Oh oh, mi è semblato di vedele Lupelt Muldoch

Rupert MurdochEbbene, confesso, sono colpevole. Ho pubblicizzato (gratuitamente, ma pare non sia un’attenuante) il lancio di un nuovo canale televisivo. Aggravante: non un’emittente normale (peccato veniale); non una commerciale (peccato grave); non una del gruppo Mediaset (peccato mortale); bensì un’impresa di Rupert Murdoch, lo squalo, il faccendiere. Quello che, se vuole, si compra Silvio Berlusconi solo per il gusto di piazzarlo come nano in giardino.
Sono cose che un liberal non fa, non deve fare. Capisco.
Io, però, il costumino da supereroe liberal vorrei essere libero di indossarlo quando (e se) mi va. In ogni caso mai durante la messa in onda delle mie serie preferite. E, spiacente: non boicotto le tv di un qualsiasi dottor Mengele almeno fino a quando la migliore alternativa immaginabile è il canale satellitare di Fassino.

Sempre riguardo allo stesso post, The Petunias imbastisce invece una discussione diversa: “Non per fare polemica, ma avete presente quella scena di Io e Annie dove Woody Allen e Diane Keaton sono in coda per entrare al cinema e c’è un tale che… Dice che a noi viene bene la pizza, dice. Bravo, complimenti per la fine analisi”, avanzando l’ipotesi che io abbia peccato di leggerezza nel decretare la superiorità statunitense nel confezionare serie tv. Pungolato da un commento di un utente, aggiunge: “Era un pretesto per prendersela con i saccentoni che liquidano questioni complesse a mezzo di due giretti di parole da mensa universitaria. Il problema è il metodo con cui si parla di queste cose. Ti verrebbe da confrontare il caffè italiano con quello americano? Eppure sia laggiù che qui si beve il caffè americano. Sono due cose diverse. I telefilm italiani sono i telefilm italiani, quelli americani sono quelli americani. Dire che i nostri sono imparagonabili ai loro può essere giusto, ma dire che sono imparagonabili perché i loro sono belli e i nostri fanno schifo è una stronzata. I nostri telefilm non sono belli come i loro per centomila miliardi di ragioni – non ultimo il fatto che ci sarà un motivo se sono pochissime le serie americane che negli ultimi anni sono state trasmesse in prime time (eppure comprare una cosa costa sensibilmente meno che produrla), il che significa che è prima di tutto un fatto di pubblico, e allora prendiamocela con chi preferisce Incantesimo a Ally McBeal, cazzo, quindi col pubblico, quindi con il paese di chi fruisce, e non quello di chi produce, perché chi produce Incantesimo preferirebbe certamente produrre Rude Awakenings, sent’ammè – e dire che dovremmo limitarci a fare la pizza è un parere di una banalità che lascia basiti”.
Ora, che a noi la pizza venga meglio credo sia un dato di fatto. Che le nostre produzioni televisive siano tecnicamente, artisticamente, narrativamente, stilisticamente inferiori, pure. Non è colpa nostra, né merito loro. È una questione di DNA, credo. Nel nostro c’è scritto da qualche parte che l’idea di sottoporre il girato ad un buon montaggio è una teoria reazionaria. Che non è reato lasciare addormentare una telecamera su un’inquadratura fissa per quattro minuti. O che, per realizzare una sit-com, siano sufficienti una decina di battute mediocri, due nomi di richiamo in vacanza dai varietà tv, più Lino Banfi nel ruolo del nonno.
La nostra specialità d’eccellenza è ricicciare – male – un’unica idea. Io per primo non faccio eccezione: avevo già utilizzato tesi e battute di questo intervento (compresa quella sulla pizza) in due puntate della rubrica Quarantadue (la prima il 29 marzo 2002, la seconda il 3 giugno 2002).

QuarantadueDopo aver clonato Padre Pio in due differenti versioni, mandando completamente a puttane le carriere e la credibilità di Michele Placido e Sergio Castellitto, Rai e Mediaset si apprestano a darsi battaglia anche sulla fiction dedicata a Papa Giovanni XXIII. Bob Hoskins (diretto da Ricky Tognazzi) interpreterà la serie targata Canale 5, mentre la Rai si è affidata alla regia di Giorgio Capitani, ad Edward Asner per il ruolo di Papa Roncalli e alla produzione dell’ex direttore della tv lottizzata di stato Ettore Bernabei. I rispettivi titoli? “Il papa buono” e “Giovanni XXIII”, si presume assegnati attraverso il sistema dell’offerta in buste chiuse nel corso dell’ultimo papamercato. C’è purtroppo da constatare che parte dell’immiserimento del panorama televisivo è appunto causato dal proliferare del virus delle fiction, costosissime produzioni ad impianto narrativo fisso, esclusivamente basate, se ci fate caso, su quattro tipologie di personaggi: il prete, il maestro, il medico, il detective (di preferenza carabiniere, altrimenti poliziotto o privato). Il tema si dimostra particolarmente utile per espiare le nostre colpe verso la raccolta differenziata dei rifiuti: organizziamone una per le fiction. I preti nel contenitore nero, i maestri in quello grigio, i medici in quello bianco, i detective in quello blu. Con il materiale riciclato potremmo ottenere un’unica, monumentale serie di 52 puntate in grado di battere ogni record di audience e di share. Trama: un prete, professore di medicina, indaga su un misterioso omicidio. Geniale, ma manca la figa, obbietterà a ragione qualcuno. Ok, piccola modifica: Manuela Arcuri, suora e professoressa di medicina, indaga su un misterioso omicidio.

