Rita Atria e Paolo Borsellino

Rita Atria, ragazza. A 12 anni le ammazzano il padre, “uomo d’onore”, a 16 il fratello che lo voleva vendicare. Sangue chiama sangue, a Partanna. Faide, vecchi rancori, mafia – ma anche interessi eccellenti. Rita ha sentito parlare di questi interessi. Ha sentito dei nomi. Uno, dice, è quello dell’ex sindaco del paese, l’onorevole Culicchia. Ma a chi fare – una povera ragazza – questi nomi? Un giorno Rita incontra un uomo di cui, senza sapere perché, si fida. È uno “sbirro”. Ma è un uomo buono. Si chiama Paolo Borsellino. Parlano a lungo. Passano i giorni e i mesi. Borsellino, nella vita feroce e disperata di Rita, è il primo che le parla sorridendole, come un papà. Forse non è vero che tutti sono o sbirri feroci o mafiosi. Rita si avviticchia a questo. La vita di Rita ricomincia allora. Ma arriva l’estate che ammazzano Borsellino: lo ammazzano – capiscono tutti – perché era solo. Rita non ce la fa ad andare avanti da sola. «Adesso quegli uomini non pagheranno mai». «Vince chi è più bravo a truffare la vita». Calligrafia da ragazza, frasi buttate su un foglio di scuola. Una settimana dopo, si uccide anche lei. Al suo funerale, al paese, non va nessuno: «fimmina lingua longa», «amica dei sbirri». Dieci anni. Dieci anni dopo, alle celebrazioni di Borsellino, tutti i vigliacchi di allora parlano con commosse parole. Parla l’ammazzagiudici Castelli, parla il viceberlusca Fini (ormai ripulito dagli sputi presi ai funerali di Borsellino), parla anche Culicchia, riciclato nel centrosinistra. Non parlano i compagni, dispersi – ma non rassegnati – ai quattro angoli del mondo. Li trovate venerdì prossimo a Partanna. Un fiore per Rita. E avanti.

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