COME TUTTE LE CAZZATE PIÙ GROSSE, UNA CAZZATA IN BUONA FEDE
(Riassunto delle puntate precedenti). Più o meno un anno fa di questi tempi la sinistra italiana tornava a galla con la grande manifestazione sindacale di Roma, punto d’arrivo a sua volta di un processo complesso. L’estate dell’anno prima una grande manifestazione pacifista, a Genova, era stata repressa nella speranza di spingere a una risposta terroristica frange del movimento. Questa tecnica a suo tempo aveva permesso di stroncare il movimento del ’77 e aprire un decennio di completo controllo generazionale. Stavolta, però, non aveva funzionato. All’interno della sinistra organizzata, frattanto, il malcontento per l’evidente inadeguatezza dei dirigenti aveva dato luogo a contestazioni molto vivaci, dapprima occasionali e spontanee e poi sempre più organizzate, contro l’intero ceto politico della sinistra “ufficiale”.
La crisi economica aveva portato effervescenza sui luoghi di lavoro, dove una classe operaia sottorappresentata dai media ma ancora molto presente aveva ricominciato ad avventurarsi sul vecchio terreno delle rivendicazioni sindacali; significativamente, i primi erano stati, con quasi un anno di anticipo, i giovani precari della Fiat. Goffaggini del governo e capacità tattica dei sindacalisti avevano acutizzato quest’ultimo conflitto: in pochi mesi il processo di fusione fra queste tre grandi componenti della protesta (giovani pacifisti, ceti medi legalitari e lavoratori sotto crisi) era avviato e trovava la sua consacrazione in una enorme manifestazione promossa dal sindacato all’inizio della primavera.
Da quel momento in poi, il governo non era più riuscito a mantenere l’immagine efficientista, vincente e, in larga misura, “popolare”, che l’aveva sorretto fin allora. L’opposizione politica, dal suo canto, percependo l’enorme potenzialità della nuova situazione, incerta fra desideri e timori, cercava disperatamente degli strumenti culturali che le consentissero di utilizzare i “movimenti” senza rischi.
Gli ultimi mesi del 2002 e i primi del 2003 hanno visto dunque governo e opposizione in equilibrio instabile, l’uno sperando di sopravvivere in qualche modo alla crisi, l’altra sperando ma non osando di approfittarne. Tacitamente, l’una e l’altro avevano raggiunto un accordo di fatto su un punto essenziale: lo scontro fra governo e opposizione non avrebbe avuto luogo subito, magari in occasione di difficoltà istituzionali (processi, ecc.) del governo; ma sarebbe stato rimandato alla scadenza naturale della legislatura. In questo modo, la destra avrebbe avuto un paio d’anni in più per gestire la recessione economica ormai evidente, e la sinistra per integrare nella vecchia leadership i nuovi contestatori. Questo quadro, probabilmente non progettato da nessuno ma in sostanza accettato da tutti, è andato bruscamente in frantumi con la guerra.
(A me mi ha rovinato la guerra). La guerra in sé sarebbe potuto restare uno dei tanti massacri lontani a cui rispondere con circonlocuzioni diplomatiche e un po’ di doveroso dibattito interno. Stranamente, però, l’intera giovane generazione italiana ha preso imprevedibilmente a cuore il sistema di valori brutalmente (e maldestramente) messo in discussione dal partito della guerra, che anche in Italia aveva i suoi fautori. E non solo: questa strana ed “estremista” posizione dei giovani italiani si è rivelata essere, rapidissimamente, *la* posizione europea, quella su cui infine si è mosso tutto il continente. Mentre le posizioni “realistiche” e “sensate” dei politici professionisti hanno dovuto correre dietro ai giovani, dal principio alla fine della crisi, sotto pena di apparire eccessivamente provinciali e non-europee.
(Arrivano i nostri). Nel giro di poche settimane, la grande maggioranza della popolazione ha riaperto d’un colpo i due grandi filoni culturali (il comunista e il cattolico) che entrambi i poli credevano d’avere ormai esorcizzato. Da quel momento il paese ha vissuto con due mappe politiche, una – mediatica e ufficiale – in cui la destra era maggioranza e la sinistra minoranza rassegnata, e l’altra – quella reale – in cui la maggioranza restava saldamente in mano ai vecchi popoli “cattolico” e “comunista”.