QuarantadueAlé, ci risiamo: qualche genio della comunicazione ha deciso di far sperimentare ad un genere inesistente come la sit-com “all’italiana” l’ennesimo annunciato fallimento. Il format ispiratore ha origine a Barcellona e si intitola “Piatti sporchi“: gag, storie di amicizia e amore tra alcuni amici all’interno di un appartamento. Ovvero: gli italiani copiano gli spagnoli, che copiano “Friends“. Dal momento che nessuno li ha visti, non risulta affatto difficile dimenticare i flop dei tentativi precedenti: “Via Zanardi 33“, innanzitutto, poi “Vicini di casa“, “I cinque del quinto piano“, “Chiara e gli altri” e, non ultimo, il malsano filone dei “Ragazzi della terza C“. Questa volta, a dire degli autori, sarà diverso: le puntate saranno registrate alla presenza di un pubblico, quindi le risate risulteranno reali. Esattamente come si usa fare da sempre negli Usa e in Inghilterra. Il messaggio è chiaro: copiamo sì, ma questa volta, forse, dal compito giusto. Per “Piatti sporchi” sono stati assoldati, tra gli altri, Valerio Mastrandrea e Caterina Guzzanti. Sono giovani e vagamente apprezzati, perché sottoporli all’inevitabile gogna della cancellazione della serie? Siamo italiani: confezionare sit-com di successo è uno di quei mestieri per cui siamo portati. Ci mancano (e non avremo mai) il ritmo giusto, la capacità di costruire la battuta, studiare i personaggi, concepire l’idea di base, e le palle per sfoderare un cast di sconosciuti. Facciamo un bel bagno di realtà: non saremo mai artefici di versioni nostrane de “I Jefferson“, “Casa Keaton“, “Dream On“, “Ally Mc Beal“, “Will & Grace“, o di splendide produzioni inglesi come “The New Statesman” o “Father Ted“: a noi viene bene la pizza.

Per finire, ammetto che quando ho letto Luca Sofri fare riferimento all’intervento di The Petunias con queste parole: “Con garbo, ThePetunias si chiede perché GNUEconomy non compri quel che vende” mi sono chiesto come facesse a sapere che, finché ce n’erano ancora in giro, andavo molto orgoglioso della mia tessera pirata.

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7 Commenti

  1. Eppure sei stato redattore di Cuore… qui ci sta veramente bene un “chissenefrega”! Sì vabbè, lo so: il blog è mio e lo gestisco io etc. in effetti leggerti è un piacere anche quando scrivi inutile fuffa, sennò mica starei qui a commentare :)

  2. Ok, è vero. Io la pizza la compro qui sotto casa e non da Pizza Hut ma per le serie televisive c’è un aspetto discriminante: il denaro.
    Il pubblico americano è 4 volte il nostro e poi è molto più semplice piazzare nei mercati internazionali prodotti in lingua anglossassone, quindi i costi di produzione vengono ammortizzati più facilmente. Se sulle sit com mi sento di darti ragione ( non abbiamo proprio i tempi comici televisivi), su altri generi televisivi invece credo che le differenze di budget e di pubblico siano troppo evidenti per permettere questi paragoni.

  3. dire che è una questione di DNA il fatto che noi facciamo male i telefilm è una grande sciocchezza.E’ una questione di denaro e di pubblico,e di tradizione,tutto qui.Non è che siamo deficenti,dai ai nostri autori le risorse che gli darebbero in USA e ti sfornerebbero dei capolavori.

  4. Ma La Squadra non lo guarda proprio nessuno? L’ultima stagione è stata proprio bella… belle sceneggiature, molto realismo, montaggio moderno, e perfino un paio di bravi attori (gli altri fanno schifo, ma almeno hanno la pancetta e il naso grosso, e non sembrano tutti appena usciti da una beauty farm). Molto meglio della Arcuri, ma anche di tutte le serie poliziesche USA.

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