Ludovica, sul suo blog “Secondo Imbrunire“, in un primo tempo mi santifica citandomi come “Filippo Neri“, poi controbatte al mio articolo su Lars Von Trier “senza ironia, dal momento che il suo post di ironia ne ha parecchia. Magari la convinco. Magari l’annoio e basta e ben le sta”.
Leggo: “In Dogme 95 ho riconosciuto un ‘buon presagio’ anche per la riflessione teorica: i principi adottati dal movimento chiamano in causa inevitabilmente la questione ontologica del realismo al cinema, che da sempre appassiona e divide generazioni di cineasti. Partendo da una riflessione sull’acquisita accessibilità degli strumenti cinematografici e della conseguente democratizzazione del cinema, condizioni essenziali per la liberazione e la crescita esponenziale delle potenzialità comunicative, i firmatari del manifesto si schierano contro la standardizzazione dei contenuti, contro gli interventi ‘cosmetici’ apportati dal cinema classico, contro il concetto di autore gonfiato a tal punto da nascondere le opere. Partendo dall’assunto che la realtà filmata comunichi indipendentemente dalle intenzioni del regista e dalle attese del pubblico, le regole ferree del decalogo dovrebbero spogliare il cinema del ‘rumore’ rappresentato dagli artifizi tecnologici, creando così quel clima di ascolto necessario a lasciar parlare il reale”.
Facciamo che ben mi sta. E non per pigrizia o spocchia, sia chiaro. È solo che non mi è mai arrivato il corso di corrispondenza che avevo ordinato, e il risultato è che mi trovo nella spiacevole situazione di non capire una parola di Klingon. Sarà per la prossima volta.
Ho provato a leggere il suo post con un trucco mentale: immaginandomi la voce di Bertinotti. E mi son fatto due risate da solo.
a me non pareva così complicato… forse se non avessi passato le superiori a tirare palline di carta con la biro… :-)) Il vero punto, mi viene in mente tornando a Von Trier, è che l’assunto di Dogme è autocontradditorio: “la realtà filmata comunica indipendentemente dal regista” e “lasciar parlare il reale” sono assunti che mirano a una “immediatezza” e a una “autenticità” che, se prese alla lettera, non possono che portare all’afasia totale, alla rinuncia al linguaggio, lo stesso linguaggio con cui peraltro queste teorie vengono formulate (e grazie al qualo lo sono). Scusa San Filippo Gianluca Neri, ho pensato che un po’ di klingon di prima mattina poteva corroborarti lo spirito :-)
Se voglio vedere la realtà senza filtri vado in metropolitana. La realtà è noiosa, spesso, per questo la gente va al cinema. Scusate se anche io a scuola giocavo con le palline di carta, ma mi ricordo che i best seller di qualche secolo fa si chiamavano Orlando furioso o Divina Commedia, che mi pare abbondino in fantasia ed effetti speciali.
Il cinema deve essere anche sogno o fantasia, e con questo non intendo solo il cinema di hollywood. E’ facile in questo caso citare Spielberg o l’uomo ragno, magari storcendo il naso. Fellini faceva film sulla realtà filtrata dalla sua fantasia, dalla memoria, o dai suoi sogni. La realtà comunicata indipendentemente dal regista mi ricorda i pallosissimi filmini delle vacanze.
Caro Sig. Neri, Lei si sarà pure annoiato ma vedo che è rimasto abbastanza lucido da andare a pescare la parte più (banalmente) attaccabile del post di Ludovica. Che è persona onesta, credo, tanto da scrivere “Riguardo a Von Trier, la mia conoscenza si basa su quattro visioni”.
Sul fatto che a ironia si debba rispondere con ironia, sono d’accordo. Ma siamo nel campo del coraggio donabbondiano. Se uno non ce l’ha (in quel momento), preferisco davvero che non tenti di darselo (o di pararsi dietro quello degli altri). Commento alquanto confuso, mi rendo conto. Ma scrivere a un Santo mi mette soggezione.
Realtà filtrata dalla fantasia del regista o regista come tramite tra la realtà e lo spettatore, quando lo spettatore non sa qual è la vera realtà e allora glielo deve dire Von Trier, e la semantica apologetica dell’ontologia cosmica ha prodotto un vuoto spinto nelle menti di qualche spettatore, risucchiato in un buco nero tipo B-movie anni settanta per ritrovarsi qui sul blog di Gianluca Neri a discutere di iiiiinteressantiiiiiissime questioni riguardanti…
Cosa? sì, questo è il commento più lucido di tutti e voi non lo avete capito? Si vede che non avete mai penetrato a fondo l’estetica che permea tutta la produzione cinematografica di Pippo Franco!
P.S.: a me The Kingdom è piaciuto assai…
Io voto “Quel gra pezzo dell’Ubalda tutta nuda tutta calda”. E non mi venite a dire che lì la presenza del regista è stata invedente.
Insisto: una cosa è l’estetica, una cosa è il morbo di parkinson. Se la realtà comunica da sola, perché von trier deve agitarla in quel modo? Proprio per far vedere che la cinepresa l’ha pur sempre in mano lui… Tremando, il regista dell’era digitale si rifiuta di morire.