Dite quel che volete. Tirate pure in ballo la teoria della casta di eletti, delle blogstar, dei blog mainstream, ma con questo pezzo – di quelli che ti fan ripescare il testo di una canzone per accorgerti che, si, certi dettagli ti erano sempre sfuggiti – Luca Sofri s’è letteralmente superato.
In tema d’amore raccontato con maestria (e, più nello specifico, di delusioni d’amore), oltre all’intervento del nostro su Donna
“Insomma, è una sera di primavera e questo giovanotto non riesce a prender sonno e così si aggira per la città e finisce sotto il portone della sua ex. Si sono lasciati un anno prima, ma lui ancora non ne è uscito. La pensa. Non dorme. Sai che faccio? Suono e le faccio un’improvvisata…”
è doveroso segnalare il post di Brontolo:
“Non ti ho detto che stasera a casa tua Marvin Gale mi fa solo male, come le luci Artemide e il tavolo finto antico che è solo vecchio, e le tue occhiaie che lo sai solo tu da dove vengono, che son mesi che te ne stai lì in tutina ad aspettare che ti chiamino, e poi di colpo chiamano e dici che è importante, un festival, e poi ti risento tardi, la notte, e ridi, e piangi, che chissà che cazzo ti sei fumata…”
e il commento di Filippo Facci
“Ma non crediate: noi ce ne accorgiamo. La sentiamo questa vostra ansia, le amiche che d’un tratto si sono sposate, sono sparite, la mamma che fa strane domande, la vicina sempre più diffidente, gli ex che si sono sposati pure loro – con una cretina, sempre – e questo senza contare le coppiette bastarde che ti vorrebbero sistemata per poi invitarti a cena più volentieri. È questo che vi fotte. È questo che vi fa fare la cazzata. Noi ci distraiamo e zac, siete sposate…”
Finisce che tutto questo è quello che non avresti mai neanche lontanamente immaginato (anche solo sperato) di leggere su un blog. Ti sorprendi. Ti fa bene. E chissenefrega di tutto il resto.
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Senti..volevo scriverlo sotto loro due ma era come intaccare qualcosa di speciale: una delle più belle pagine, il duetto Brontolo – Facci, che io abbia letto qui, e forse anche altrove. Sono rimasta a leggere e rileggere..e tante altre cose.
Non c’è che dire: complimenti. Davvero. Ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, si è dimostrato che al di là di tutto, al di sopra dei contrasti, delle chiacchiere da blog e da bar, delle contrapposizioni politiche e delle convinzioni sociali, l’unica cosa che conta, e che accomuna tutti quanti, sono le eterne discussioni d’amore, e i loro tormenti. Del resto hanno già riempito pagine di poesia, musica e letteratura, ora hanno arricchito pure questo blog, e i suoi utenti, credo.
Ieri ho incontrato una mia conoscente che è madre da 1 anno e mezzo.
Suo figlio si chiama Davide ed è uno splendido e florido bambino, completamente somigliante a lei.
Le ultime notizie che avevo avuto erano preoccupanti: lei, incinta “per errore” (seppur regolarmente sposata) in preda a crisi di panico e di rabbia contro il “donatore distratto” che al suo rientro a casa, veniva accolto regolarmente da un “ti ammazzo, bastardo”.
Lei che, dopo nato il bambino, voleva andarsene di casa: via da questo marito colpevole di essersi distratto, di averle tolto così la sua libertà, via dalla casa da pulire, dal bambino da crescere, da una vita che non voleva, per lo meno non in quel momento.
E noi, mamme ancora mancate a oltre trent’anni (ci dicono che l’età biologicamente ideale per avere un figlio siano i 24 anni, per una donna; per uomo…quando riesci a trovarne uno decente) in brodo di giuggiole: “No, No, faccio bene io ad aspettare” (ma cosa?)… “Sono in fase egoistica, mi sono dedicata per tanto tempo a….ora non sono pronta” (dedicata a chi?)… “Hai visto? Meglio non farli in figli se si devono accogliere così” (farli?).
E invece eccola lì.
Bellissima, felice, appagata.
Ci svela che avere un figlio è la cosa più bella del mondo, che nessuno sguardo ti dà tanto amore quanto quello del tuo bambino che ti sorride, che nessuna mano nella tua sarà mai così sincera come la sua.
E noi lì, tramortite, a fumarci la nostra ennesima sigaretta. Noi lì, a cercare inesistenti argomentazioni da opporre.
Noi lì, a consolarci : “Però all’inizio era isterica…L’inizio ci aspetterà anche a noi…L’inizio sarà difficile…”. “Ma che sei matta? Si è sposata dopo dieci anni di fidanzamento e ha fatto subito un figlio!”.
Noi lì, manco all’inizio. Lei, a casa col suo bambino nel lettone. L’unico, vero amore, di una donna.
bambinoni, le femmine hanno + stile in queste cose.
Le cose di Brontolo e quelle di Facci sono superlative.
