berlusconi, infatti, aveva querelato i giornalisti Guarino e Ruggeri, colpevoli ai suoi occhi di aver rispolverato quella vicenda nel loro libro. Ma non fu una scelta felice: Berlusconi infatti venne a sua volta denunciato per falsa testimonianza: «Ritiene il collegio – scrive la Corte d’Appello di Verona – che le dichiarazioni dell’imputato (Berlusconi n.d.r.) non corrispondano a verità. In sostanza, infatti, secondo il Berlusconi la sua definita adesione alla P2 avvenne poco prima del 1981 e non si trattò di vera è propria iscrizione, perché non accompagnata da pagamenti di quote appunto di iscrizione, peraltro mai richiestegli. Tali asserzioni sono smentite:
a) Dalle risultanze della commissione Anselmi;
b) Dalle stesse dichiarazioni rese dal prevenuto avanti al G.I. di Milano, e mai contestate, secondo cui la sua iscrizione alla P2 avvenne nei primi mesi del 1978.
Invero, dagli atti dagli atti della commissione parlamentare ed in particolare dagli elenchi degli affiliati, sequestrati in Castiglion Fibocchi figura il nominativo del Berlusconi (numero di riferimento 625) e l’annotazione del versamento di lire 100.000 come eseguito in contanti in data 5 maggio 1978, versamento la cui esistenza risulterebbe comprovata anche da un dattiloscritto proveniente dalla macchina da scrivere di proprietà di Gelli».
Il procedimento si concluse comunque con la estinzione del reato di falsa testimonianza per amnistia. Ma finì per comprovare che la vicenda P2 era un nervo scoperto del personaggio Berlusconi. Anche di recente, chiamato a testimoniare nell’ambito del processo alla P2, Berlusconi ha continuato a raccontare la sua iscrizione alla loggia come una cosa di nessuna importanza, decisa per far contento l’amico Roberto Gervaso, e comunque nella sua veste di imprenditore edile. In effetti negli elenchi di Gelli il nome di Berlusconi è inserito alla voce “Industriali”. Ma nei suoi appunti privati, invece, il venerabile mette Berlusconi alla voce “Informazione e Mezzi di comunicazione di massa”. E’ noto per altro che Gelli pone al centro dei suoi interessi la questione dell’informazione. Lo dimostra la battaglia per il controllo del “Corriere della Sera” – di cui Silvio Berlusconi è autorevole collaboratore sotto la direzione del piduista Franco Di Bella. All’informazione Gelli dedica un capitolo del suo “Piano di rinascita democratica”, una sorta di manifesto politico della P2. Tra gli obiettivi del piano c’è quello di «dissolvere la RAI-TV in nome della libertà d’antenna ex art. 21 Costit.».
L’interesse di Gelli per il mondo della stampa non è limitato agli anni ’80: quando nel 1990 si scatena la guerra tra la Cir di De Benedetti e il gruppo Berlusconi per il controllo della Mondadori, il venerabile fa il tifo per il cavaliere di Arcore: «Se Berlusconi agisce come sta agendo – disse Gelli a Marcella Andreoli di “Panorama” – significa che si sente autorizzato… Berlusconi riesce a realizzare il progetto che avrebbe voluto condurre in porto Eugenio Scalfari. Ma Scalfari, ormai, è un po’ vecchio, ed è bene che venga messo da parte».
«Dunque – chiese l’intervistatrice – si vuol mettere la sordina al suo giornale e a quelli della Mondadori?»; «Macché sordina – rispose Gelli – è la fine di un’epoca».
Quelli con Gelli, circoscritti o meno che siano, non sono gli unici rapporti di Silvio Berlusconi con ambienti massonici. Nei primi anni ’80 il nome dell’imprenditore milanese venne infatti accostato a quello di Flavio Carboni, il faccendiere sospettato di rapporti tanto con la P2 quanto con ambienti mafiosi. Al centro di quei rapporti c’era una speculazione edilizia in Sardegna, denominata Olbia 2. Il 24 febbraio 1983 un collaboratore di Carboni, Emilio Pellicani, venne interrogato dalla commissione P2. Nel corso dell’audizione Pellicani sostenne che dall’entourage di Berlusconi era stato versato del denaro ad Armando Corona, all’epoca dei fatti presidente della Regione sarda e Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, la più potente tra le organizzazioni massoniche: «Il periodo in cui Corona inizia a prendere dei soldi da Carboni – raccontò Pellicani – parte dal 1980, quando lui era ancora presidente della Regione sarda. In quella occasione credo che lui abbia avuto da parte di Carboni dei finanziamenti provenienti dal gruppo Berlusconi per l’operazione Olbia 2. Lo so – continua più avanti Pellicani – perché ci furono addebitati 500 milioni che furono portati da Fedele Confalonieri tutti in contanti a Cagliari mentre Carboni, Berlusconi e Corona erano a Cagliari».
avete ragione al 100%.
(non voglio mica fare la fine di Nat.)
Io mi chiedo, se tutto questo fosse vero (e mi auguro di no, spero che un giorno si stabilirà che Berlusconi non ha mai mentito, è sempre stato onesto, ha migliorato l’Italia ecc. ecc.), dopo il fascismo, la mafia, il degradamento culturale, la furbizia elevata a filosofia di vita ecc. ecc. per cui siamo famosi in tutto il mondo, il razzismo nei confronti degli italiani sarà dichiarato legale??
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Corona non è mai stato presidente della Regione Sardegna. E’ stato presidente del consiglio regionale. Tutto ciò per la precisione: Massimo Alfredo Giuseppe Maria.
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