Come in tutti i cineforum che si rispettino, anche su questo blog, inevitabilmente, segue dibattito. Anatemi su dialer, tette e culi da una parte e “si, ma installare a tradimento uno spyware è peggio” dall’altra. Non ho molto da aggiungere se non che ritengo mediamente idiota la pratica di dichiararsi sempre più a sinistra di qualcosa già a sinistra. Credo nel cosa si dice, indipendentemente dal mezzo che si utilizza (free, a pagamento, autofinanziato o pagato dagli sponsor). E credo sia importante ascoltare cose intelligenti sia dal duro e puro che si rivolge a pochi, sia dal marchettaro con milioni di pagine viste. Non credo, invece, che l’aver lavorato su Italia Uno renda Luttazzi, ad esempio, meno degno di BuioBuione. I ragazzi, per inciso, l’hanno presa bene, e ce le hanno cantate in rima (o, meglio, ce han fatte cantare da Guccini attraverso una sua splendida canzone). Siccome però ormai sono grandi, e possono permettersi un vocabolario, ricambio con l’ancora più affascinante testo originale di Edmond Rostand:
Orsù che dovrei fare?… / Cercarmi un protettore, eleggermi un signore,
e dell’ellera a guisa, che dell’olmo tutore / accarezza il gran tronco e ne lecca la scorza
arrampicarmi, invece di salire per forza?
No, grazie! Dedicare, com’usa ogni ghiottone, / dei versi ai finanzieri? Far l’arte del buffone
pur di vedere alfine le labbra di un potente / atteggiarsi a un sorriso benigno e promettente?
No, grazie! Saziarsi di rospi? Digerire / lo stomaco per forza dell’andare e del venire?
Consumare le ginocchia? Misurar le altrui scale? / Far continui prodigi di agilità dorsale?
No, grazie! Accarezzare con mano abile e scaltra / la capra e intanto il cavolo innaffiare con l’altra?
E aver sempre il turibolo sotto de l’altrui mento / per la divina gioia del tuo mutuo icensamento?
No, grazie! Progredire di girone in girone, / diventare un grand’uomo tra cinquanta persone,
e navigar con remi di madrigali, e avere / per buon vento i sospiri di vecchie fattucchiere?
No, grazie! Pubblicare presso un buon editore, / pagando, i propri versi! No, grazie dell’onore!
Brigar per farsi eleggere papa nei concistori / che per entro le bettole tengono i ciurmatori?
Sudar per farsi un nome su di un picciol sonetto / anzi che scriverne altri? Scoprire ingegno eletto
agl’incapaci, ai grulli; alle talpe dare ali, / lasciarsi sbigottire dal romor dei giornali?
E sempre sospirare, pregare a mani tese: / – Pur che il mio nome appaia nel Mercurio francese?
No, grazie! Calcolare, tremar tutta la vita, / far più tosto una visita che una strofa tornita,
servir suppliche, farsi qua e là presentare?…
Grazie, no! grazie no! grazie no! Ma… cantare, / sognar sereno e gaio, libero, indipendente,
aver l’occhio sicuro e la voce possente, / mettersi quando piaccia il feltro di traverso,
per un sì, per un no, battersi o fare un verso! / Lavorar senza cura di gloria o di fortuna,
a qual sia più gradito viaggio, nella luna!
Nulla che sia farina d’altri scrivere, e poi / modestamente dirsi; ragazzo mio, tu puoi
tenerti pago al frutto, pago al fiore, alla foglia / pur che nel tuo giardino, nel tuo, tu li raccolga!
Poi, se venga il trionfo, per fortuna o per arte, / non dover darne a Cesare la più piccola parte,
aver tutta la palma della meta compita, / e, disdegnando d’esser l’ellera parassita,
pur non la quercia essendo, o il gran tiglio fronzuto / salir anche non alto, ma salir senza aiuto!