Dopo Proserpina, x§°nalità c°nfu§a, Blogmatic Cafè, Sai tenere un segreto? ed EmmeBi, l’intervista settimanale di Ciccsoft tocca al sottoscritto.
La frase esatta era “Dove sputa lui nasce una community”, ed era di Gonio o Massimo Bernardi, non ricordo. Ma leggerla, per quanto magari un filo esagerata, mi fece parecchio piacere. “Community” è una di quelle parole che, su Internet, sono passate di moda qualche anno fa, e che quasi portano un po’ sfiga, alla pari di “portale”, “stock options”, “IPO”, “break even”. Eppure, se ci pensate, è sempre di comunità che si sta parlando quando vengono citati blog, i “social software”, le chat, i forum, E-Bay e Amazon, la rete in generale. Ecco, non è che io sia un esperto di “community”, molto più semplicemente: mi piace internet. Anzi, no: non sempre mi piace. Mi piace come potrebbe essere, quel che potrebbe diventare. La uso, in pratica.
Clarence è stata un’esperienza fantastica, come può essere fantastico concepire minchiate per lavoro. Facendo satira, Clarence poteva permettersi tutto, e ci ha permesso di tutto. E’ stato un periodo davvero felice. E non so se ci sarà mai più un posto, a parte Cuore e Clarence, in cui le riunioni consisteranno nello spararle grosse, mettere insieme tutte le cazzate che vengono in mente, e farne un titolone da prima pagina, o da homepage.
Difficoltà iniziali non ce ne sono state, se prendiamo come termine di paragone la miniera. Abbiamo iniziato in un cubo di tre metri per quattro, investendo tutti i soldi (pochi) che avevamo perché il portale potesse permettersi una redazione stipendiata. Dopo aver incontrato il primo “venture capital” la voce è girata, e abbiamo trascorso qualche mese tra investitori che si proponevano per comprarci. Ad ogni incontro il prezzo si alzava e l’interesse per quel che facevamo, come a quei tempi era normale, tendeva sempre di più a zero. Abbiamo – molto semplicemente, e anche molto volgarmente – scelto quello che offriva di più. Ma anche quello che avrebbe garantito il necessario finanziamento per il progetto che avevamo in mente.
Mettere insieme una redazione che faccia di un hobby un lavoro non è difficile, quando si è oculati e si scelgono persone valide. Difficile, semmai, è far capire che la satira (per quanto non sembri) ha bisogno di umiltà, di capacità di mettersi in gioco, di autocritica, di onestà. E di creatività, perché, in fondo, è un’arte nobile come tante altre discipline.
Macchianera è uno dei personaggi Disney che mi è sempre piaciuto. Le storie in cui compariva erano le meno buoniste tra tutte. Cambiare nome è stato un passo obbligato, per motivi legali. Quando ho dovuto farlo, ho scelto Macchianera perché era l’unico furfante di Topolinia che riusciva sempre a farla franca, anche quando i colpi gli andavano male. Macchianera, in pratica, è uno su cui Topolino non è mai riuscito a mettere le proprie zampacce.
Già: “cui prodest”. Lo chiedono in tanti. Se lo chiedono per primi gli “ospitati”, credo.
Pago io. Così, perché nella vita è giusto, ogni tanto, fare le cose che non rendono per puro piacere.
Ecco, leggere quei blog è puro piacere: mi sarebbe spiaciuto se alcuni fossero spariti vagando da una comunità all’altra. Quanto all’“unione-che-fa-la-forza”: non credo che risiedere su un unico server faccia un’unione. Nè, tanto meno, una forza. Non ho mai fatto differenze tra blog “splinderiani” e “clarenciani”, tra quelli che han preferito Blogger rispetto ai “cannolicchi” (non è colpa mia: han scelto loro di chiamarsi così). Credo che la vera forza stia nei blog messi tutti assieme. Anzi, no, non credo nemmeno nei blog: i blog non esistono. Credo nella forza di chi ha qualcosa di originale da dire, indipendetemente dal mezzo che utilizza.
Il pericolo che Macchianera si “forumizzi”, come dice qualcuno, in effetti c’è. Esiste per tutti i centri di aggregazione che, man mano, diventano sempre più frequentati.
Io non credo che i blog siano un’evoluzione dei forum per il semplice motivo che i forum non sono in grado di evolversi: in genere implodono, fanno “puf!” e scompaiono in una nuvola di polvere, quando chi vi interviene inizia a confondere lo scrivere con la masturbazione.
Questo credo: che la libertà di poter intervenire non significhi “dover” intervenire, anche quando non si ha niente di originale o intelligente da dire. Capito questo, qualsiasi cosa siano i blog e sempre che se ne senta il bisogno, evolveranno.