E’ vero quello che dice Lefemmine: siamo dei bambinoni. E’ l’amore di una sbarba che ci manda giù di testa. O qualcosa così…
lefemmine è un uomo, con la barba, i peli sulla schiena e due…..
A Lolita, sul figlio. Non sarà che l’amore del/per il figlio è un condizionamento culturale ? I servi della gleba facevano figli per amore o come conseguenza indifferente alla concupiscenza ? E in un mondo che fra 50 anni sarà finito (l’abbiamo capito tutti, ormai), e noi che non abbiamo quei 10 -12 miliardi per evitargli, al figlio una vita da servo, e il tempo per noi è poco, figurati per un piccolino: insomma, non sarà uno sbaglio per tutti, noi, lui, il mondo, farlo nascere ? Io sono un impiegatucolo e, privo di talenti ma non di desideri, svivacchio con il mensile e tante angherie: ma è così bella la vita, comunque ?
Per Futbolcresi, sul figlio. Dentifricio e spazzolino, aria fresca di mattina, sorrisi fra estranei, gelato alla vaniglia e latte e biscotti, libro e sale e mare, il Padrino coi popcorn caldi, il prato verde e il cielo blu da morire, un armadio vecchio con la lavanda dentro, i Clash e la pizza e should I stay or should I go, le stelle cadenti e le candeline, la luna e le risate con gli amici, e notti tiepide d’estate e il cielo e il cuore a meta’ con qualcun altro, e le lacrime e la versione di latino, e Chopin e le lucciole e il sole sul viso in bicicletta, le discese ardite e le risalite e la radio in motorino d’estate, le foglie d’autunno e l’odore della pioggia, le luci di Natale dalla finestra, lenzuola fresche e silenzio e occhi che si sfiorano, barare a briscola con i nonni che tanto non se ne accorgono, leccare dalle dita lo zucchero delle ciambelle, il freddo fuori e il te’ caldo con gli spicchi di sole, i fiori della laurea, pregare sottovoce la notte e sapere che non sei solo, ore al telefono con chi ti vuol bene, una tomba e fiori freschi e le formiche che corrono, e Vasco che devi essere sempre contento e a volte sei solo stanco, e le lacrime e la rabbia e l’orgoglio, e Topolino e Garfield e la Donna Cannone, e Dante e Shakespeare e sentirti dire che sei divertente, e Robin Hood alla tele e cantare a squarciagola Robin Hood e Little John van per la foresta, e la ricerca di geografia e gli affluenti di destra del Po, e la piazza e le voci della gente e il caffe’ macchiato, e le luci delle case dal treno la notte, e trovare la tua strada nella vita e avere un palloncino nel cuore che si gonfia e si gonfia e si gonfia ogni giorno di piu’, e la focaccia all’olio con la mortadella, e le cartoline dalla montagna e le briciole di pane sulla tovaglia, e O mondo soltanto adesso io ti guardo, e la coca cola fredda e le bollicine sulla lingua, e un rossetto viola e lo yogurt alla pesca e i pesci nell’acqua e il cappotto nuovo e le gomme alla fragola.
Soprattutto, una stanza e trovare chi ti ha fatto nascere, ad ascoltarti, sgridarti e farti arrabbiare.
La vita. Di un figlio.
Trovo particolarmente interessante la penultima riga del sovrastante commento di Al: “Trovare chi lo ha fatto nascere”. Se il riferimento era appunto ad Al (non si capisce, sembra psicoanalisi junghiana) chi lo ha fatto nascere, in effetti, bisognerebbe proprio trovarlo. Dirgli due paroline.
Facci, perchè tutte le volte che ho definitivamente deciso che mi stai sul cazzo, all’improvviso mi fai cambiare idea?
Per Al, sul figlio : le urla dei tuoi genitori la mattina presto (non tira una buona aria), tuo padre che ti guarda in cagnesco e forse pensa che è per colpa tua se fa questa vita, tua madre che sorride più spesso agli estranei che a te, voglia di gelato e niente soldi in tasca, latte e biscotti se ci pensa la nonna, libri salati da un mare di lacrime, padre padrino che ti gonfia come i popcorn, prosciutto verde nel cellophan blu (da morire…), un armadio vecchio con poco dentro, i “Che ? La pizza ? E i suord ? Non ne ho !”, fastelli dolenti per gli anni a venire, la luna e le risate dei tuoi “amici”, le notti insipide d’estate e il cielo sa che ti si spezza il cuore a metà per qualcun altro, lacrime e professori che ti dan del cretino, non saper chi è Chopin e sognare una bicicletta, scendere all’inferno e risalirne lentamente, una vecchia radio d’estate sognando (ancora) un motorino, le foglie d’autunno e l’odore della pioggia sul banco sconnesso, bui Natali passati alla finestra, lenzuola fresche dalla vicina e silenzio teso e occhi che si evitano, pensare sulle dita lo zucchero di vagheggiate ciambelle, nella bara tuo nonno che ti batteva a briscola, il freddo dentro e fare il thè a tua madre rimasta sola, i fiori per la laurea dei tuoi amici, bestemmiare la notte perché sei solo……..