Per la destra, a questo punto, il problema era soprattutto tattico, di come impedire che questa maggioranza reale piombasse, scardinandoli, sui faticosi equilibri della seconda repubblica. Per la sinistra era più drammatico: o prendere atto della situazione, “buttarla in politica” e dunque ridefinire tutto quanto, o gettare acqua sul fuoco, spoliticizzare il più possibile tutto ciò che era emerso, mettersi in pratica al seguito del governo e rinunciare alla futura alternanza su cui essa, pazientemente, già contava.
Non sono questioni da poco, evidentemente. Per questo è difficile esercitare l’ironia – come sarebbe istintivo – su alcuni aspetti davvero apparentemente “buffi” del dibattito in seno alla sinistra. Come il ritorno di Giuliano Amato, vecchio Consigliere di Stato settecentesco (in senso non ignobile: Goethe per il sire di Weimar, o Tanucci per i Borboni) che, dopo una vita passata a definire i dazi della Slesia e i rapporti col margravio di Baviera, si trova improvvisamente a dover discutere di pace e di guerra, di movimenti generazionali e d’imperi. E che mai potrà dire, pover’uomo? “Non dividiamoci su cose su cui non possiamo incidere”; vale a dire “venga Franza venga Spagna”. Il fatto è che su queste cose su cui “non si poteva incidere” noi abbiamo inciso già, per esempio *costringendo* il governo italiano a star fuori dalla guerra, e ancor più possiamo incidere – ad esempio – accelerando l’unità reale dell’Europa.
(Mi ami, non mi ami?). Si fa un gran parlare, in questi giorni, di “antiamericanismo”. Come tutte le cazzate più grosse, è una cazzata in buona fede. Nel senso che D’Alema o Ferrara, ad esempio, si svegliano la mattina chiedendosi angosciosamente (sempre in buona fede) se il giorno prima sono stati filoamericani, antiamericani o cosa. Per Francesca o Martino, che hanno diciott’anni e fanno i cortei della pace, il problema semplicemente non si pone. Non sono mai state antiamericani, perché diavolo dovrebbero essere antiamericani ora? Semplicemente, gli americani stanno facendo gli stronzi e loro glielo dicono in faccia. Come lo direbbero ai tedeschi, ai papuasi, ai russi e a chiunque altro sulla terra. Non hanno alcun complesso d’inferiorità verso nessuno, e tutti questi problemi semplicemente non sono i loro. Non hanno mai avuto nazioni-guida a cui render conto. Sono laici, insomma.
D’Alema e anche Ferrara, viceversa, non lo sono. Loro, come generazione ma anche come ceto politico, a suo tempo hanno creduto nella Russia “socialista” al punto di considerare un particolare trascurabile il fatto che nell’Unione Sovietica di soviet non ce n’erano più da un pezzo. Nella “patria del socialismo” manca il socialismo? Tanto peggio per il socialismo. Nella “patria della democrazia” si spara ai giornalisti scomodi e si conquistano le colonie a suon di bombe? Tanto peggio per la democrazia. L’importante è non essere presi per antiamericani – ora – o per antisovietici – allora – perché senza Grande Urss o Grande America ci sentiremmo orfani e non sapremo più chi cazzo siamo.
(Riusciranno i nostri eroi?). E noi? Che cazzo siamo, noialtri? Boh. Io personalmente sono il signor O., sono siciliano e non del Texas, italiano e non del Pakistan, e sono europeo. In quanto siciliano, ho imparato – da poco: appena cinquant’anni – che è sbagliato ammazzare le donne che “tradiscono”, e non voglio tornare indietro. In quanto europeo, ho imparato – da poco: appena un secolo – che è sbagliato ridurre a colonia gli altri popoli, e non voglio tornare indietro. Non tocca a me dire se voglio essere antiamericano o antipakistano o altro, tocca a loro dire se vogliono essere anti-signor O. oppure no. E a quel punto naturalmente io so come regolarmi, senza paranoie e senza complessi per nessuno.
