Fuori tempo massimo (nel vero senso della parola)

A corredo del pezzo sull’Espresso, all’interno dell’articolo di Francesca Reboli, sarebbero dovuti apparire anche alcuni stralci di una mia intervista. Ora non sto a spiegarvi il perché e il percome; sta di fatto che ho inviato le risposte in ritardo, a pagina chiusa.
Riporto qui l’intervista integrale (le domande, ovviamente sono di Francesca Reboli), anche se, rileggendola, non mi sembra di aver detto niente di particolarmente acuto o interessante.

  • Perché dopo Splinder e Clarence, anche Tiscali e altri si sono messi a fare blog? Pensano di guadagnare? E come? Vogliono tenersi i diritti d’autore come accusa Scarpa?
    • Chi, in Italia, pensa di guadagnare sfruttando il fenomeno dei blog è un folle che si presta a ripetere l’errore che in molti han commesso con i portali. Nessuno, da noi, è in grado di offrire un servizio al livello di Blogger o del nuovo TypePad. Tantomeno, in questo particolare momento, si può pensare di rientrare nelle spese con gli incassi della pubblicità. I portali rincorrono i blog soltanto perché sono costretti a farlo, perché per quanto il criterio di valorizzazione di un sito si basi sempre meno sulle pagine viste (privilegiando, ovviamente, il fatturato), l’esigenza di tutti è quella di creare attorno al proprio prodotto una comunità di utenti. Per farne cosa ancora non si sa. Ma si ritiene che possa essere utile in futuro, quando il mercato sarà scremato dai player meno competitivi, in attesa della “ripresa”.
  • La Rete è ormai occupata da assertivi logorroici certi di offrire un servizio all’umanità nel rendere universalmente accessibile in versione digitale chiacchiere che fino a pochi anni fa sarebbero state a malapena tollerate in un angolo di Hyde Park?
    • Vero. I blog sono lo Speaker’s Corner in Hyde Park. Ma, nel dirlo, non consideriamo una cosa: che la rete lo è sempre stata, in un certo qual modo. I blog sono solo uno strumento che ha permesso a chi non conosceva il linguaggio html necessario per confezionare le pagine, di realizzare in pochi minuti, e con una spesa minima se non nulla, un proprio quotidiano online. Prima c’erano le pagine personali, le e-zine amatoriali: medesimi contenuti, solo più difficili da mettere in rete. Come in tutti i campi, anche in questo vale la legge del mercato: non nascono un Drudge Report, un Dagospia ogni giorno. Solo alcuni sono premiati dalla fama: agli altri – qui sta la differenza – poco interessa. Chi utilizza i blog per raccontare la propria vita, episodi insignificanti per i più, lo fa perché sulla rete ha trovato un sostitutivo del diario che teneva chiuso nel cassetto.
  • Si è creata una specie di piramide con un’aristocrazia di blogger, una classe media e un popolino?
    • Parecchi blog minori accusano i più letti di aver creato una sorta di “casta”. Le chiamano “blogstar” ed è, in effetti, inutile negare che esistano. Credo però sia del tutto naturale: un lettore appassionato di blog deve oggi scegliere tra 20.000 siti e 20.000 indirizzi diversi (e stiamo parlando soltanto di quelli scritti in lingua italiana). La questione, a mio parere, non si pone: come in libreria, esistono gli Harry Potter e le raccolte di poesie per stampare le quali lo scrittore si è autofinanziato.
  • Troppi blog non rendono inflazionato questo strumento, com’è accaduto per i referendum?
    • Francamente non credo. Ma è vero che, considerando l’offerta attuale, sarà sempre più difficile che un nuovo blog, un nuovo autore, riesca ad emergere. Le “blogstar” dovrebbero (o potrebbero) a questo punto ricoprire il ruolo di scopritori di nuovi talenti.
  • Esiste un darwinismo dei blog che elimina la fuffa o no? Oppure non esiste fuffa?
    • Esiste la fuffa, ed esisterà il darwinismo tra i blog soltanto quando la gente si stancherà di redigere i diari. Difficile che accada, perché per quanto non si possa negare una certa influenza dell’esibizionismo che è in ognuno di noi, si tiene un diario soprattutto perché serve a se stessi.
  • La rivoluzione dei blog è stata vanificata dalla quantità di idiozie e dalla autoreferenzialità dei blogger, sicché in Italia il blog più cliccato farà si e no 3000 visite al giorno?
    • Già oggi, in realtà, per quanto si parli di “fenomeno”, il blog più cliccato non riesce a raggiungere neanche un decimo dei contatti totalizzati da, che so, Caltanet, che è la cosa più inutile che mi viene in mente. I blog non sono l’equivalente dei news magazines, sono approfondimento. E, per questo, dedicati ad un’audience selezionata.
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5 Commenti

  1. IMHO, sull’autoreferenzialità: secondo me il rischio c’è, soprattutto nei blog “storici”; l’impressione di avere a che fare con un “giro” chiuso di blogger, sempre quelli, c’è. Devo dare atto a Neri invece, dello sforzo di aprire il suo blog e metterlo a disposizione, a mo’ di vetrina, delle le “nuove leve”, anche se con risultati discutibili e già piuttosto discussi. Ma la discussione è il sale del blogger, no? Sulla fuffa, farei un distinguo: c’è la fuffa che non si rende conto di esserlo, ed è realmente inutile, essendo a livello di diario personale che non interessa nessuno, e c’è la FUFFA che è consapevole ed orgogliosa di esserlo (se non erro anche LIVEFAST la vede così), e senza pretese di scrivere nulla di eclatante, cerca argomenti che, per quanto futili, possano interessare qualcuno oltre chi li scrive, possibilmente in chiave ironica. Augh, ho detto.

  2. Potremmo smetterla di usare il termine “fuffa”? L’ha tirata fuori un incompetente (Formenti), è un localismo mai usato al di là di Milano, e suona un’offesa per chi vuole semplicemente esprimersi con la rete. Tu che sei una “blogstar”, promuovi una campagna contro la parola “fuffa”… ;-)

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