Il ministro Claudio Scajola, chiedendo scusa alla famiglia di Marco Biagi, ha affermato che la frase «quel Biagi era un rompicoglioni che aveva una paura matta di perdere il contratto di consulenza» è stata «estrapolata dal contesto». In giurisprudenza questo si chiama “precedente”. E in questo caso ridisegna i confini entro i quali si muove il giornalismo di denuncia. È vero, ammetto, di aver sempre pensato che Giulio Andreotti fosse colluso con la mafia, ma rifiuto categoricamente la sommaria interpretazione che potreste dare di quest’opinione, che non terrebbe conto dell’incredibile stima e del rispetto che porto per la figura del senatore appena prima e appena dopo essere giunto a tale conclusione. È altresì vero che ho dichiarato che Silvio Berlusconi, oltre ad aver utilizzato qualsiasi espediente per evadere il fisco e nascondere la provenienza dei fondi transitati all’interno delle sue 34 holding, non può aver ospitato nella propria villa un boss mafioso senza avere rapporti con Cosa Nostra. Ma l’ho fatto in una sola delle settecento pagine del saggio sulla figura del Presidente del Consiglio a cui sto lavorando, dalla quale simili conclusioni sono state approssimativamente e arbitrariamente desunte. E risponde a verità la mia convinzione che Umberto Bossi sia un coglione. Ma è anche vero che se devo dire che è un coglione, specifico che è quello di destra. Nessuno la riporta, ma so che tiene alla distinzione. E d’altronde non è la stessa cosa. Io, poi, a Scajola gli credo. E non tanto perché ha chiesto scusa. Mi ha convinto quando, riguardo alle dichiarazioni su Biagi, ha chiamato a raccolta i giornalisti per specificare: «Ragazzi, anche voi, porca miseria! Io parlavo di Enzo».
Fuori contesto
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