Così, non ha alcuna importanza che D’Alema o Rutelli ci siano o non ci siano al corteo della pace. Non perché siano “cattivi”, ma semplicemente non c’entrano, non è il loro mondo né la loro generazione. Non c’è bisogno di loro. C’è bisogno dei *nostri*, invece, quelli che ancora non ci sono (o non si sentono ancora abbastanza “politici”) e che è bene vengano fuori al più presto. Non possiamo fare il movimento per tutta la vita: alla fine dovremo o smettere di sognare e trovarci qualche brav’uomo a cui accodarci con rassegnazione, o provare a tradurre i nostri sogni in realtà, con i politici nostri, con le idee nostre e con le nostre esperienze. Adesso, e in Europa, questa non è affatto un’utopia.
Antiamericana 1. La federazione internazionale dei giornalisti ha denunciato l’esercito americano per crimini di guerra.
Antiamerica 2. Io quando un telegiornale non mi piace premo il telecomando. Gli americani invece lasciano andare un missile e cancellano giornale e giornalisti.
Antiamerica 3. Il carrista che ha sparato sui giornalisti a Bagdad, dopo aver preso accuratamente la mira, secondo il codice penale italiano non ha commesso un crimine di guerra ma semplicemente un omicidio. Poiché vi era una nostra giornalista a pochi metri dal luogo dell’esplosione, costui è colpevole di tentato omicidio nei confronti di un cittadino italiano. Arrestatelo, quando torna ad Aviano.
Antiamerica 4. Il 6 novembre 2000 l’Iraq ha deciso di farsi pagare il petrolio non più in dollari ma in euri. Ci ha guadagnato, visto che da allora l’euro s’è rivalutato sul dollaro del 17 per cento.
Domanda: quanto ci avrebbero guadagnato tutti gli altri paesi dell’Opec a passare all’Euro?
Altra domanda: e allora perché non l’hanno fatto anche loro?
Altra domanda: perché l’Europa non ha cercato di convincerli?
(Domanda fra parentesi: siamo sicuri che non ci abbia provato?)
Antiamericana 5. In Sicilia, dopo lo sbarco, gli americani nominarono sindaci dei paesini liberati i rispettivi boss mafiosi, ad esempio don Calò Vizzini.
Antisovietica. Putin: “Gli americani non hanno trovato armi di sterminio di massa. Io avrei fatto di meglio”.
Antinoi. Cuba. Quattro dissidenti condannati a durissime pene detentive per reati d’opinione. Maxiprocesso contro ottanta oppositori.
Volk. Sondaggio sui sindaci più popolari: al sesto posto c’è il sindaco razzista di Treviso, Gentilini, al quale i suoi concittadini danno un gradimento del 74 per cento. La situazione tuttavia è migliorata, poiché sei mesi fa il gradimento di Gentilini era al 76 per cento.
Rosario wrote:
< Cocilovo e provinciali palermitane. Certo che la politica in questo paese è divenuta passione solo per i gonzi. C’è il rischio di dire: “La politica? Ma è una cosa sporca!”. Travaglio, su Micromega e Linus, è ben documentato circa questa storia di “dazioni”. Insomma il nuovo candidato presidente del centro-sinistra sarebbe un collettore di tangenti che non è in galera per un inghippo tecnico e non perché i fatti non siano accaduti. Che fare? La politica dei realisti e di “mi turo il naso” non fa per me. C’è bisogno di sano giacobinismo, infatti che differenza fa eleggere un candidato di destra o uno “sinistro”? E così vadano a f… tutti. Non voterò – e grazie agli inciuciati diessini fino a Di Lello di Rifondazione (pure lui… non capisco) >
È solo una delle lettere che arrivano dalla Sicilia su questa vicenda “minore” ma emblematica della candidatura palermitana dell’Ulivo. Il caso d’altra parte è ormai nazionale e lo affronta – tardi – anche Paolo Flores d’Arcais su MicroMega: “A Palermo, centro-sinistra e movimenti hanno fatto harakiri, scegliendo un candidato che una sentenza garantista e ineccepibile definisce collettore di una tangente”.
