Poteva essere l’idea di un’agenzia di PR, e invece l’ha avuta un vecchio svizzero depresso. Il monomotore da turismo che alle 17:47 di ieri ha sventrato il grattacielo Pirelli ha inaugurato uno dei più importanti eventi mondani che i giornalisti milanesi ricordino. Mentre la zona attorno a Piazza Duca D’Aosta si riempiva di curiosi videocamerati che si contendevano una foto o una ripresa, se non addirittura un souvenir di cemento armato nel caso in cui il Pirelli fosse imploso su sé stesso, i milanesi davano tutt’altro che prova di civiltà e dimostrazione di solidarietà. Pareva di assistere ad una partenza di Formula 1; si nasava nell’aria il desiderio più o meno celato dell’incidente, la bramosia di essere testimoni della storia mentre un pezzo di storia crolla: il pubblico, intralciando i soccorsi, si scopriva giornalista. I giornalisti, nel frattempo, improvvisavano una sorta di party davanti al centro di coordinamento della Protezione Civile, a debita distanza dal grattacielo, dal brusio del cittadino medio accorso in bicicletta, dall’ululare delle sirene che rendeva così arduo il chiacchiericcio redazionale. C’erano tutti, ad un passo dalla notizia, totalmente ignari di ciò che stava realmente accadendo: i pochi che si sottraevano al gossip sui colleghi saltavano da un allegro drappello all’altro, sbavando per qualche dato di prima mano. Un passante che si stava interrogando sulle cause della tragedia è stato scambiato per sicuro testimone oculare. Un minuto dopo era sepolto dai taccuini, mentre i cameraman accorrevano trafelati. Nel casino che si era creato mi sono chiesto come avessero fatto tutti a trovarsi, privati persino della possibilità di localizzarsi fiutando il canonico buffet.
È qui la festa?
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