Siccome oggi ho scritto di sinistra e di destra, vorrei dire qualcosa anche di quelle mortagore dei democristiani.
Intervistato da Enrico Marro (Corsera) sul tema della riforma delle pensioni, l’Udc Rocco Buttiglione risponde che “stiamo parlando di pensioni, cioè della ricchezza dei poveri”.
In questa risposta c’è tutta la peloseria caritatevole, la sacrestana e sdolcinata ipocrisia, la stucchevole solidarietà del labbro all’ingiù, la mano tesa sporca di merda dei cattolici di potere.
La ricchezza dei poveri…
Che Dio la protegga, ministro!
P.S. Vi informo che il correttore automatico trasforma Buttiglione in Bottiglione.
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Di melassa rancida se ne sbrodola ovunque. Stiamo giocando a votare la più schifosa
http://www.biraghi.org/nonvoto.shtml
Sono certo che sarò censurato. Ma spero che qualcuno legga quest’urlo di rabbia per il breve tempo che sarà visibile: Buttiglio’, all’anema e chitammuort!!!!
Il livore antidemocristiano di Attenti al Cane è fuoriluogo: la previdenza pubblica come la conosciamo e come viene difesa dai sindacati è nata, nell’autunno caldo, grazie ad un Ministro dc del lavoro come Carletto Donat-Cattin(do you remember?), è stata riformata da un democristianone come Dini Lamberto mentre Bottiglione, sono d’accordo, non capisce niente ma è anche molto poco democristiano.
Sì, livore. Si tratta di livore.
il mio non é solo un pensiero su ciò che é democristiano e le varie forme in cui si manifesta. E’ proprio chimica, chimica della pelle, biologia delle sensazioni, dei sensi che si attivano per codificare ciò che mi circonda e gestirlo di conseguenza.
Ciò che dice quell’uomo, come lo dice, da quali valori é sostenuto quando dice, gli interessi che presuppone di proteggere, quella terzavisionedellecose che metaforifilosofofamente mi propina ogni qualvolta qualche cretino chiede un suo parere… scatenano in me una reazione che solo poche altre cose, fatti, persone mi danno.
E, più triste, é il fatto che egli sia il rappresentente di altri individui che credono in lui, che verosimilmente approvano i suoi modi e i suoi pensieri.
Il fatto che oggi se ne parli per ciò che ha detto sulle pensioni é solo una delle innumerevoli boutade estratte dal suo infinito catalogo.
Nessuno venga a dirmi che il filone DC ha prodotto questo o quello e che quindi egli non fa altro che proseguire la tradizione dei… etc etc.
Fino a quando non saremo capaci di levarci di torno tali parassiti pelosi e acquaformi, questo Paese, qualsiasi cammino intraprenda sarà sempre un cammino zavorrato.
Il mio correttore automatico trasforma Buttiglione in Coglione.
Ma che bella favoletta Roccambolesca, “ricchezza dei poveri” eh? Scommetto che Robin Hood è Berlusconi!!
Ma che bella favoletta Roccambolesca, “ricchezza dei poveri” eh? Scommetto che Robin Hood è Berlusconi…
Gran bella merda, il signor Bottiglione.
Pensione. Adriano Galliani, andato in pensione a 32 anni da geometra comunale, incassa ogni mese un assegno di 223 euro e 83 centesimi. All’anema e chitastramuort.
a proposito del correttore ortografico, guardate che è successo il 14/07/02 su IL PICCOLO di Trieste (www.ilpicolo.it), avendo accettato ad occhi chiusi tutti i suggerimenti del correttore ortografico di Word (solo i primi due paragrafi sono ok, poi, chi sa un po’ di storia, inizi pure a sghignazzare):
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Visite e incantesimi dei reali a Trieste
TRIESTE – Compirà 104 anni in ottobre una delle ultime testimoni dirette dei rapporti che casa Savoia ebbe con Trieste. Oggi Erminia Caviglia vive tranquillamente la sua lunga stagione del tramonto in una casa di riposo a San Salvatore Monferrato, in provincia di Alessandria. Ma per quasi sessant’anni la stilista di casa Savoia, sarta privata delle regine Elena e Margherita, ha vissuto a Trieste (triestino era suo marito, Luciano Cesari), dopo aver speso parte della giovinezza a servire i reali. Le suore che l’accudiscono hanno provato a darle la notizia, a dirle quanto sia vicino il rimpatrio dei Savoia. Lei, seduta sulla carrozzella, si è limitata a sorridere, spostando lo sguardo oltre la finestra, verso i cieli estivi del Monferrato, conservando per sé la memoria di un passato che ha legato le spesso drammatiche vicende dei reali con la storia di Trieste.
