Ironie & piaggerie

Su richiesta dell’autore riporto (con un ritardo talmente clamoroso da non poter accampare scuse) questo pezzo che, seppur scritto nel dicembre 2001, sfiora qualche decina degli argomenti su cui ci si scanna regolarmente sul questo blog.
Mi chiedo se saprete riconoscerne la mano. Astenersi parenti, amici, conoscenti (soprattutto conoscenti) e tutti quelli in grado di esclamare «Game, set, partita!» dopo le prime due righe.

Questo articolo è stato impaginato benissimo. Le fotografie sono eccelse. Le didascalie sono curatissime. E la titolazione denota gusto e ricerca. Il caporedattore ­ che ha un nuovo taglio di capelli, e gli dona divinamente ­ non ha neppure eccepito per la consegna tardiva: è stato carino come sempre. In altre parole, l’autore di questo articolo ­ la definizione, tecnica, è di Richard Stengel ­ è un baciaculo. Nel suo Breve storia della piaggeria (Fazi editore, 35mila, bellissimo, leggetelo) Stengel cita anche termini come lisciastivali e grattaschiena financo l’orribile naso marrone, ma il termine prediletto rimane adulatore. Non si tratta della consueta guida semiseria da regalare al frustratissimo vicino di scrivania, e non è il solito prontuario di etologia che dimostri che l’uomo è la peggiore delle bestie (perchè dice le bugie) e tantomeno è la solita snobistica dissertazione sulla stupidità umana, tipo Musil o Cipolla: non è insomma quel genere di libro al termine del quale possa carezzarci la puerile speranza d’essere migliori: alla fine del libro ti senti semmai peggiore, e noi geni ne abbiamo tutti un gran bisogno. Il principio può sembrare banale: si spiega che l’adulazione è il lubrificante della macchina sociale e che l’origine del fenomeno è rintracciabile sin dallo spulciamento tra gli scimpanzé: è un comportamento che fa parte del nostro patrimonio genetico e che ci ha aiutato a sopravvivere. Fine. Stengel ci conduce attraverso le forme di adulazione della storia umana e conclude che la piaggeria è una metastasi, mentre la lode sincera è una merce rara. E uno dice: vabbè. Poi prosegui nella lettura e dici: ma questi hanno sbagliato titolo. Questa è Storia del giornalismo italiano ­ direbbero i giornalisti ­ oppure è Storia degli uffici del Catasto ­ direbbe un impiegato del Catasto ­ e così via, perchè è storia nostra, di tutti: e se non temessimo di essere lapidati dal lettore ­ ma il lettore è intelligente, anzi è più intelligente di quanto spesso i giornalisti e i politici non pensino, giusto? – si potrebbe addirittura concludere che un’analisi del genere, uno sguardo così impietoso e disincantato su un’intera epoca (ma non se ne può più, di sguardi impietosi e disincantati su intere epoche) non lo si leggeva da anni. Ci siamo dentro tutti. E tutti avranno vissuto la tipica scena in cui il direttore ­ il capoufficio, quel che si vuole ­ snocciola un’idea che il leccapiedi di turno, davanti a tutti, condisce così: “Mi sembra proprio una trovata brillante, direi geniale”. E tu allora cerchi nel tuo direttore un qualche sorriso di affettazione o perlomeno del sarcasmo ­ l’avevi sempre ritenuto un buon rabdomante di sciocchezze ­ e invece no, sbagliato, il direttore ha stampato un bel sorrisetto di compiacimento, e morale: ogni volta riscopri che ricevere complimenti piace davvero a tutti. Si sbaglia ogni volta. Si parte dal principio che più tizio sia intelligente (e più abbia salito la scala del successo) e meno sia vulnerabile alle lusinghe. Errore. Egli semmai prenderà a interpretare gli elogi come dimostrazione di intelligenza da parte dell’interlocutore, del tipo: è intelligente perchè ha capito quanto lo sono io. E siccome siamo tutti disposti a sospettarci migliori di quello che siamo, succede che da qualche tempo a questa parte siamo diventati tutti bravissimi (e tu sei anche più bravo di me, e sai, volevo dirtelo prima, ma durante la riunione non potevo).

