Ora, non che la Ventura lo sapesse per davvero, ma sulla forma riflessiva dell’imperativo del verbo “integrare” («Intégrati») aveva ragione lei e non noi (qui “noi” sta per: io e Luca Sofri via SMS, Selvaggia a “Ogni maledetta domenica“ di due settimane fa, Guia Soncini sul Foglio del 15 ottobre).
Tanta sapienza direttamente dal blog del (presunto) cornuto.
Possiamo comunque continuare a consolarci pensando che nessuno potrà mai riabilitare “Hasta la vista siempre!”, “Dietro le mongrovie”, “Patrizia, stacitto!”, “L’ho vista raggiosa e radiante”, “Vuvuvù Isola slash Rai punto it” e “Una coppia che dura nelle intemperie”.
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Ma quale pensava fosse, dottore, la forma riflessiva dell’imperativo di integrare?
A parte che mi sembra che la tua fonte non si sia accorta della questione di cui si parla (e tu abbia fatto poche verifiche): c’è in giro una scarsa sensibilità all’uso degli accenti, e anche il commentatore qui sopra – mi pare – non ha capito che la questione è se si possa dire intégrati, invece di ìintegrati.
Venendo quindi al punto, segnalo che il Devoto-Oli cita ovviamente “ìntegro”, e definisce “meno comune” intégro.
Ciao, L.
aggiungo che lo Zingarelli dà la forma “intègro” (e non “intégro”, che suppongo milanese o comunque nordico nel midollo) come morta (avete presente la crocetta + ?).
Parlando di accenti la Ventura ha sbagliato. Ha ragione luca e torto gianluca a darsi torto.
ah dimenticavo. “intègro” (con l’accento grave) è una forma (peraltro anch’essa morta e stramorta) di ìntegro (l’aggettivo), che non c’entra nulla con il verbo integrare e la sua forma riflessiva (integrarsi). Sempre dallo Zingarelli…