Anniversari

Quello che segue era il primo numero di “Tanto per abbaiare”, esattamente quattro anni fa. Da allora la situazione non è cambiata. Nemmeno noi.

Termina qui la lotta al potere mafioso per questa generazione. Abbiamo ottenuto dei risultati: Sindona, i cugini Salvo, i cavalieri catanesi. Siamo stati sconfitti su tutto il resto. Queste vittorie parziali ci consentono tuttavia di guadagnare del tempo, di allontanare di qualche anno il pieno radicamento del sistema. L’esito finale è comunque, probabilmente, quello russo: marginalizzazione dei meccanismi democratici, istituzionalizzazione dei poteri di fatto, pubblica assunzione dei poteri da parte delle yakuza. Le lotte di questi quindici anni – Borsellino, Falcone, la primavera di Palermo, Robertino Antiochia, i Siciliani, Chinnici, i giudici ragazzini morti e vivi – sono servite semplicemente ad allontanare di alcuni anni questo esito. Che è tuttavia il più realistico, nel giro di alcuni anni. La componente Berlusconi è stata ormai pacificamente accolta, a livello tanto istituzionale quanto culturale, nel sistema politico italiano. Ora, ci sono dei problemi tecnici – come trapassare stabilmente da D’AnnunzioSalandra a Mussolini? come far convivere il vecchio Senato del Regno con la moderna Camera dei Fasci e delle Corporazioni? – ma sono problemi tecnici, per l’appunto. Da siciliani, non riusciamo a respingere un qualche (inutile) orgoglio per il fatto che stavolta, a differenza degli anni Sessanta, non è stata la Sicilia a cedere, ma il rimanente del Paese. Così anche potremmo credere (con lo stesso irrazionale campanilismo) che questa piccola terra, da tanti apparentemente inutili dolori, sortisca almeno – e se non subito, con gli anni – una diversa coscienza di sè, una mitopoiesis alimentata dalle vite versate. Ma stiamo divagando.


Siamo stati, così hanno detto, una sinistra giacobina. La verità è che lo siamo stati per troppo poco tempo e troppo poco. Siamo stati sconfitti perchè, avendo appena sfiorato il “giacobinismo” (la democrazia di massa, la libertà, la coincidenza fra “politica” e vita quotidiana) siamo rapidamente rifluiti nel buon senso tradizionale – girondino. Non ci bastava l’Ottantanove, non ci fidavamo dei citoyens: avevamo bisogno di un Napoleone. E dunque, coerentemente, abbiamo puntato tutto su una battaglia convenzionale. Waterloo.
I liceali palermitani dell’Ottantatrè. I giovani della Fgci di Battiati, l’anno dopo – i primi a presentarsi, nel giorno della battaglia, ai Siciliani. I duecento ragazzi che hanno lavorato in Sicilia, fra l’84 e l’85, con SicilianiGiovani. Antonio che ora fa l’operaio a Bologna, ed era una colonna del Coordinamento Antimafia di Palermo; Fabio, che ora insegna in una qualche scuola di provincia, e le sue inchieste sui quartieri palermitani, riprese dalla stampa francese, ma non da quella italiana. E il Cocipa, e il Centro Impastato, e Città per l’Uomo, e Città Insieme, e i Siciliani: povere e vittoriose armate sanculotte, guardate con degnazione dai generali perbene. Pochissimi, di quei giovani, sono politicamente sopravvissuti. I più, emarginati senz’altro dopo il novantatrè; i meno, avaramente cooptati nella sinistra ufficiale; ma a condizione di lasciar perdere fraternitè e libertè e camice rosse, bardati con galloni inutili, non più da baionetta, ma da parata. Tenenti garibaldini, a Calatafimi e Milazzo; colonnelli sabaudi, a Custoza.
È allora, negli anni dell’Occasione Perduta, che la sinistra si è suicidata. Non c’entrano la Russia e il comunismo, è stato un suicidio tutto italiano. O c’entrano, se c’entrano, molto alla lontana. Nata nel ferro e piombo della guerra mondiale, cresciuta fra le barbarie degli anni Trenta, costretta – per sopravvivere – a svilupparsi come esercito gerarchizzato, la sinistra italiana ha nel suo dna la divisione fra una base combattiva e vivace, legata alla società civile e spesso sua diretta espressione, e un apparato dapprima aristocratico e poi oligarchico, aperto nelle tattiche, ma chiuso alle strategie; abile nelle battaglie regolari, ma impacciato nella guerra a largo raggio. Questa divisione le ha permesso di sopravvivere di fronte alle repressioni di Scelba e di Mussolini. Le ha impedito di vincere, o anche solo di comprendere fino in fondo che cosa la società le chiedesse, negli anni dell’antimafia e nel Sessantotto.
La lotta ai poteri mafiosi, quando ricomincerà, dovrà affrontare tutto questo. Il torto della mia generazione è stato di avere rimosso tutto questo, di aver preteso – per nostro poco coraggio intellettuale – di lottare per la democrazia senza prima risolvere i problemi profondi di democrazia nella nostra cultura e al nostro interno. La prossima generazione – perché è solo ad essa che possiamo rivolgerci ora – terrà conto, se vorrà vincere, di questa feroce lezione. Non c’è antimafia, e non c’è sinistra, senza i liceali di Palermo. Non c’è antimafia, e non c’è sinistra, con le cerimonie “unitarie” al chiuso.

