“Ma che succede?”. Il supermegamanager galattico della Coca-Cola aveva appena anciato la sua supermega operazione di supermegamarketing. Ma qualcosa, nei grafici, andava storto…
Chi controlla la Coca-Cola. La Pepsi avanza. Perciò salta il megamanager della Coca-Cola, l’ormai non più vincente Douglas Daft. Tanti anni fa – una ventina mi sembra, ma forse più – ci fu un problema analogo fra Coca e Pepsi: allora la Coca-Cola era un’azienda estremamente conservatrice, manager tutti wasp, che solo da poco aveva cautamente unificato le proprie campagne pubblicitarie (prima erano due, una per i bianchi e una per i neri). A un certo punto, al vertice della società arrivò un giovane – e ovviamente spietato – manager quarantenne, senza cravatta, coi baffetti e addirittura di vaghe origini latine. Costui, come insediato, prese in pugno la situazione e affrontò subito la crisi. Formò un comitato tecnico con i migliori chimici americani per analizzare scientificamente fino all’ultima bollicina della PepsiCola. Chiamò gli psicoanalisti più rinomati – anch’essi organizzati in un’apposita task-force – per farsi spiegare con precisione che cosa quei bastardi di giovani credessero di trovare nella Pepsi. Assoldò esperti di pubblicità subliminale, pubblicitari incalliti, superguru del marketing e quant’altro. Infine tutti questi esperti – pagati un quintiliardo l’ora, dotati di tutte le tecnologie più evolute – presentarono il rapporto finale: la concorrenza vinceva per questo, questo e quest’altro. Per batterla bisognava fare un prodotto che avesse queste, queste altre e queste altre ancora caratteristiche.
Detto, fatto. Il nostro supermegamanager immediatamente spedì una serie di ordini, e nel massimo segreto i tecnici della Coca-Cola elaborarono una nuova formula efficientissima, con cui la Coca-Cola acquisiva il numero di bollicine della Pepsi e una in più, l’esatto contenuto di zucchero ma ancor più calibrato, le esatte percentuali di caramello, di glucosio, di anidride carbonica e di tutti quegli altri ingredienti che non conosciamo (e che, tutto somamto, è meglio per noi non conoscere) e che danno il caratteristico gusto alle bevande del tipo Cola. Alla fine, la nuova Coca fu pronta: naturalmente, non la misero in vendita subito ma prima commissionarono un’apposito studio di marketing con modelli psico-matematici dell’intera popolazione americana, armarono una faraonica campagna di lancio – i cui testimonial erano i Beatles, Napoleone, il Presidente Lincoln e, nella fase finale, Dio in persona – e finalmente la gettarono sul mercato: la Coca-Cola Dei Giovani, la Nuova Coca-Cola, la Coca-Cola Del Domani. Tiè!
In un paesino del Tennessee, nell’unico bar locale, un tizio che non si sa chi sia – lo chiameremo Jim Redneck, tanto per dargli un nome – stappò una bottiglietta di (new) CocaCola, rifiutò – come faceva da trent’anni – il bicchiere, se la portò alla bocca e come da trent’anni faceva se la mandò giù a garganella. Dopo un minuto ruttò (anche questo lo faceva da trent’anni) ma stavolta, dopo aver ruttato, invece della consueta espressione di beatitudine che sempre lo pervadeva in questi casi gli si disegnò sulla faccia un’espressione nuova e strana: un’espressione sorpresa. Dopo un altro minuto Jim Redneck del Mainstreet Bar di Bugsville Tenn. aprì disgustato la bocca e pronunciò: “Bleah!”.
Da quel momento in poi le sorti del nuovo prodotto, e quindi della Coca-Cola e dunque (“Ciò che è bene per la GM è bene per gli Stati Uniti”, Robert McNamara, 1965) dell’intera Nazione, cambiarono rapidamente. Su istigazione del vecchio Jim, i frequentatori del bar fondarono un Good Old Coca Committee, un comitato per il ritorno alla vecchia cocacola. Il comitato aprì la sede nel retrobottega del bar, sotto i ritratti di Jeff Davis e Linda Lovelace; si estese al villaggio vicino, e poi all’intera contea. Nel giro di un mese il Committee copriva già l’intero Tennesse e cominciava a estendersi in Georgia e in Alabama. La sede di Chicago fu aperta due mesi dopo. A ottobre era su tutti i giornali. A dicembre il supermegamanager innovatore (di cui, non a caso, non è sopravvissuto il nome) riunì il consiglio d’amministrazione e, circondato su ogni parete da grafici delle vendite puntanti al pavimento, guardato da dodici paia accusatorie di occhi manageriali, davanti al sorriso viscido del manager candidato a succedergli (che poi era il suo vicino di ranch e amico di barbecue), tossicchiò un paio di volte, cercò invano un minimo segno di pietà sui visi, attorno al tavolo, degli altri lupi e infine farfugliò umilmente: “Signori… ehm… visto com’è andata la campagna… uhm… io… ahem… mi dimetto”.