No, al momento no. E’ possibile che in futuro possa continuare da collaboratore: resta, inevitabilmente, l’affetto per qualcosa che si è creato. Quanto al mio impiegare il tempo: leggo molto, tutto quel che posso; medito le fesserie che poi andrò a scrivere; non frequento più quegli ammassi di milanesità che sono gli aperitivi; penso, per il futuro, a nuove uova di Colombo che stiano in piedi.
Credo sia contenta così. Ora rivelo una cosa che ho solo confessato a voce a qualcuno: io non so se mia madre ci volesse calciatori, però attori forse si. Altrimenti non si spiega perché abbia chiamato me Gianluca ispirandosi al figlio di Dorelli e mio fratello Gianmarco come il figlio di Tognazzi. Sono cose che segnano, marchi d’infamia difficili da cancellare. Specialmente quando il figlio di Dorelli, anni dopo, ti querela (e poi tu vinci, ma questo è un altro discorso). Mi chiedo, più che altro: che cacchio di giornali leggeva, mia madre, prima che nascessimo? Lo sanno, quelli di Novella 2000, di avere delle responsabilità nei nostri confronti?
Quanto a Gianmarco: essendo un validissimo programmatore fai-da-te, ha concepito due siti che hanno parecchio a che fare col mondo dei blog. Non ha un blog solo perché è timido, credo, ed è un peccato, perché a Clarence, in piena autonomia, ha affinato uno stile di scrittura notevole che lo rende capace di scrivere cose esilaranti.
Sfatiamo un mito: io sono come San Tommaso e quindi non credo in Laura Bogliolo. Credo solo a quel che vedo e tengo a precisare che, anche se dovessi vederla, non le verserei mai il mio otto per mille.
Detto questo, ci crederanno in pochi, ma le prese per i fondelli nei confronti della Bogliolo hanno origine dalla tenerezza che mi fa il vedere una persona tanto affascinata dall’idea di un giornalismo come potrebbe averla uno sceneggiatore di Hollywood. La mandano ad intervistare zoccole alle tre di notte, e si esalta invece che lamentarsi. Due giorni dopo fanno una retata grazie al suo articolo, rastrellano i travestiti che ha intervistato, e lei se ne vanta perché la polizia la legge. Pensa che il giornalismo sia solo quello sociale ed impegnato degli inviati di guerra, e si dimentica di Fox News e di tutte le altre voci del padrone. Davvero: non fa tenerezza anche a voi una che dipinge il mondo con pennellate tanto naïf?
Non lo so. C’è gente che non ha un cazzo da fare che le usa, quelle cose. E, peggio ancora, gente che non ha un cazzo da fare e le inventa, quelle cose. Io, facendo parte di entrambe le categorie, sono quello messo peggio di tutti.
Era un auricolare Bluetooth, e l’ho tenuto all’orecchio per non più di due minuti, perché all’ingresso c’era gente bloccata che non riusciva ad entrare e mi telefonava. Però, a quanto pare, è stato un tempo sufficiente perché entrasse nel mito.
Se credo ai prodigi del Bluetooth? Assolutamente. Col tempo, vedrete che si affermerà sempre più nel mondo dei contraccettivi. Niente, a parte un’antenna di Radio Vaticana, ha lo stesso potere di sterilizzazione definitiva. Io, che faccio largo uso di tutto ciò che è “wireless”, ho un pretore personale che, a volte, mi impone di cessare le trasmissioni. Mia madre, a volte, dice che mi sente nel citofono. Non ho avuto il cuore di spiegarle che, quelle volte, io ero davvero al citofono.
Penso che, come dopo il ’68, ci si sia tutti un po’ rotti i coglioni di citarsi addosso parlando di blog. E’ il riflusso che segue la pallosità dei periodi in cui ad ogni incontro “segue dibattito”. Quando ho organizzato la BlogFest mi sono premurato che fosse una festa e basta, senza “blogstar” sul palco, senza interventi di esperti, senza Derrik De Kerkove (e non è facile, credetemi: appare come la Madonna di Fatima appena sente che si sta formando un agglomerato superiore alle tre persone). Volevo che rappresentasse un’occasione d’incontro tra persone che sono quotidianamente in contatto, una scusa per stringere mani e vedere facce e parlare del più e del meno.
Se lo sapessi non lo direi. E mica per un fatto di omertà. Credo solo che tutti si sia passata senza particolari traumi quell’età in cui devi rompere il giocattolo per vedere cosa c’è dentro. So che qualcuno il giocattolo l’ha rotto, e io non mi spiego il divertimento nella cosa.
