Cossiga, ascoltato a lungo dalla commissione di indagine sul sequestro Moro nel maggio del 1980, non aveva parlato di questo e di altri episodi. L’“eroico” ufficiale medico citato da Cossiga è Decimo Garau, istruttore di Gladio, che al giudice di Venezia Carlo Mastelloni ha confermato le rivelazioni di Cossiga; Garau ha anche detto che il reparto incaricato di liberare Moro si allenò nei giorni del sequestro all’interno della caserma del Rud (Raggruppamento Unità Difesa) di Cerveteri; che è, come si è poi scoperto, il centro di addestramento degli uomini della specialissima e segreta “sezione K” del Sismi. C’è anche una coincidenza impressionante: Garau e i suoi si addestravano tra i casolari della Tolfa, a nord di Cerveteri; nelle suole delle scarpe di Aldo Moro i periti hanno trovato terra proveniente proprio dalla zona della Tolfa. E ancora: “gli incursori si esercitavano in operazioni di esfiltrazione” immaginando che il sequestrato venisse rinchiuso in una cassa; si tratta proprio del metodo usato dai brigatisti per trasportare Moro nel loro covo subito dopo il sequestro. Si ricorderà che il colonnello Guglielmi, l’uomo che ritroviamo “casualmente” la mattina del 16 marzo 1978 a pochedecine di metri dal luogo in cui viene sequestrato il presidente della Dc, apparteneva alla “sezione K”.
Pecorelli, l’uomo dei misteri, venne ucciso nel novembre del 1979 da un killer mai identificato. Due mesi prima aveva scritto: “Torneremo a parlare di questo argomento (il caso Moro, N.d.R.), del furgone, dei piloti, del giovane dal giubbotto azzurro visto in via Fani, del rullino fotografico, del garage compiacente che ha ospitato le macchine servite all’operazione, del prete contattato dalle Br, della intempestiva lettera di Paolo (il papa, N.d.R.), del passo carraio al centro di Roma, delle trattative intercorse”.
Tra le cose a cui accenna Pecorelli alcune non sono mai entrate nelle indagini. Si tratta probabilmente di quella “zona d’ombra” del caso Moro conosciuta solo da pochissimi di coloro che allora ebbero un ruolo nella vicenda. Tra le molte carte sparite ci sono anche quelle di Pecorelli: secondo una nota inviata alla commissione Moro dal comando generale dei carabinieri molto materiale venne sequestrato in casa e nell’ufficio del giornalista dopo la sua morte. Ma nessuno è in grado di dire che fine abbia fatto.
Mercoledì 3 maggio, ore 17
In piazza Barberini, sotto un bel sole, Mario Moretti incontra Morucci e la Faranda e comunica loro la decisione di uccidere Moro. I due sono contrari, ma non c’è più nulla da fare.
Venerdì 5 maggio, ore 10
Le Br diffondono il comunicato numero 9: “A parole non abbiamo più niente da dire alla Dc… Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Moro è stato condannato”.
Lunedì 8 maggio, ore 11
Un brigatista telefona a un parroco della Val di Susa e gli chiede di riferire ad Eleonora Moro che “Il mandarino è marcio”. E’ l’anagramma della frase “il cane morirà domani”.
Martedì 9 maggio, ore 10
Il cadavere di Aldo Moro viene lasciato dai brigatisti nel cofano di una Renault 4 rossa, in via Caetani, a uguale distanza dalle sedi della Dc e del Pci (*). Il presidente della Dc è stato ucciso, dopo che i brigatisti gli hanno ordinato di rannicchiarsi nel portabagagli dell’auto, da una raffica di pistola mitragliatrice Skorpion al petto e da due colpi di una pistola calibro 9. L’esecuzione materiale è stata attribuita in diversi processi a Prospero Gallinari, ma esistono dei dubbi sul fatto che sia stato realmente lui a sparare. E’ solo l’ultimo dei misteri del caso Moro: a distanza di quattordici anni e di quattro processi non ci sono certezze su nulla di ciò che riguardi il più traumatico omicidio della storia italiana del dopoguerra. Anche per questo, all’ombra del caso Moro, si gioca ancora oggi una partita dai contorni non sempre decifrabili.
Gianlu’, in confronto al casino successo per le liste (vecchie, unte e bisunte) della massoneria, le reazioni a questi tuoi post sono sconfortanti.
La vagonata di cacchiate mediatiche successe da fine ’93 ad oggi ha cancellato la memoria ad un’intera generazione. Che non conosce Moro e Berlinguer, che non apprezza la complessità della politica e dell’economia e che si affida a nani liftati.
Grazie Gianluca, ottima iniziativa.
A Giallù, nun t’azzardà a smette de pubblicà ‘sto libbro che ce l’avevo e l’ho perso, e che con piacere sto a rilegge ogni giorno.
Grazie
Giancarlo
Moro come Matteotti ?
Domanda: “Sei stato tu?”
Risposta: “Si”
D:”Si è detto che era Gallinari”
R:”No. Non avrei permesso che lo facesse un altro.Era una prova terribile, uno si porta la cicatrice addosso per la vita”
D:”Tutte le sentenze hanno indicato Gallinari e lui non hai mai smentito”
R:”Perchè Prospero ha sempre visto, come tutti noi, l’aspetto politico. E in questo quel che aggiungo ora non cambia niente. Io ne parlo per la prima volta, non l’ho mai fatto neppure con i compagni. Non è nostro costume. Ma stavolta è diverso, non mi pare onesto lasciare all’infinito un peso su altri, anche se politicamente e giudiziariamente non conta. Quando ho deciso di fare con voi questo lavoro sugli anni della lotta armata, ho deciso di non tacere più nulla, e prendermi le mie responsabilità senza lasciare non dico zone oscure, ma neppure ombre.”
Mario Moretti, “Brigate Rosse, una storia italiana. Intervista di Carla Mosca e Rossana Rossanda”, Baldini e Castoldi, Milano 2000
Zanna, ancora migliore e’ la deposizione di Maccari, che era con Moretti, ma non sapeva come era stato ucciso, non sapeva dei fazzoletti e non sapeva della posizione del corpo rispetto alla direzione dei colpi.
Fabrizio, forse sono stato frainteso. Ho postato l’estratto dell’intervista di Moretti perchè credo che, almeno per quel che riguarda la morte di Moro, è chiaro chi ne è responsabile. Abbiamo una persona , Moretti, che se ne assume l’intera responsabilità. Lo stesso Maccari, a differenza di quanto dici, conferma quanto detto da Moretti
(http://www.almanaccodeimisteri.info/audizioneMaccari21gennaio.htm#mac). I “non ricordo” di cui parli a mio avviso non sono così gravi, tenendo presente il lasso di tempo che intercorre tra l’audizione di Maccari e l’uccisione di Moro.