Così nacque e morì la Nuova Coca-Cola, la Coca-Cola Rinata, quella che avrebbe dovuto distruggere il Grande Nemico Pepsi e unificare il pianeta sotto un solo Impero. Oggi sopravvive, per un mercato di nicchia, col nome – se non andiamo errati – di DietCola o qualcosa del genere. Al Mainstreet Bar di Bugsville l’ormai vecchio Jim Redneck in questo momento sta stappando la terza lattina della giornata e fra un minuto esatto – se tutto va bene – rutterà soddisfatto. Altrimenti, saranno cazzi amari per il nuovo supermegamanager, per la Coca-Cola, per il Governo degli Stati Uniti e, per come si sono ormai messe le cose, per l’intero pianeta noi compresi. Perché quella è una democrazia, amici miei.
Nuove tasse. Due – forse – rientreranno per l’opposizione suscitata subito fra la gente. La prima, sui libri in prestito nelle biblioteche; la seconda, sul raccordo anulare di Roma. Delle due, la tassa sui libri è la più bella e significativa: il libro è un lusso, leggere è un optional e se siete ignoranti tutto sommato è meglio: per votare i miei slogan non serve una gran cultura. La seconda è semplicemente la riproposizione del vecchio balzello feudale su ponti, piste carrabili, strade (quelle che c’erano) e mulattiere. Vuoi passare di qua? E’ un privilegio, un soldo e il signore benignamente te lo concede. Nell’uno e nell’altro caso, miracolosamente, qualcuno ha sgamato quel che bolliva in pentola, i giornali si son riempiti di lettere di protesta (più lettere che inchieste: i lettori ormai cominciano a essere più attenti dei giornalisti), e per stavolta gli è andata buca. Occhio alle prossime, che non mancheranno.
Il Dibbattito. Salvo Andò, l’ex braccio destro di Craxi per la Sicilia (e i servizi segreti, e un po’ di altre cose), è rientrato alla grande nel giro Vip della sinistra perbene, che ormai fa a gara per averlo nei suoi convegni. Gli ultimi: a Catania con Emanuele Macaluso (tema: la storia del Pci); a Giarre con Antonio Pioletti (tema: il, come lo chiamano fra di loro, “riformismo”.
Cuore. Ieri intanto è venuto a trovarmi a casa S., quello basso e magro, col viso sorridente e gli occhi piccoli e furbi, che par che frughino per tutto. E’ un bell’originale. Egli conta sempre i soldi che ha in tasca, conta sulle dita lesto lesto, e fa qualunque moltiplicazione senza tavola pitagorica. E rammucchia, ha già un libretto della cassa di risparmio. In iscuola traffica sempre, fa ogni giorno vendite d’oggetti, lotterie, baratti; gioca ai pennini e non perde mai; ha un quadernino dove nota i suoi affari, tutto pieno di somme e di sottrazioni. A me piace, mi diverte. Dice che appena finite le scuole metterà su un commercio nuovo che ha inventato lui e si chiama “televisione”. Mio padre, fingendo di legger la gazzetta, lo stava a sentire, e si divertiva. Egli ha sempre le tasche gonfie delle sue piccole mercanzie, e par continuamente sopra pensiero e affaccendato, come un negoziante. I compagni gli danno dell’avaraccio, dell’usuraio. Io non so. Coretti, il figliuolo del rivenditore di legna, dice ch’egli non darebbe i suoi soldi neanche per salvar la vita a sua madre. Mio padre non lo crede. – Aspetta ancora a giudicarlo, – m’ha detto; – egli ha quella passione; ma ha cuore.
Offerta di lavoro. “Agenzia di comunicazione a livello nazionale cerca talentuoso account jr”.
Parole. Malinconia (sonata au-clair-de-lune, Guidogozzano, Ennio Flaiano, Leopardi), spleen (Baudelaire, Lord Byron che va a morire in Grecia), cafard (ah! quel bistrot!), saudade (complicatissimo: un mal d’Africa che alla fine produce rivoluzioni a Lisbona). Tutto questo, tecnicamente, oggi è diventato “depressione”, con relative pillole.
Spot. Da tre anni in rete Redattore Sociale, l’unica agenzia giornalistica italiana che si occupa degli italiani non-Vip e della vita che fanno. Completamente rinnovato, per l’occasione, il sito.
Bookmark: www.redattoresociale.it
Fabio wrote:
marcochiletti@libero.it wrote:
A proposito di sapori e di rutti, come la cocacola, quale sapore ha la beffa della vendita dei prodotti medicinali in fascia “C”, dopo che è stata soppressa la seconda fascia e che alcuni prodotti quelli della fascia “A” sono stati declassati in “C”, quelli a totale carico del consumatore?
Si sa forse che tali prodotti, anche se non sono salvavita,hanno subito un aumento in alcuni casi anche del 600% ? Questi prodotti se acquistati in altri paesi europei, hanno mantenuto il prezzo originario o hanno subito una piccolissima variazione; l’Istat afferma che i medicinali sono aumentati di pochissimi punti in percentuale, mi domando chi si sta arricchendo e chi controlla chi dovrebbe controllare che tutto ciò non avvenga.
Caro Orioles, sono davvero preoccupato: da tutte le parti continuo a leggere e sentire che siamo in un regime, che i telegiornali sono tutti uguali, che le voci indipendenti sono davvero poche… ora che ci penso,però, sento sempre solo questi (che magari, qualche volta, potrebbero anche non fare come il Fabio che ti ha scritto, cioè lamentarsi e basta, ma anche lasciare qualche recapito per raggiungere la voce indipendente che sostiene, magari potrebbe pure citarne più d’una, così che i “lombardi berlusconiani e bossiani e antimeridionali” come me possano farsi una cultura…)