La radio è un mondo che mi affascina da sempre, ma non l’ho mai fatta. E mica per niente uno dei miei libri (e film) preferiti è “Private Parts” di Howard Stern. Chiunque abbia modo di leggerlo potrà accorgersi delle affinità tra il mondo dei blog e quello della radio. Perché non ci ho mai pensato? Perché quando accendo Radio Deejay non trovo un modo migliore di farla che non sia il loro. Non c’è la sfida: che senso ha mettersi a fare qualcosa se non sai di poterla fare meglio, quando c’è già qualcuno che la sta facendo bene?
“Quarantadue” è una risposta più che sensata. Basta attendere qualche milione di anni perché “Pensiero Profondo” scopra qual era la domanda.
Sanremo è, è stato e sempre sarà Pippo Baudo. Riguardo a questo argomento nutro una convinzione: che a cercare di migliorare Sanremo (sempre che Renis ci riesca, e ne dubito) si fa peccato mortale. Sanremo *deve* fare schifo. Altrimenti non c’è più gusto. Chi vuole la canzone d’autore ha sempre il Premio Tenco, che mica per niente mandano in differita, su RaiDue, alle tre di notte, sei mesi dopo.
Francamente non lo so. Ma ho mandato un SMS al senatore Colombo e a Micchiché. Se avete tempo, avremo la risposta a breve.
Omnitel, qualche hanno fa, minacciò di querelarmi perché in un’intervista dichiarai che le compagnie di telefonia mobile stavano facendo cartello per impedire l’invio gratuito di sms, loghi e suonerie ed iniziare a gestire il business imponendo prezzi stratosferici. E’ esattamente quel che poi è successo. Qui, senza alcun problema, ribadisco: non solo quello delle suonerie, come business – pur redditizio – è una stronzata. E aggiungo: pure chi è disposto a spendere fino a quattro euro per un file che fa plin plon per venti secondi ed è disponibile gratuitamente in rete è, a mio parere, un incommensurabile pirla.
Francamente, cinque mi sembrano troppi. Dici che devo comunque sceglierli uno per uno, fino ad arrivare al quinto? Va bene: QuintoStato.
Io del digitale terrestre ho parlato male, finché un vecchio amico non mi ha proposto di lavorare ad alcuni progetti per quella piattaforma. Per questo motivo, consapevole dell’importanza che in questo paese viene attribuita al conflitto d’interessi, dico: è bellissimo, grande, portentoso, scintillante, pratico, futuristico, innovativo ed utilissimo. Mi spiace, per i motivi sopra esposti, non potermi lasciare andare all’entusiasmo.
So di dare a tutti una triste notizia, ma devo: l’hanno impagliato.
Bel commiato. Per un attimo mi hai fatto sentire a BlogAge.
Niente da commentare.
Talkin’ about a revolution
Don’t you know They’re talkin’ bout a revolution It sounds like a whisper Don’t you know They’re talkin’ about…
Talkin’ about a revolution
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Preciso (perché il cicciottello milanese sa solo dedurre e inventare storie): non mi hanno ”ordinato” di andare a intervistare le mignotte. E’ stata una mia scelta. Non mi hanno ordinato di andare a sentire l’odore dei senza tetto. E’ stata una mia scelta. Non mi hanno ordinato di stare per strada fino alle 5.30 del mattino. E’ stata una mia scelta .
Avrei potuto aspettare fuori i locali i parioli aspiranti cicciottelli milanesi, avrei potuto beccare qualche snob aspirante cicciottello milanese fuori ai teatri. Avrei potuto. Ma ho scelto di scrivere sull’altra faccia della Roma notturna e infreddolita.
Non credo che ”il giornalismo sia solo sociale”. Credo che il giornalismo sia vita, e nella vita c’è di tutto. ci
sono i vip e le serate mondane , ci sono i i micio macho, e SOPRATUTTO non sono una ragazzina idiota che crede che il giornalismo sia tutto rose e fiori. Ah Gianllu’…aripiate….
CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP…
Rassegna Stampa
Capita, che uno, rientrando da Udine prenda l’Intercity Notte e che alle 6:30 del mattino il simpatico cuccettiere bussi con delicatezza alla porta dello scompartimento per annunciare l’appropinquarsi della stazione Roma Tiburtina, allungan…
Rassegna Stampa
Capita, che uno, rientrando da Udine prenda l’Intercity Notte e che alle 6:30 del mattino il simpatico cuccettiere bussi con delicatezza alla porta dello scompartimento per annunciare l’appropinquarsi della stazione Roma Tiburtina, allungan…
Rassegna Stampa
Capita, che uno, rientrando da Udine prenda l’Intercity Notte e che alle 6:30 del mattino il simpatico cuccettiere bussi con delicatezza alla porta dello scompartimento per annunciare l’appropinquarsi della stazione Roma Tiburtina, allungan…