Niente di male, da una parte; seguiteremo ad accomiatarci con educazione (cordiali saluti) e diremo che la paella era deliziosa (sembrava colla) e che la sposa era bella e che il neonato era carino (un mostro) e che il morto era buono: vista così, l’adulazione è solo un lubrificante della civiltà, perchè è vero, la stabilità civile è dovuta anche a una serie di inganni micro-sociali. Ma la piaggeria è anche altro. La piaggeria è anche un coltello a due lame che sembra dire una cosa e invece ne dice un’altra, è il linguaggio che promuove l’interesse personale cercando al tempo stesso di occultarlo: ecco, questo genere di piaggeria ­ il suo evoluto dilagare ­ pare che non la fermi più nessuno. Imperversa. Si fa largo nei mondi della politica e del giornalismo e dello spettacolo laddove paiano dimensioni ormai indistinguibili, dicasi star-system: “Sei bravissimo”. “Sei più bravo tu”. Tutti “fantastici” e “visionari” e “dotati” e in particolare “un genio”: è il dilagare della piaggeria ad aver distorto il significato delle parole più di qualsiasi altra cosa. Oggi per essere un genio basta scriversi addosso e parlare in pubblico delle proprie masturbazioni, e non sempre è una metafora. La vecchia adulazione è moneta fuori corso: prima era un disvalore, ora i genitori la insegnano ai figli perchè facciano strada nella vita; la si apprende ai corsi di marketing (“buonasera sono Tania, come posso esserle utile?”) mentre i camerieri ci elogiano ogni volta per la nostra “ottima scelta” e la giacca più sformata ci fascia ogni volta “divinamente”.
Bene: capita che le capitali mondiali della piaggeria ­ è la parte più impressionante del libro ­ ormai sono tutte e rigorosamente negli Stati Uniti. Sorpresa? Neanche tanto. Declassata la cosiddetta trasparenza americana, l’adulazione del nuovo millennio abita a Washington e Hollywood e New York. Dunque si globalizza. L’adorazione per le celebrità e quindi la fama come unico comune denominatore della società e quindi la personalizzazione di ogni cosa (gli Usa non hanno invaso l’Afghanistan: Bush ha bombardato Osama) hanno lasciato in cassaforte pochi valori cardine (il bene, il male, la bandiera, roba che in Europa facciamo i distinguo) e si sono ormai appropriate di quel neo-relativismo per cui nulla è più giusto o sbagliato, e diritto o storto, e alto o basso. È negli Stati Uniti che tutto è divenuto definitivamente contestuale e obliquo e strategico, e che il concetto di verità (un parolone, d’accordo) si è fatto relativo come tipicamente accade nei lunghi periodi di pace. Un lungo periodo, prima dell’11 settembre, ammantatosi via via della cifra definitiva, della parola chiave della nuova piaggeria globalizzata, attenzione: l’ironia. La famosa ironia.
E qui siamo a New York, o, se preferite, in qualche pallida emulazione dell’italico star-system: ma è in questi teatrini dell’ironia che tutto è possibile, che tutto può essere detto senza vergogna come se fosse pronunciato tra virgolette, con tono scaltro e appunto ironico: “Sei il migliore”, “Sei il più grande”. Sicchè tutto diventa ironia (sicchè nulla lo
è) e siamo tutti bravissimi (e nessuno lo è) e pazienza se l’ironia degenerasse in cinismo, e il cinismo, alla lunga, degenerasse in una sorta di (altra parolona) letargia morale in cui appunto imperi la più sfrontata adulazione. Di tutti. Per tutti. “Se la verità è relativa, l’adulazione è soltanto un’altra maniera per manipolarla – spiega Stengel, che a scanso di equivoci, precisiamo, è un redattore di Time, è un genio, è un visionario e ha pure uno splendido taglio di capelli. Certo, uno può dire: ma dov’è il problema? Non c’è, se l’adulazione è un regalo offerto liberamente e non una regalia che sottenda un tornaconto: e