Don Vitaliano, prete in quel di Sant’Angelo a Scala, ha 15 giorni di tempo per dire addio ai propri parrocchiani. Definito “prete no global”, in testa alle manifestazioni indossa magliette dell’esercito zapatista. Né la stampa (che ne ha fatto un caso), né la Chiesa (che ha un istinto innato nel fiutare e confinare i rompipalle) hanno capito che un prete, oggi, ha il dovere di rompere i coglioni. Don Milani (altra occasione persa per la Chiesa che oggi concede lo zuccherino a migliaia di carampane devote alle finte stigmate di Padre Pio) si riconosceva come un rampollo di famiglia borghese, eppure ne fece una questione di fede, non di politica: «L’ingiustizia sociale è una bestemmia, e non è cattiva (per me prete) perché danneggia i poveri, ma perché è peccato e offende Dio». La Chiesa non imparerà mai che è necessario che i preti siano rivoluzionari, perché Cristo, chiunque fosse, lo era. Tanto quanto, se non più, del Che. Per questo, invece che sulle magliette di chi lotta contro l’ingiustizia, è finito sui santini dei vecchi borghesi. Sempre Milani: «Un prete isolato è inutile, è come farsi una sega. Non serve a niente e Dio non vuole». Morendo in confino, il “signorino” borghese sussurrò: «Un grande miracolo sta avvenendo in questa stanza: un cammello che passa per la cruna di un ago». Don Vitaliano viene esiliato 35 anni dopo. Nel frattempo Santa Madre Chiesa ha ritenuto opportuno continuare a premiare e nutrire cammelli troppo grassi per compiere il medesimo miracolo.
I santini dei borghesi
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