I tempi sono maturi perché Marco Giacinto Pannella, se lo desidera, crepi senza che alcun magistrato debba ricoverarlo con la forza per prolungare il suo soggiorno in questa valle di lacrime e urine. Il caso del leader radicale dimostra in modo inconfutabile quanto possa risultare brutale e spietata la pratica dell’accanimento terapeutico. Nella scatola cranica di Marco Pannella, sulle cui pareti un tempo si infrangevano fragorose onde cerebrali, oggi domina la bassa marea, e i pochi neuroni scampati all’atrofizzazione sono tristi come il mare d’inverno. A quest’uomo, che in passato ha valorosamente combattuto coraggiose battaglie civili, non posso negare un bonus di pietà e compassione. È per questo motivo che auspico voglia sottrarsi al penoso teatrino che lo costringe a ricattare un’intera nazione abbracciando un qualsiasi avanzo di causa per giustificare uno sciopero della sete, e a presentarsi in pubblico indossando una giacca di due taglie in più, pur di apparire magro ed emaciato. Quello di Pannella, più che uno sciopero della sete, sembra essere un coito interruptus: smette sempre quando sta per arrivare il bello. Da quattro mesi, ormai, il funambolo radicale tiene in ostaggio noi e le istituzioni negando di aver ingurgitato liquidi, e ignorando che, scientificamente, dopo 15 giorni è inevitabile che sopravvenga la morte per disidratazione. Eppure non batterà il record del prigioniero austriaco sopravvissuto senza bere per ben 18 giorni: il suo entourage ha infatti dichiarato che, giorni fa, ha sorseggiato un’aranciata. «È vero – ha affermato Pannella – perché guadagnassi altri 4-5 giorni di vita e per tirarmi un po’ su mi hanno dato una Fanta. Coca non ce n’era più».
Aiutate quest’uomo!
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