poco importa se la lusinga sia vera o falsa, basta capire se chi la fa sia sincero, giusto? No. Sbagliato anche questo. Siamo al problema. Nel grande circo della piaggeria, se non a parole, la sincerità non è più un valore. Il sincero viene giudicato un ingenuo avventato, un cattivo stratega, un perdente, un incapace di essere altro. La sincerità col cuore in mano è un vestito che cade meno bene di una volta, e come stile di vita è ritenuta semplicemente improbabile. Se invece fai parte del circo e partecipi al gioco, ecco, bravo, hai capito tutto, sai stare al mondo e siamo tutti bravissimi, siamo delle adorabili canaglie: e non c’è problema se menti in pubblico, se te la cavi con tortuosi ed ellittici ragionamenti, se dici palesi cazzate: non sei più un bugiardo, anzi sei abile, fai la tua parte, forse sei addirittura un genio. Peccato che in mezzo a tutto questo non ci sia più nessuno ­ scusate se moraleggiamo – disposto a farsi schifo, a fare autocritica, mai: perchè laddove non c’è più una bussola – nessuna morale, e ci risiamo, ma non sapremmo come chiamarla ­ e insomma: laddove l’autostima non conta più nulla, cioè, va davvero a finire che l’opinione che abbiamo di noi stessi coincida con quella che gli altri hanno di noi, e va a finire che il senso di quello che siamo lo si attinga unicamente dal giudizio del prossimo: dunque che, nell’adulazione generale, cresca l’incapacità di essere appunto autocritici e si divenga insofferenti a ogni osservazione non strategica, non politica, non bipolare; e va a finire – è già così – che ogni attacco appaia personale quando non fisiologico al teatrino: tizio mi attacca, perchè? È pazzo? Che avrà in mente? Si rischia, in sostanza, e infine, una scarsa consapevolezza di sè. Ed è un guaio. Grosso. Perchè poi ti capita che un amico vero, che ti critica indistintamente solo perchè ti vuole bene, ti paia un cretino: per questo l’amicizia sparisce e si fa ultralight. Si preferisce commisurare il proprio valore in rapporto alle relazioni che s’intrattengono con le persone celebri, e spiace dirlo, ma le macchiette del caso anche in questo campo (in Italia) sono i giornalisti. Sono loro che in mancanza d’altro si citano sempre più fisiologicamente l’uno con l’altro, e si raccontano di esistere. Ma fa niente. Tutto va bene, perchè è pur vero: entro certi limiti, la piaggeria rende più felice sia adulato che adulatore, e ciascuno di noi non ci offenderà certo per un’adulazione che ritenga
improbabile: male che vada, essa dimostrerà che siamo abbastanza importanti da meritarne una.
Ora però hanno detto che niente sarà più come prima, e pare negli Stati Uniti un qualche riequilibrio (di valori: ah, i valori) se lo siano dando davvero. C’è meno voglia di ironie & piaggerie, dalle parti di Ground Zero. E da noi? Mah. Non si tratta di fare i disfattisti. È che siamo tutti bravissimi, sempre di più. E ironici. Dio come siamo ironici. Tra un distinguo e l’altro, si seguita ad ammazzarsi di complimenti da giornale a giornale: ma forse anche il rilevarlo ­ come noi, ora ­ non è che un modo di partecipare, è piaggeria. La piaggeria di non averne. Io te le canto chiare, fidati di me. Perciò tanto vale dirlo: il caporedattore ha una pettinatura da schifo.
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6 Commenti

  1. sì, ma perchè ostinarsi a scrivere con un carattere così piccolo e nemmeno modificabile? Me sto cecando!

  2. Comunque sia, a scanso di guai, mi sembra proprio un articolo brillante, direi geniale.

  3. Per la serie: traduzioni a caso. Io “baciaculo” e “naso marrone” li ho sentiti soltanto in film doppiati ancor piu’ a caso del libro. Volevo dire, fottutamente a caso.

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