La vecchia mafia – il vecchio potere mafioso – operava in un quadro internazionale “repubblicano”, avente per referente degli stati nazionali. L’America della guerra fredda, l’Italia con la sua appendice meridionale, la stabilità di forze e schieramenti i cui movimenti erano limitati dal sostanziale stato di guerra. Adesso, è tutto più fluido e più veloce. L’America, come soggetto unitario, forse esiste già poco; l’Italia, come ogni altra nazione del vecchio mondo, ha una densità politica forse superiore a quella del Belgio, ma certo inferiore a quella di una multinazionale. In questo nuovo quadro, un potere mafioso rischia di essere già ora – ma molto di più fra qualche anno – non più una patologia parassitaria, sia pur pesante, ma proprio una delle forme fisiologiche dell’organizzazione del pianeta. Dopo Badalamenti, Eltsin; non i corleonesi. La Sony, la Coca Cola, e Cosa Nostra. La cultura mafiosa si smafiosizzerà, ma sarà pervasiva.

Non so su che mezzo stai leggendo, in questo momento, queste righe. Al momento in cui scrivo, non so se esse verranno pubblicate da un giornale, e da quale, o se le diffonderò tramite Internet, o se mi stai leggendo grazie a una stampante laser a 300 dpi – o su un volantino. Faccio il giornalista antimafia da vent’anni, e al ventunesimo anno non sono affatto sicuro di potermi far leggere da te con mezzi “regolari”. Probabilmente, questo ha qualcosa a che fare con le faccende di cui sopra.

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3 Commenti

  1. Beh, i siciliani hanno votato, e in massa, Forza Italia…quindi un po’ hanno ceduto pure loro, no?

  2. che semplicismo, Dario… i siciliani non hanno cambiato proprio niente. prima del 1992 votavano in massa la DC. dopo il 1994 pure, solo che ora e’ frazionata. l’unico motivo per cui nel 1996 l’ulivo aveva vinto di misura in qualche collegio e nel 2001 no e’ che qualche pezzo grosso del PPI era passato nel frattempo all’UDC. tra il 1992 e il 1994 c’e’ stata un’anomalia. la normalita’, purtroppo, non era quella, e non e’ durata. chi come me e altri siciliani non amava questo sistema non ha ceduto; chi ha avuto pazienza per decenni di DC puo’ essersi demoralizzato dopo la fine della primavera siciliana, certo, ma alla fin fine cosi’ come non e’ cambiato nulla attorno, non puo’ essere cambiato molto per lui…

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