Silvio Berlusconi, in vista delle amministrative, ha ritenuto opportuno radunare tutti gli aspiranti sindaci della Casa delle Libertà per declamare il fondamentale “Vademecum del candidato”. Il succo è che il forzaitaliota ideale, per essere perfetto, deve assomigliare a lui; avere la medesima visione naïf della politica, della vita, del mondo e, soprattutto, dei cittadini che amministra (equiparati al pubblico della tv, che «ha sì e no la seconda media, e neppure fatta stando sempre al primo banco»). Berlusconi, in pratica, alla pari di Dio, ritiene che l’uomo sia fatto a propria immagine e somiglianza. In più, esprime strategie al cui confronto il “votAntonio” di Totò sembra concepito da un genio del marketing animato da un più nobile concetto della politica: «utilizzare lo stesso discorso, senza cedere alla tentazione di cambiarlo ogni volta»; «dichiarare di desiderare una città più bella, più ordinata, più pulita e più sicura»; «proporre al massimo tre concetti: sarete fortunati se il pubblico ne capirà uno»; «ripetere spesso nome e cognome del proprio interlocutore: per chiunque sono la musica preferita»; «stringere mani e fare complimenti come “che bella cravatta”, “che bel sorriso”» e, infine, gridare «Viva (nome del paese). Viva Forza Italia. Viva la libertà!». Sono istruzioni da seguire con cura, con qualche cautela: un sindaco che aveva preso alla lettera il consiglio sui complimenti ha speso una fortuna per ristampare manifesti con i connotati cambiati, dopo aver sussurrato ad una delegata «Che bel culo!». Il “Vademecum del candidato” è la summa del pensiero di un magnate che desidera veder riconosciuta come unità di misura europea la propria statura di statista. Se dovesse accadere, Helmut Kohl potrebbe vantarsi di essere alto circa uno statista e mezzo.
Il Vademecum del candidato
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