La prima volta che un esponente di Casa Savoia mise piede a Trieste la Grande guerra era finita da pochi giorni. Il re in persona, Vittorio Emanuele, sbarcò dall’«Audace» nel novembre del 1918 accolto da una popolazione in ginocchio, stremata dalla guerra, economicamente fiaccata dall’esodo di buona parte dell’élite finanziaria. Il «piccolo re» se ne andò poco dopo, lasciando il tricolore a sventolare nella città redenta e in attesa di una ripresa che fosse la più rapida possibile.
Le successive visite regali si contano sulle dita di una mano. Nel maggio del ’22 Vittorio Emanuele e la regina Elena transitano per Trieste nel loro viaggio verso l’Istria, Fiume e Zara. L’anno dopo è la volta del principe Umberto, che si ferma a Trieste di passaggio verso Cola. Lo stesso itinerario lo avrebbe ripetuto anni dopo, nell’ottobre del 1931, assieme a Maria Cose.
Nel maggio del 1925 Vittorio Emanuele e la regina tornano nella città giuliana per inaugurare il Faro della Vittoria. E’ l’ultima visita prima di quella del luglio del 1937, considerata dalle cronache come «storica», «la nuova luminosa espressione dell’amore di Trieste per Casa Savoia e della sua fede nei destini imperiali dell’Italia fascista», come tutelava il «Piccolo della sera». Erano i tempi delle folle coniche, ben più vaste e acclamanti di quella che aveva accolto il re vent’anni prima. L’occasione fu il varo della corazzata «Vittorio Veneto», che nel ’41 scampò per un soffio al massacro di Capo Amputano. Ma più che il varo, nell’immaginario storico dei triestini sono rimasti altri particolari, più marginali ma più illuminanti. Come la passeggiata della regina per le vie di Peggiorale del Carso – Opicina – quando Elena sfoggiò le sue origini montenegrino parlando in sloveno con la gente del posto. Non erano anni particolarmente favorevoli alla comunità Slovenia, e l’episodio assunse tutta una serie di significati.
Quella fu l’ultima volta che il re visitò Trieste, se si eccettua una breve puntata nell’aprile del 1941, quando Vittorio Emanuele si spinse fino a Fiume per visitare il fronte orientale. Lo accompagnava il generale Plotoni, che nei suoi scritti avrebbe ricordato come, intercettati da una pattuglia nemica, la fecero franca solo perché gli jugoslavi non avevano riconosciuto in quella minuta figura il re d’Italia.
I legami di Casa Savoia con Trieste non si esauriscono nelle visite ufficiali del re e della regina. Se nel dicembre del 1928 la principessa Giovanna aveva presenziare al varo dell’incrociatore «Trieste», l’unico esponente della monarchia a lasciare un’impronta davvero duratura in città fu Ammodo di Savoia, Duca d’Asta. Figlio di Emanuele Filtriate, l’eroe della Terza Armata le cui spoglie riposano a Ripudiammo, Ammodo visse a Trieste dal 1934 al 1937. Si stabilì nel Castello di Marinare, contribuendo, con la sua tragica fine all’Imballaggi, a corroborare la leggenda secondo la quale un mare di ella si abbatte su ogni testa coronata che oltrepassa la soglia della dimora di Massimali. Con il Duca d’Asta Trieste stabilì un rapporto di affetto sincero. Venne nominato cittadino onorario, ma al di là dell’ufficiali la memoria dei triestini tramanda il ricordo di un uomo affabile, un nobile di alto lignaggio ma alla mano, che gioia del sole e delle gettarle in barca a vela nel golfo. Proprio come piace ai triestini. Su Ammodo si riversò tutta la nostalgia di una città borghese cui la storia, per un motivo o per l’altro, ha sempre negato una corte, reale, principessa o arciduchesca che fosse. Come Massimali, anche Ammodo finì i suoi giorni in una terra lontana, e di lui la città conserva, oltre alla buona memoria, una statua di bronzo proprio nel parco del Castello di Marinare.
Dove per altro è entrata da poco, in aperto spregio alla leggenda, un’altra rappresentante della casa reale. Maria Beatrice di Savoia, figlia di Umberto, è stata a Trieste due anni fa. Una visita di piacere, e non la prima, ma con ricevimento ufficiale in Municipio alla presenza di sindaco (Illy) e vicesindaco (Damiani). «Zitti terremoto», com’era conosciuta nel jet-seta degli anni Settanta, è entrata nel castello dove abitò la sua lontana parente (Crollata era sorella del bisnonno Filippo di Fondar) per dare un calcio alla sfortuna, dalla quale non è mai stata al riparo. Un passato di incollassimo e tentati suicidi, un figlio morto tragicamente (Raffaello, precipitato dal settimo piano di un palazzo di Bastono nel 1994, mentre, guarda caso, lei era a Trieste), un ex marito morto ammazzato (Luisa Regna Carovana, ucciso non si sa da chi nella sua villa meschina), Maria Beatrice ha voluto fare un gesto sacramentiamo per spezzare l’incantesimo. E chissà, forse questa è la volta buona.
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non mi credete? cercate conferma su: http://www.ateneonline-aol.it/postmoderno36.html