La polizia ha falsificato le molotov che sono state presentate alla stampa come sequestrate nel corso del blitz all’interno della scuola Diaz nel corso delle manifestazioni contro il G8 di Genova: sono le conclusioni dell’inchiesta condotta dai pm Francesco Pinto ed Enrico Zucca, risolta con l’accusa di falso e calunnia per 25 funzionari. Di quest’ultimi riporto, con un certo compiacimento, più nomi che posso: il vice capo della polizia Arnaldo La Barbera; il poliziotto Massimo Nuocera, che aveva raccontato di essere stato accoltellato da un no-global nella scuola, mentre una perizia del Ris ha giudicato i tagli nel giubbotto “incompatibili” e replicati ad arte; il comandante Vincenzo Canterini; il direttore della centrale operativa Francesco Gratteri; il vicequestore Massimiliano Di Bernardini, in perlustrazione la sera del 21 luglio. La decisione di irrompere nella scuola sarebbe stata presa in seguito ad una sassaiola contro una volante e nella certezza che all’interno fosse nascosto un arsenale. Invece un vicequestore di Bari ha testimoniato di aver recuperato le due molotov nel pomeriggio, per strada, e di averle viste ricomparire la mattina dopo tra le armi sequestrate nella scuola. Non c’è stata neanche la sassaiola descritta nel rapporto da Di Bernardini che, oggi, sostiene di aver riportato «fatti riferiti da altri». Le spranghe, invece, c’erano. Ma provenivano da un cantiere all’interno della Diaz. «Cosa cambia se hanno trovato le armi all’interno della scuola? – si chiede uno dei 25 inquisiti – Io sono stato colpito da una squadra dei black block. Era di plastica, ma fa male lo stesso. Altri miei colleghi sono stati minacciati con un compasso o bersagliati da lanci di pennarelli, pastelli e gessetti colorati».
Falso e calunnia: un po’ di nomi
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