L’atmosfera del pianeta Terra è composta da un 78% di azoto, un 21% di ossigeno e uno 0,9% di argo. L’influenza di un 1% in meno o in più di uno di questi elementi spedirebbe tutti noi direttamente al creatore. Con una sola eccezione: i discografici, a cui una spontanea mutazione genetica ha permesso di poter sopravvivere ad una situazione che perdura da anni, e li vede attaccati alla canna del gas. La minaccia alla razza, questa volta, verrebbe dal “peer to peer”, il sistema che mette in contatto gli utenti di Internet permettendogli di scambiare brani musicali come figurine del calciatori, senza dover ricorrere ad un server centrale, un Napster che possa essere costretto a portare i libri in tribunale. L’associazione americana di categoria, la RIIA, è una di quelle poche organizzazioni a cui persino i corleonesi farebbero il baciamano. Ed ha avuto un’idea grandiosa: proporre una legge che le permetta di violare il computer degli utenti o di bloccarne l’attività senza dover temere conseguenze legali, prevenendo un reato compiendolo per prima. Il che equivale – fatte le dovute proporzioni – a bombardare un pedofilo di immagini di bambini perché si ammazzi di seghe. Sulla vendita di un CD le case discografiche e vari altri ceffi di pari dirittura morale lucrano su un prodotto che ha un costo di produzione irrisorio. Il “peer to peer”, invece, ha due meriti: permette di fare un 5% di cresta sul fatturato dei Sopranos della discografia, e viene utilizzato da applicazioni che permettono, ad esempio, lo studio per la ricerca sui tumori. Dolente, ma preferisco concedere l’uso del mio PC ad uno scienziato, piuttosto vederlo violato da uno che ha intenzione di difendere Gatto Panceri.
L’istinto di sopravvivenza del discografico
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