Tracciare la Diaconale

Più penso che esiste il Giornale Nuovo, più mi dico che è un posto fantastico dove vorrei lavorare. Davvero!, vorrei lavorare lì. In alternativa mi piacerebbe recitare in film di Ciccio&Franco (possibilmente quello dove sono macellai zii di Romina fidanzata con Al Bano), fare il manager a Truciolo, occuparmi della terza età di Tinì Cansino, spazzolare scamosciati di montone a Khabul. Dal Giornale al montone è tutta la stessa esperienza: l’hellzapoppin, il cadavere squisito, la vita in diretta (quella di Groucho Marx, però)… E poi, al Giornale, collabora gente di livello. Si capisce che è gente di livello dal fatto che, questa gente, si mette su un sito personale. Sul quale pubblica quanto di prestigioso ha fatto, sta facendo, farà. Per esempio: “Ha condotto il programma L’altroshow, registrato al Teatro Flaiano di Roma e trasmesso dal circuito televisivo nazionale Super six”. Oppure: “Ha promosso la trasformazione della Stazione Vigna Clara in PalaOpinione dove ha presieduto oltre venti convegni dedicati ai temi politici e culturali d’attualità. Ha ideato, organizzato e condotto, in qualità di segretario del Centro Studi Stampa Romana ‘Francesco De Sanctis’, il convegno internazionale su “L’uso politico della storia” a cui hanno partecipato, tra gli altri”. Immancabile, essendo del giro del Giornale, un discreto accenno sul proprio background politico e ideale: “E’ stato candidato al Senato per il Polo delle Libertà nelle elezioni politiche del 1996 nel Collegio 14 della Regione Lazio”. Trombato, ma fiero. E, ora, pure on line. Chi è questo gigante? E’ Arturo Diaconale, l’ente cartesiano del commento politico.


Arturo Diaconale è uno che va subito al punto, le canta chiare a tutti, potenti compresi, è diretto, preciso, circostanziato. Come dimostra l’introduzione al suo Solo i ricchi possono, edito da Armando Verdiglione (ecco, un altro con cui vorrei tantissimo lavorare): “La voglia di dare battaglia ai potenti può essere anche tanta, ma finisce inevitabilmente con lo spegnersi di fronte ai baratri che si verificano nei bilanci delle pubblicazioni. Ne deriva che le polemiche si raffreddano, le contestazioni si ammorbidiscono, le inchieste si rinviano, le accuse si smussano. Non per paura, ma per obbligo di realismo visto che il prezzo dell’opposizione diventa la morte della pubblicazione. E, quindi, la possibilità stessa di testimoniare l’esistenza del dissenso nei confronti del potere. L’intimidazione, la minaccia, l’ammonimento, la prevaricazione raggiungono così il loro scopo. Gli irriducibili continuano a rivendicare il loro diritto all’opposizione. Ma solo con gli argomenti della polemica politica astratta. Non più con le critiche e le denuncie dei fatti concreti. Con il risultato di perdere progressivamente d’efficacia e di capacità di convincimento agli occhi dell’opinione pubblica. Il regime è così salvo. Ma la democrazia è definitivamente compromessa”.
Diaconale non ha paura, come Shpalman: non ha nulla di cui vergognarsi, nulla da nascondere e, se anche lo avesse, direbbe subito dove lo nasconde. Ecco infatti le prime righe della bio ufficiale: “Arturo Diaconale, nato a Montorio al Vomano l’8 settembre 1945 e residente a Roma in via Cosseria 2…”.
Sul sito dell’Arturo si trovano pagine imperdibili, sopraffine, iscritte a caratteri di piombo nella nostra mente perché l’html è proprio di piombo. Per esempio, l’area riservata alle serate che Diaconale ha organizzato e presentato al teatro Flaiano. Una galleria di ospiti prestigiosi quanto lo sarebbe Zeno Colò alla Domenica Sportiva: Margherita Boniver, Carlo Taormina, Michele Saponara, Enrica Bonaccorti. Carne fresca, insomma. Da notare l’agile proposta di adesione al programma teatrale diaconale: si paga in lire. Tra l’altro, nelle pagine cool che ospitano la gallery delle imperdibili serate al Flaiano, veniamo informati che una di esse è stata dedicata a Simone Baldelli, Coordinatore Nazionale dei Giovani di Forza Italia, che ha un talento comico – il che ci era già chiaro anche prima.
Siccome a Diaconale la sconfitta elettorale proprio non è andata giù, ecco che in una seconda pagina autobiografica ci rende edotti dei motivi di quest’oscuro infortunio politica: “È stato candidato al Senato per il Polo delle Libertà nelle elezioni politiche del 1996 nel Collegio 14 della Regione Lazio. La sua sconfitta, ad opera dell’esponente Ds Gavino Angius, è stata provocata dalla presenza del MSI di Rauti che, per dissidi interni di An, ha ottenuto localmente il 6,6% dei voti”. Peccato, con Rauti ce l’avrebbe fatta. Col giornalismo gli è andata meglio: non essendo in dissidio con Rauti, Belpietro lo ha arruolato.

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1 Commento

  1. A.A.A. aspiranti giornalisti offresi

    Beh? Quando il compagno Stalin morì, l’ Unità lo pianse con orgoglio, commozione ed affetto; c’è forse qualcosa di strano?

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