Donna che partorisce dopo i 25 è tecnicamente una “primipara attempata”. Roba da schiaffeggiare l’ostetrica.
“signore chiedo scusa anche a lei”: a me questo ricorda la fase dell’adolescenza in cui le coetanee iniziavano a sperimentare con quelli che all’epoca vedevo come adulti (raffinati e vissuti ventenni, per esempio…). La tristezza di non poter competere (o almeno credere di non potere).
Penso che fare un figlio, sostanzialmente, sia un atto di egoismo, sono d’accordo se questo volevate intendere. La necessità di compiere ad un certo punto, quel salto, quel passo, diventa per molte quasi fisiologico, per molti uomini forse un completamento. Ma ciò non toglie che per me, il senso della vita, è molto nella procreazione e questo non perchè il mondo debba andare avanti per chissà quale misterioso disegno divino o per quale consolidato meccanismo sociale. Perchè vi chiedo: proprio le nostre esperienze, le nostre sofferenze, tutto ciò che abbiamo imparato, che ci ha elevato in qualche modo, ha un senso se finisce con noi? Del resto, non siamo già un pò noi figli di noi stessi? Insomma, se qualcuno qui ha un certo istinto paterno, mi scriva…
Lolitina, ribaltiamo il verso del ragionamento. Le esperienze hanno e danno senso solo perchè le trasmettiamo a un figlio ? allora, scusa , io, tutti gli uomini, siamo fuchi il cui unico significato esistenziale è concepire altre vite ? Le mie esperienze contano per me, le tue per te e amen. E poi, cos’è questa ossesione di accumulare senso nel vivere ? Chi lo dice che vivere ha un senso ? Io penso che l’unico senso sia stare bene, essere felici quanto più è possibile. Se i figli aiutano a trovare la propria felicità, li faccia, consapevole di servirsi di altre persone innocenti per i propri scopi. A me complicherebbero la vita, già angustiata dal lavoro, dalla pensione che non verrà, dalla torva idiozia del prossimo, dalla mancanza di un mondo altro dove ripartire. Ma tu, cosa fai per vivere ? Ti costa così poco guadagnarti la pagnotta da voler appesantirti il vivere con il famoso figlio ? (senza rancore)
Futbal, sottoscrivo punto per punto.
Oddio, vi prego, è ovvio che la mia battuta finale fosse una provocazione, non siete fuchi, siete donato…ehm, scusate… E’ vero però che per rispondere sensatamente alle vostre (peraltro per alcuni versi giuste) osservazioni dovrei abbandonare il mio nickname, presentarmi, raccontarvi le mie esperienze e dirvi il perchè delle mie conclusioni, parlarvi dell’amore, di Dio, etc.! Ma chissene frega! Ma voi una speranza non ce l’avete? Vi siete rassegnati a questo schifo? Non pensate che si possa amare e riamare così intensamente da dare vita, forza e motivazione ad un altro essere che potrà vivere meglio o diversamente da noi?
P.s.: se sapeste quanto mi costa la pagnotta (che guadagno non solo per me, ma per tutta la mia famiglia d’origine) mi contestereste ancora di più quanto ho scritto! Belve…scatenatevi!
Sul “vivere meglio di noi” ho molti dubbi, dato il costante decadimento della qualità della vita. Sul “diversamente” non ho dubbi, invece : io già vivo diversamente dai miei genitori, che vivono diversamente dai loro e così via.
Ma, scusate, chi se ne importa se il famoso e ipotetico figlio vivrà meglio di noi. Io volevo vivere io meglio di noi. A parte il fatto che quello che oggi un povero chiama figlio, domani tutti gli altri chiameranno servo, e perciò nutro seri dubbi sul buon esito vero delle candide speranze di vita felice per lui, ma…come si può riscattare una vita ristretta e sacrificata attraverso la felicità di un altro ? Il nostro è un destino individuale, che non fa media con quello degli altri come gli esami nel libretto all’Università…
Non è detto che il figlio di un povero debba essere per sempre servo, anche se le probabilità sono molto alte. Per il resto, anche stavolta sono d’accordo con te. Egoismo ? Può darsi, ma forse lo è pure generare un’altra vita nella speranza di prendersi una rivincita, o magari perché non si vuole essere soli da vecchi.
Siete un caso disperato, siete troppo tristi, mi ritiro. Ma grazie dei suggerimenti, cercherò di innamorarmi e eventualmente di riprodurmi solo con uno il cui nome venga pubblicato su Forbes! (poi dite che siamo noi, eh?)
Non prendertela, Lolita, ma…ho visto troppi casi in cui uno o più figli hanno guastato la serenità di coppia, per non dire tutto il rapporto….soprattutto quando entrano in gioco i soldi.