Dico tardi perché Flores, nella degenerazione del “movimento dei professori” in Sicilia, ha responsabilità – quanto meno per omissione – ben precise. Le proteste dei militanti siciliani erano state infatti pronte e tempestive, e avrebbero potuto – a suo tempo – non essere ignorate. Per quanto ci riguarda, un anno fa (maggio 2002) scrivevamo quanto segue:
< A Catania, Paolo Flores d’Arcais (ma la vogliamo almeno maiuscolizzare quella “d”? C’è una sfumatura) presenta MicroMega sui movimenti. Che a Palermo sono però presieduti da quel Centorrino che isolò uno studente che faceva tesi su mafia e università e a Catania comprende almeno un paio di personaggi che con la sinistra, vecchia o rinnovata, non hanno proprio nulla a che spartire. Il primo è Paolo Berretta, che da amministratore andò a cena (innocentemente) con un imprenditore successivamente arrestato e “pentito” per associazione mafiosa; un giornalista democratico lo scrisse, Berretta lo querelò, e perse la querela. Il secondo è Giuseppe Giarrizzo, barone d’antica data. Socialista craxiano, scrisse sprezzanti pagine contro Giuseppe Fava e contro i Siciliani. E adesso sta a “rinnovare” con gli altri gattopardi. Io consegno questi nomi a Flores e confido nella sua correttezza perché quantomeno si informi… >
A un anno di distanza, Flores si è finalmente informato e, da persona onesta, ha preso onestamente posizione. Me ne compiaccio: noi siciliani però abbiamo pagato caro quest’anno di distrazione.
Pierangelo wrote:
< Se ho ben capito, alla fine di questa guerra (e quindi, forse, tra poco) il popolo irakeno al netto degli effetti collaterali sarà finalmente libero di eleggere il presidente voluto da Bush. Questo non potrebbe portarli a pensare che la democrazia è una dittatura per interposta persona? >
Daniele wrote:
< Caro R. (ormai ci diamo del tu anche senza il tuo permesso), non mettere sullo stesso piano – anche se non lo fai davvero – d’Annunzio e la Fallaci… ti prego. È il solito problema. Ma secondo me non si può rinunciare a Wagner, Céline o d’Annunzio, anche se non avremmo mai preso un caffè con loro. Mentre la Fallaci per fortuna non lascerà che una lieve striatura sull’acqua della memoria collettiva >
wilko@libero.it wrote:
< “Nuova Guinea. Abolita dal governo la scuola gratuita. I genitori invitati a pagare le tasse scolastiche con maiali e riso”. Ma anche l’università di Lindenwood nel Missouri accetta di farsi pagare parte delle tasse dai figli dei contadini locali in maiali, che poi usa per la mensa universitaria. I contadini, senza intermediazioni, ci guadagnano di più che sul mercato. Tutti contenti, insomma >
Lucio Martelli wrote:
< Guarda che l’euro è invariabile al plurale: 1 euro, 2 euro. È stato perfino sancito per legge. E comunque per buon gusto linguistico, per eufonia. Ciao. Lucio Martelli >
Beh, io al mercatino sento parlare di euri. La lingua si fa al mercato e non per legge.
Libro di lettura (ad uso dei piccoli siciliani, e anche marrocchini, africani, brasiliani e rumeni e di tutti gli altri Paesi).
Anticamente l’uomo stava sugli alberi e aveva paura delle bestie, degli altri uomini e della terra. Adesso non c’è bisogno più di aver paura, anzi bisogna faticare moltissimo per costruire delle cose di cui aver paura.
Persone. Il reporter è la figura più occidentale che ci sia. In questa guerra era arabo, si chiamava Tarek Ajub ed è stato ammazzato da selvaggi per cui giornali e reporter sono cose stupide e strane. Forse, se fosse vissuto un attimo in più, avrebbe telefonato al capo dei selvaggi: “È la stampa, bellezza”.
benito@usmc.mil wrote:
< Il general Badoglio comunica: Oggi, alle ore 14, sono entrato in Addis Abeba alla testa delle truppe… >
< Faccetta neeera
bell’iracchena
aspetta e spera che già l’ora s’avviceeena
Noi resteremo
accanto a teeee
e ti daremo un’altra patria e un altro re >
< Sui colli gloriosi di Romaaaaa… >
< Lo volete voiiii? >
< Siiiii! >
Questo pezzo è semplicemente perfetto.
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